In
un suo articolo misurato al riguardo del rapporto tra proprietà intellettuale e
diffusione del messaggio (”Il Manifesto” 24 febbraio) Vincenzo Vita pone un
interrogativo cruciale che riporto per intero: “Gli over the top (da
Amazon a Google, a Facebook, a Microsoft, a Twitter) sono i legittimi
intestatari di ciò che diffondono ovvero ne sono semplici veicolatori?”. E
prosegue: “Non si può uscire dalla contraddizione con un puro esercizio
mediatorio. La questione ha una valenza generale. Aut aut non et.et”. Così
si sta toccando il cuore del problema: dalla società dello spettacolo allo
spettacolo della società (e della politica). È
questo il terreno del mutamento nel rapporto tra struttura e sovrastruttura,
nell’allargamento dei cleavages che determinano la teoria delle
fratture. Non
basta più la contraddizione principale ma anche quelle che pensiamo “nuove” e
che abbiamo inserito nella categoria della strutturalità debbono essere
considerate oggetto di questa “strategia dell’illusione”. Quelle
che appaiono oggi le questioni principali emergenti compresa quella sanitaria
globale (senza pensare, ad esempio, alle caratteristiche assunte nel tempo dal
tema ambientale, dell’energia e delle materie prime che servono alla
tecnologia) sono ormai tutte racchiuse nell’interrogativo di fondo che riguarda
come, da chi, perché e quando sono veicolate le notizie che le riguardano: o
meglio “il loro sembrare”. La
condizione materiale di vita di miliardi di persone si collega direttamente con
l’influsso che si è capaci di esercitare sulla “percezione dell’apparire”. Un
influsso sull’apparire che ormai si esprime nella molteplicità vorticosa del
messaggio e rappresenta così il punto di arrivo e quello di partenza dell’agire
dialettico. Un influsso che si ottiene mescolando fonte e trasporto della
comunicazione. È questo il punto che allora rappresenta il vero elemento da
affrontare nella realtà delle contraddizioni operanti. L’influsso che si
esercita sulla “percezione dell’apparire” è ormai elemento strutturale
dell’agire culturale e politico, inimmaginabile ai tempi della vecchia “stampa
e propaganda” anche nei più raffinati regimi totalitari. Si
tratta di provare a riflettere davvero in questa dimensione non soltanto sul
piano teorico considerandolo l’elemento determinante dell’agire politico: una
riflessione che rimane ancora tutta da elaborare, ma che non può che partire da
una riaffermazione necessaria del valore dell’esercizio continuo dello “spirito
critico” soprattutto rivolto verso il mutamento nelle forme della democrazia.