Il filosofo francese François Cheng, di origine cinese, inizia la seconda
delle sue Cinque meditazioni sulla bellezza (2006) così: «L’universo non è tenuto a
essere bello, eppure lo è; ciò ha qualche significato per noi?». Questa
bellezza naturale che osserviamo è una qualità originaria, intrinseca
all’universo nel suo crearsi, o è il frutto del puro caso, del puro accidente? La
riflessione parte dalla necessità di indagare la questione della bellezza,
cercando di non dimenticare l’esistenza del male. La bellezza ci appare spesso
orpello, inutile abbellimento; il male, pur sentito come peso ingiusto, viene
osservato più facilmente come fenomeno ovvio e perfino necessario, funzionale
alla vita (alla vita mea irrimediabilmente prioritaria
alla mors
tua). Ci appare più spesso inevitabile il male anziché il bello: eppure la
bellezza si è rivelata intrinseca alla materia fin dalla sua apparizione.
L’universo si è composto in modo meraviglioso senza che la bellezza fosse - o
sembri a noi essere - funzionale alla sua esistenza. Secondo una
teoria - continua Cheng - “la vita non sarebbe dovuta ad altro che all’incontro
fortuito di elementi chimici differenti. In questo modo, qualcosa ha cominciato
a mettersi in moto; ed ecco che una parte di materia è divenuta materia
vivente. Alcuni descrivono volentieri questa materia vivente come una sorta di
«muffa» sulla superficie di un pianeta che è smarrito come un granello di
sabbia in mezzo a un oceano di galassie. E tuttavia questa «muffa» ha
cominciato a funzionare rendendosi a mano a mano più complessa”, fino a
produrre qualcosa come l’immaginazione e la mente, e leggi di trasmissione
genetica, e perfino bellezza. C’è da stupirsi dell’evoluzione così complessa di
una «muffa», che tenda a conservarsi e a riprodursi perfino. “Che tenda, oserei
dire inarrestabilmente, verso la bellezza, c’è di che sbalordire!” Si tratta
di una riflessione certamente suggestiva, che ha perlomeno nell’osservazione un
tratto di oggettività innegabile: la materia aggregandosi tende al bello.
Diversi pensatori hanno ripreso questo concetto di Cheng, spingendosi fino
all'idea che, proprio perché aggregata in modo bello (casualmente o no), la
bellezza ci attiri a sé in modo quasi biologico, e la musica più di tutti
i linguaggi artistici faccia risuonare per vibrazione i nostri atomi verso un
richiamo che è primordiale e al tempo stesso ultimo, continuo, inarrestabile.
Vito Mancuso, teologo e filosofo, riferisce in merito che “noi siamo fatti per
la bellezza. Siamo fatti per essa perché siamo fatti da essa,
perché è la bellezza in quanto armonia ad averci portato e a mantenerci
all’esistenza.” Considerando
che gli animali non la percepiscono perché in grossa parte non funzionale alla
loro sopravvivenza, si intende che la bellezza è una condizione dell’anima, la
si percepisce finché esiste una dimensione spirituale. “Quanto più aumenta la
capacità spirituale, ovvero il grado di indipendenza e di libertà dal mondo,
tanto più aumenta la sensibilità estetica. Senza sensibilità spirituale, dei
fenomeni del mondo si percepisce la forza, la prestanza, la convenienza,
esattamente secondo i criteri utilizzati dalle femmine degli animali nello
scegliere i maschi […]. È solo lo spirito che può percepire quella particolare
miscela che si forma nell’interiorità umana quando la mente, senza più
calcolare vantaggi o svantaggi di tipo biologico, prende a stupirsi della
condizione del mondo e ne rimane affascinata percependolo in primo luogo non
come utile, non come vero, neppure come buono, ma semplicemente e gratuitamente
come bello.” (La via
della bellezza, 2018). Volgersi
alla bellezza potrebbe voler dire contribuire alla tendenza verso cui procede
la materia, l’intero universo, o anche soltanto alla conservazione dell’umanità
che altrimenti si estinguerebbe per autoannientamento e nichilismo. Tenere
vigile e sviluppare la propria capacità spirituale permette di individuare il
bello, e accanto a esso il vero e il buono, inevitabilmente, offrendo
opportunità all’arte di continuare a manifestarsi nel modo complesso e
nutriente che le è proprio, chiedendo ancora agli artisti di restituire alla
natura ciò che gratuitamente hanno ricevuto, e a noi la loro visione, la
percezione di esseri umani specialmente sensibili verso questo richiamo
che consente la vita. Noema tenta
di seguire le piccole tracce di odori e profumi spirituali che oggi con enorme
difficoltà resistono al troppo rumore o al silenzio muto. Così contribuisce
alla presenza di grande musica nella liturgia della Quaresima cristiana, che ha
appena preso avvio (e ha inizio oggi nella Chiesa ambrosiana), promuovendo
l’attività musicale liturgica della Chiesa di S. Maria Segreta a Milano (Piazza
Tommaseo), che della bellezza ha fatto uno strumento spirituale da molto tempo.
Gli ensemble Harmonia Cordis e Virgo Vox mettono a disposizione i loro
repertori di polifonia antica e del ’900, mentre Alessio Corti offre all’organo
la vasta letteratura di cui questo strumento ha goduto nei secoli: alle ore
19.15 nelle domeniche di febbraio e marzo. Perché la
bellezza continui ad avere luogo, come possibile. “La vera bellezza non risiede
infatti soltanto in ciò che è già semplicemente dato come bello; essa risiede,
per così dire, prima di ogni altra cosa nel desiderio e nello slancio. È un
accadere, e la dimensione dell’anima è per essa vitale. Per questo la bellezza
si regge sul principio della vita.” (F. Cheng) [*Direttore artistico
Noema]