INCONTRI
Conversazione
con Francesco Curto
Francesco Cutrto
Versi sfusi di Francesco Curto è
introdotto da scritti di Sandro Allegrini, Serena Cavallini e Donato Loscalzo,
dunque di segnali per il lettore che si accinge alla lettura ce ne sono
abbastanza. Sono in totale 49 testi e se si dà un’occhiata alla bibliografia
dell’autore, si vedrà che il suo libro d’esordio Liriche, è del 1968. Da
questo a Versi sfusi è trascorso più di mezzo secolo. Mezzo secolo di
poesia: una vita. Abbiamo colto l’occasione per fargli alcune domande.
Francesco Cutrto |
Odissea: Rispetto agli altri tuoi libri
precedenti come giudichi i testi poetici di Versi sfusi?
Curto: “Versi
sfusi” è una raccolta come tutte le altre, non costruita. Le poesie sono nate
in un arco di tempo lungo e in parte nel periodo della pandemia. In questo tempo sospeso, rotto dalla
ordinarietà, il verso è stato consolatorio. L’ansia e la paura mi hanno fatto
prigioniero di questo non tempo. Sono versi che danno il senso della nostra
finitezza umana, della nostra impotenza e soprattutto dell’impossibilità di
comunicare con gli altri con la gestualità di sempre. La mancanza di una
carezza, di un bacio, di un sorriso sono l’assenza del vivere. Questo libretto
è un anello che si aggiunge agli altri precedenti per comunanza di temi: sogni,
lotta, speranze e utopia.
Odissea: Il titolo allude a testi sparsi,
spuri, non concepiti all’interno di un disegno definito, o cos’altro?
Curto: Il titolo come dice Sandro
Allegrini nella sua presentazione fa pensare a quei prodotti che un tempo si
vendevano sfusi. Mi ricordo anch’io della pasta, e poi anche delle sigarette.
Le poesie di questo volumetto sono ed hanno ciascuna la propria storia. Sì,
perché ogni poesia è un abito in un grande armadio che può essere indossato per
l’occasione giusta. Tutte insieme tracciano un percorso tenendoci per mano.
Sono la mia e la storia di altri. Il testo diventa un rosario di ricordi, di
amori inconfessabili, di malesseri interiori e di denunce di abusi e misfatti.
La Poesia dice Calvino “è l’arte di fare
entrare il mare in un bicchiere.
Francesco Curto
Odissea: I temi messi a fuoco mi paiono
quelli tipici del tuo percorso su cui hai insistito per tutta la stagione della
tua “carriera” poetica, più sorprendente mi è parsa la parte sacrale venuta
fuori in modo molto più evidente…
Curto: Cogli
nel segno quando affermi che non mi discosto molto dal mio tracciato di
cinquant’anni di poesia. Tu che conosci bene la mia storia umana e culturale
sai bene che la fedeltà alla poesia paga sempre. Ci sono nei miei versi
disseminati da sempre domande che non trovano o non danno risposte. Dio. L’
amore. E poi ancora la pace, il bene comune, la ferocia della violenza sulla
donna, il razzismo. Ognuno di noi ha la sua risposta giusta? In questo periodo
mi sono distanziato anche da Dio. Per il
resto sono uno che grida nel deserto. Mi faccio forza per darmi coraggio per
lottare contro l’ingiustizia, l’ignoranza, la prepotenza ma soprattutto contro
l’arroganza del potere.
Odissea: In questo libro sono tornati gli
echi dialettali, ci vuoi dire qualcosa in più su questa tua esigenza?
Curto: Confesso
che da sempre, facendo poesia, ho sempre pensato nella lingua madre e poi
realizzato in italiano. Penso alle poesie degli anni Sessanta: Le nostre donne e Vecchi al sole, per citarne qualcuna. L’immagine racconto di
pavesiana memoria trasferita alle mie ‘coste’.
Poi con gli anni ho sentito il bisogno di fare la mia carta di identità e
tracciare le mie radici da consegnare al lettore e ai miei “acritani”. In questa breve storia di poche poesie c’è la
mia vita, infatti ci sono i luoghi della memoria e la memoria dei propri cari
in quell’habitat con i suoi miti che è stato fondamentale per la mia
formazione. E poi ancora il desiderio del ritorno quasi quella voglia di
rientrare nell’utero materno. Quel nostos
che è l’incognita del mio futuro. Una nostalgia sempre viva che ti immerge in
un passato irrimediabilmente perduto, ma vivo dentro.
Franceco Curto |