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giovedì 11 marzo 2021

INCONTRI
Conversazione con Francesco Curto


Francesco Cutrto

Versi sfusi di Francesco Curto è introdotto da scritti di Sandro Allegrini, Serena Cavallini e Donato Loscalzo, dunque di segnali per il lettore che si accinge alla lettura ce ne sono abbastanza. Sono in totale 49 testi e se si dà un’occhiata alla bibliografia dell’autore, si vedrà che il suo libro d’esordio Liriche, è del 1968. Da questo a Versi sfusi è trascorso più di mezzo secolo. Mezzo secolo di poesia: una vita. Abbiamo colto l’occasione per fargli alcune domande.


Odissea: Rispetto agli altri tuoi libri precedenti come giudichi i testi poetici di Versi sfusi?


Curto: “Versi sfusi” è una raccolta come tutte le altre, non costruita. Le poesie sono nate in un arco di tempo lungo e in parte nel periodo della pandemia.  In questo tempo sospeso, rotto dalla ordinarietà, il verso è stato consolatorio. L’ansia e la paura mi hanno fatto prigioniero di questo non tempo. Sono versi che danno il senso della nostra finitezza umana, della nostra impotenza e soprattutto dell’impossibilità di comunicare con gli altri con la gestualità di sempre. La mancanza di una carezza, di un bacio, di un sorriso sono l’assenza del vivere. Questo libretto è un anello che si aggiunge agli altri precedenti per comunanza di temi: sogni, lotta, speranze e utopia.


Odissea: Il titolo allude a testi sparsi, spuri, non concepiti all’interno di un disegno definito, o cos’altro?


Curto: Il titolo come dice Sandro Allegrini nella sua presentazione fa pensare a quei prodotti che un tempo si vendevano sfusi. Mi ricordo anch’io della pasta, e poi anche delle sigarette. Le poesie di questo volumetto sono ed hanno ciascuna la propria storia. Sì, perché ogni poesia è un abito in un grande armadio che può essere indossato per l’occasione giusta. Tutte insieme tracciano un percorso tenendoci per mano. Sono la mia e la storia di altri. Il testo diventa un rosario di ricordi, di amori inconfessabili, di malesseri interiori e di denunce di abusi e misfatti. La Poesia dice Calvino “è l’arte di fare entrare il mare in un bicchiere.


Francesco Curto

Odissea: I temi messi a fuoco mi paiono quelli tipici del tuo percorso su cui hai insistito per tutta la stagione della tua “carriera” poetica, più sorprendente mi è parsa la parte sacrale venuta fuori in modo molto più evidente…
 
 
Curto: Cogli nel segno quando affermi che non mi discosto molto dal mio tracciato di cinquant’anni di poesia. Tu che conosci bene la mia storia umana e culturale sai bene che la fedeltà alla poesia paga sempre. Ci sono nei miei versi disseminati da sempre domande che non trovano o non danno risposte. Dio. L’ amore. E poi ancora la pace, il bene comune, la ferocia della violenza sulla donna, il razzismo. Ognuno di noi ha la sua risposta giusta? In questo periodo mi sono distanziato anche da Dio. Per il resto sono uno che grida nel deserto. Mi faccio forza per darmi coraggio per lottare contro l’ingiustizia, l’ignoranza, la prepotenza ma soprattutto contro l’arroganza del potere.


Odissea: In questo libro sono tornati gli echi dialettali, ci vuoi dire qualcosa in più su questa tua esigenza?


Curto: Confesso che da sempre, facendo poesia, ho sempre pensato nella lingua madre e poi realizzato in italiano. Penso alle poesie degli anni Sessanta: Le nostre donne e Vecchi al sole, per citarne qualcuna. L’immagine racconto di pavesiana memoria trasferita alle mie ‘coste’. Poi con gli anni ho sentito il bisogno di fare la mia carta di identità e tracciare le mie radici da consegnare al lettore e ai miei “acritani”.  In questa breve storia di poche poesie c’è la mia vita, infatti ci sono i luoghi della memoria e la memoria dei propri cari in quell’habitat con i suoi miti che è stato fondamentale per la mia formazione. E poi ancora il desiderio del ritorno quasi quella voglia di rientrare nell’utero materno. Quel nostos che è l’incognita del mio futuro. Una nostalgia sempre viva che ti immerge in un passato irrimediabilmente perduto, ma vivo dentro.


Franceco Curto

Odissea: La poesia A Lorenzo, ma lo si coglie qua e là anche in altri testi, ha il sapore di un addio alla poesia, come se questi Versi sfusi dovessero essere gli ultimi. Un congedo insomma.


Curto: La raccolta è dedicata al mio nipotino Lorenzo che ha quattro anni, ma a tutta quella generazione che domani dovrà porre rimedio a tutti i guasti che noi adulti abbiamo provocato all’ambiente e sottratto alla loro sussistenza futura. Il libro è un canto d’amore che coglie l’attualità dei nostri malesseri interiori fallimentari. L’impotenza di un vivere quotidianamente distanziati dagli affetti più cari. Non possiamo non pensare a centomila persone che ci hanno lasciato senza neppure aver dato loro una carezza nell’addio. La pandemia ha cancellato la memoria di tanti che hanno sacrificato la loro vita per tutti noi e il nostro benessere. Confesso pure che questo libro è il mio testamento che consegno a Lorenzo e a quanti hanno la forza e il coraggio di resistere. Non sono certo che sarà un addio alla Poesia, essa è la follia della mia esistenza. L’amante a cui si perdona tutto. Bussa. È una urgenza e arriva quando meno te l’aspetti. Potrò affermare che non è un congedo. Non posso giurarlo. Per me che ho scritto: La poesia / è una gravidanza/ del cuore… prima o poi deve partorire.


Francesco Curto
Versi sfusi
Morlacchi Ed. 2021
Pagg. 82 € 10,00