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mercoledì 3 febbraio 2021

LA MEMORIA E MOLTO ALTRO
Una lettera di Marco Vitale

 
Marco Vitale

Questa email-lettera dell’economista Marco Vitale è del 28 gennaio scorso. Lo scritto a cui si riferisce: Da Dachau a Praga, alla soffitta di Anna”, è apparso nell’inserto culturale de Il Quotidiano del Sud” di domenica 24 gennaio. Come scrive egli stesso, essa aveva un carattere preminentemente privato. Ma la quantità di riflessioni e di pensieri che vi sono contenuti, mi hanno spinto a chiedergli il permesso di renderla pubblica. Ho ritenuto che ne valesse la pena. [Angelo Gaccione]
 
  
Caro Gaccione,
queste brevi riflessioni non sono per “Odissea” ma per uno scambio di idee tra noi. Mi sono state sollecitate dal Tuo commosso articolo del 24 gennaio 2021 intitolato: “Da Dachau a Praga, alla soffitta di Anna. L’atrocità di metterci una pietra sopra”. E, più in particolare, dalla parte iniziale in cui parli della Tua giovanile visita a Dachau: “Dov’era il sangue, dov’era il dolore, dov’erano i lamenti, l’abbaiare dei cani, il fumo che usciva dai camini, gli ordini gridati dai Kapo’?” Anche io sono andato a visitare un campo di concentramento (Mauthausen). Non ero giovane come eri Tu, ma già maturo, con moglie e figli. E avevo già letto molto su quello che è stato forse il più grande orrore della storia, certo il più infame. E quindi era già ben radicata in me, come in tanti altri, la convinzione che era indispensabile conservare memoria non solo per noi ma per i nostri figli e nipoti. E, dunque, è certamente “un’atrocità metterci una pietra sopra”.
Proprio in questi giorni della memoria mi sembra che, fortunatamente, i tentativi di metterci una pietra sopra non sono un tentativo in atto. Anche se i superstiti di questa atroce storia, ad uno ad uno, stanno scomparendo, la memoria non sta svanendo. Anzi si sta rafforzando e crescendo. Pensiamo con quanta fatica questa storia è emersa. Sappiamo molto di più oggi che negli anni ’50 e ’60. Basta pensare che “Se questo è un uomo” è stato per oltre dieci anni rifiutato da Einaudi. Quei bambini dietro i fili spinati, quelle montagne di cadaveri, quelle larve di uomini e donne, quel meraviglioso sorriso di Anna Frank, non sono svaniti e non svaniranno.
Per cui, con il passar del tempo, non si tratta più di lanciare appelli a non dimenticare ma piuttosto a riflettere su cosa ricordare, sulle modalità del ricordo, sugli insegnamenti dello stesso, sulle responsabilità di chi ha collaborato all’olocausto ed alle premesse dello stesso. E questo è molto importante anche per tanti italiani.



Ieri sera leggevo il capitolo intitolato “L’esilio” di Plutarco in Moralia III. Plutarco scrive a un amico bandito dalla sua città per imprecisati motivi politici. È una lettera consolatoria, ma la chiave adottata da Plutarco per consolare l’amico è molto diversa da quella delle tradizionali lettere consolatorie. È tutta basata sulla dimenticanza. Dice: “non devi ripensare continuamente alla tua città ed a quello che essa ti offriva e che hai perduto. Su questa via non sarai mai consolato sufficientemente. Avrai sempre un rammarico per quello che hai perduto. Guardati, piuttosto, attorno. Conosci la nuova città dove sei arrivato. Scopri le cose nuove che l’esilio ti permette di scoprire. Allora, grazie alla dimenticanza scoprirai un mondo nuovo, nuove attività, nuovi interessi”. Questa lettera di Plutarco mi ha colpito perché tante volte mi sono trovato a riflettere sul valore della dimenticanza. Quando ho visitato Hiroshima non ho dimenticato la bomba atomica e la strage di un’intera città da essa provocata. Mi sono commosso ricordando i morti di Hiroshima e il delitto atroce di chi ha deciso di far sganciare la bomba atomica su una città. Ma al contempo mi sono rallegrato nell’osservare che la città era rinata, che la vita era rinata, che la natura e l’uomo erano stati, una volta ancora, più forti dell’opera distruttiva. Dunque, dimenticanza non certo per metterci una pietra sopra, ma per non lasciarsi sopraffare dal ricordo del male e della sua apparentemente invincibile forza. Leggo con grande interesse su “Odissea” nella riflessione di Astengo del 27 gennaio che lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua ha scritto che “troppa memoria, talvolta, è una trappola”. E David Gusman ha detto una cosa importantissima e bellissima quando ha scritto: “che è necessario ricordare il futuro oltre che il passato”.


Il premio Nobel per la pace
Elie Wiesel

Parliamo della Tua Calabria. I calabresi hanno tanto da ricordare ma ancor di più da dimenticare. Dimenticare tutto l’orrore, che di orrore si tratta, degli ultimi decenni, che impedisce a loro ed a noi di ricordare le tante cose belle e le tante persone di valore della storia della Calabria.
La pagina dei campi di concentramento nazisti non va certo dimenticata, anzi bisogna, come si sta facendo, rafforzare la documentazione e la divulgazione relativa, ma bisogna anche andare oltre, senza restare inchiodati a quelle terribili memorie. Quando ho visitato Buchenwald non ho rimpianto il campo di concentramento ma mi sono rallegrato nel vedere che il bosco aveva ricoperto il terreno e che la zona stava ritornando meravigliosa come era quando i giovani Goethe, Schiller e i loro amici, si ritrovano in un cottage nel bosco dove poi sorgerà il campo di concentramento. E mi è piaciuto passeggiare nel bosco ricordando che nell’orrore del campo si era anche formato un movimento di resistenza armato e che le SS, a mezzogiorno del 10 aprile, furono affrontate, impedite con le armi  dei resistenti a dar corso agli ultimi efferati ordini di sterminio che avevano ricevuto, del campo, che era già liberato dai resistenti quando alle sei del pomeriggio il primo carro armato americano si presentò alle porte di Buchenwald, come ricorda Elie Wiesel nell’ultima pagina di “La notte”. Quanti messaggi di speranza, di dignità, di coraggio, di generosità, ci giungono dalle testimonianze dei campi di concentramento oltre agli orrori. Quanti eroi anche in questo inferno.
Dunque, guardare indietro ma per vedere avanti, come dice un antico motto valtellinese.
Sono molto insoddisfatto di come sono riuscito ad esprimermi, ma spero che Tu capisca, almeno in parte, ciò che ho malamente cercato di dire.
Cari saluto.
Marco Vitale