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domenica 31 gennaio 2021

L’EUROPA DOPO LA PANDEMIA 
di Fulvio Papi

 
È una opinione comune che dopo la pandemia l’Europa non potrà più essere quella di prima. Una proposizione molto azzardata per quanto riguarda il “dopo”, che in questo momento è tutto racchiuso nella speranza di rapidi ed efficaci vaccini ad alto indice di efficienza. Quanto all’Europa si guardano i modelli relativi agli interventi finanziari messi in atto come possibili indicazioni generiche ma eticamente valide per le iniziative future: se non altro mostrano prassi economiche e politiche che mettono o potrebbero mettere nella spazzatura le tesi sovraniste che gruppi di incompetenti assoluti e di irresponsabili avevano negli anni demagogicamente diffuso.
Questo non vuol dire affatto che i problemi relativi all’Europa possano essere facili e scorrevoli come percorrere un’autostrada. Ma almeno sono problemi chiaramente visualizzati come i dibattiti in atto mostrano con chiarezza.
In questo quadro ritorna alla mente una infelice contesa intorno alle radici ideali dell’Europa alla quale parteciparono anche personaggi illustri, che, nell’occasione, mostrarono invece più che poca tolleranza, una molto modesta cognizione storica. Oggi, in un’età in cui dominanti sono i problemi economici e finanziari che hanno assunto una propria fondamentale dimensione planetaria, le identità simboliche riconoscibili nelle diverse forme culturali e religiose, mantengono il loro valore identitario, al quale, penso, nessuno voglia (o peggio, debba) rinunciare, ma hanno una loro autonomia che può avere un peso anche a livello economico, ma molto ridimensionato se ci si colloca nella prospettiva di un bene comune che è possibile elaborare.
Può anche non piacere, ma è indubbio che è la dimensione economica quella nella quale bisogna operare e trovare ragionevoli soluzioni per un bene collettivo, come in altra epoca fu un pacifico equilibrio religioso.
I contendenti degli anni passati nella radice europea che non mi va nemmeno di ricordare, indicavano come fondamento europeo, quella cristiana e, all’opposto, quella illuminista. Erano semplificazioni dogmatiche e insensate. Da un punto di vista astrattamente calcolatorio è facile mostrarlo: basta ricordare quali e quante fossero le modalità sociali della tradizione cristiana che oggi, e solo oggi, mostrano più che una loro tolleranza, il desiderio di una possibile comunione. E l’illuminismo non ebbe a sua volta interpretazioni molto diverse che ebbero echi sociali molto differenti? Le imperatrici illuministe erano uguali agli atei “holbachistés”, di filosofi che mettevano in discussione la proprietà privata? Che oggi storici di valore mettono del tutto ai margini della autentica storia illuminista.


Il fatto è che la metafora delle “radici” adoperata in una dimensione macrostorica è per lo più fuorviante, come, invece, non lo è affatto se si pensa a vicende personali, come per esempio, hanno saputo fare Primo Levi e altri, che hanno indagato sulla composizione delle loro personali certezze materiali.
A livello storico c’è sempre un gioco di influenze, di poteri, di tradizioni, di identità, di credenze che possono avere epocalmente condizioni egemoni, ma che, se vengono guardate storicamente, nel “pozzo del passato” mostrano pluralità individuali così come contaminazioni, modificazioni, reciproche influenze, trasformazioni non insignificanti della loro tradizione.
Non vedo perché un antropologo possa usare come necessarie queste categorie, mentre uno storico o un filosofo possa ignorarle per qualche eccesso intellettuale privo di ragionevolezza.
Se vogliamo poi essere generici e un poco gnomici possiamo anche dire che, quali che siano i suoi argomenti non c’è nessuno il quale, nella realtà, sia padrone nella fede o nella ragione.
Tutto questo discorso per dire che, “dopo la peste” si dovranno scegliere solo gli argomenti opportuni per unificare il continente. Oggi c’è chi, giustamente, dopo la sciagurata presenza di Trump, sostiene che tra Stati Uniti ed Europa dovranno stabilirsi nuove forme di collaborazione soprattutto economica. Aggiungerei che il continente e la sua complessa storia, nella quale ha certamente buona parte anche la tradizione socialista nelle sue varie dimensioni, dovranno guardare al mondo nel suo complesso, dalla Cina all’India, alla Russia. Una voce è più forte quanto più è diffusa, non quando si ascolta nella sua solitudine.