La forma immobile, il
Covid e il sondaggio Censis Il
recente articolo di Angelo Gaccione, La forma immobile,pubblicato
sulla prima pagina di “Odissea” di mercoledì 30 dicembre scorso e che condivido
pienamente; il commento di Giuseppe O. Pozzi sul 54° sondaggio del CENSIS 2020,
nonché la lettura dello stesso, hanno suscitato in me una profonda
inquietudine. In effetti l’immobilità che fa scrivere a Gaccione “il diritto di
voto è ormai un voto senza diritti”, trova una sua conferma nella disponibilità
del campione di cittadini, partecipanti al sondaggio, propensi a rinunciare
alla sovranità personale per permettere allo Stato italiano di tutelare la
salute collettiva regolamentando severamente il quotidiano dei propri cittadini
- il 57,8% - e ben il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per
un maggior benessere economico. È vero che la pandemia ha colto tutti, o quasi
tutti, di sorpresa e la paura di una possibile morte incombente ha portato a
sperare, soprattutto qui nella nostra vecchia Europa illuminata, che i Governi
sapessero destreggiarsi al meglio su come salvaguardare la salute pubblica. Potremmo
quindi accettare questo atteggiamento come una forma di immobilità dovuta alla
paura. Quando però si chiede agli italiani l’opinione sulle sanzioni per chi
non rispetta l’emergenza sanitaria, ecco che risuonano voci agguerrite e
pretendere pene severe (77,1%) per chi non segue le regole base nella pandemia,
fino al carcere (56,6%) per chi non si attiene alle norme di isolamento in caso
di contagio. Ci troviamo di fronte, dunque, ad una buona parte di italiani che
da un lato accetta le decisioni dall’alto – e per quel che riguarda la salute,
si può per un verso capire, ma rinunciare a diritti fondamentali quali il
diritto di sciopero o la libertà di stampa, ci dà la misura di quanta
“immobilità” sia presente nella nazione. Le voci agguerrite diventano poi
tuonanti, quando si chiede agli italiani se ritengono ammissibile
l’introduzione della pena di morte in caso di reati particolarmente abbietti.
Come già citato da Pozzi nel suo commento sulle pagine di “Odissea” (sabato 2
gennaio), il 43,7 % risponde di essere favorevole e tra i giovani nella fascia
di età 18-34 anni si arriva al 44,7%. Queste risposte possono essere molto
indicative se correlate ad una scarsa conoscenza della storia e alla mancanza
assoluta di prospettive per il futuro, fattori tipici in un paese che ha
allevato una o due generazioni con programmi scolastici sempre più ridotti e
dato in pasto a grandi e piccini Tivù private con programmi trash, per non
parlare della crisi economica che da anni ormai costringe a sottooccupazione e
disoccupazione soprattutto le fasce più giovani della popolazione. Sulla pena di morte, l’Italia, come già citato anche
da Pozzi, si era espressa già in modo chiaro e autorevole nel 1764 attraverso
il libro di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene”.
Secondo il Beccaria lo Stato deve prevedere sanzioni
punitive solo nella misura utile al mantenimento dell’ordine pubblico. Per
stabilire poi l’entità della pena, il principio base da osservare è quello
della proporzionalità. Il fattore decisivo non è la severità della pena, quanto
una applicazione coerente del diritto penale. Beccaria, da “figlio del secolo
dei lumi” era contrario alla tortura e alla pena di morte e in questo senso è
stato il precursore delle moderne teorie criminologiche. Una volta in quella materia/non materia,
l’educazione civica, perché sempre accompagnata alla storia come sorellastra,
visto che la legittima sorella era la filosofia, il nome di Cesare Beccaria
veniva almeno ricordato in tutti gli istituti superiori e sarebbe auspicabile
che ce ne fosse oggi un revival. Vedere una percentuale così alta di persone che si
dichiara favorevole alla pena di morte, nonostante questa sia in vigore
soprattutto in stati a regime non democratico e ora anche negli Stati Uniti il
nuovo presidente Joe Biden ha annunciato di volerla eliminare definitivamente,
proprio perché l’esperienza ha dimostrato che non ha nessun potere deterrente
nel contenimento del crimine, inquieta non solo chi scrive, ma tutte le persone
convinte come me, che solo la prevenzione possa portare ad un effetto benefico
in questo senso. Importante, dunque, è togliersi dall’immobilità e
migliorare tutti i deficit nell’economia, sul mercato del lavoro, nella
politica, nella scuola e nella cultura in generale, perché i cittadini
ritrovino la forza e la volontà di vedere e risolvere i problemi con la
saggezza di chi cogestisce e pensa in modo responsabile.