In
questi giorni è previsto il varo da parte della Commissione Europea di un testo
volto a disciplinare i confini dell'intelligenza artificiale. Ne scrive
Vincenzo Vita ("il Manifesto" 21 aprile, "L'intelligenza
artificiale è qui e lotta contro di noi"): "Il tempo digitale
incombe e ci impone di cambiare i nostri modelli cognitivi, l'approccio ad una
realtà di cui la componente virtuale è un ingrediente fondamentale".
È
il caso, prima di tutto, di ricordare come il provvedimento della Commissione
Europea sia frutto di un dibattito svolto in una sede di "democrazia
asimmetrica": i 3 organismi dell'UE, Consiglio, Commissione, Parlamento
hanno fonti d'origine diverse (governo, voto popolare) in una situazione
anomala che non si è riusciti a risolvere una volta fallito il tentativo di
formulare un testo di Costituzione Europea: questa mi pare un'annotazione non
da poco perché continuano a porsi irrisolte questioni di legittimità al
riguardo dei provvedimenti che arrivano da Bruxelles. Nella
fase di emergenza sanitaria (ancora in corso) stiamo cercando tutti quanti di
sperimentare il cambiamento profondo che si sta verificando sia sul piano della
possibilità di scambiarsi opinioni e conoscenze, sia al riguardo della
necessità di modificare le regole adatte per pervenire a nuovi livelli di
decisionalità. Per restare al "caso italiano" il fallimento clamoroso
(ma prevedibile) dell'esperienza tentata dal Movimento 5Stelle al riguardo
della democrazia diretta esercitata attraverso il web ci pone ulteriori
questioni di natura complessa, non facili da affrontare. Dunque:
le nuove conoscenze nel campo dell’intelligenza artificiale fanno risaltare la
questione di chi controlla i dati e di chi controlla gli algoritmi e, insieme,
della necessità di ritrovare un nesso tra il digitale e la dimensione umana del
processo di conoscenza. In
queste condizioni l'idea della semplificazione dell'intermediazioneculturale e politica realizzata attraverso il
"salto" della rappresentanza organizzata si è rivelata molto
pericolosa per l'esercizio della democrazia, almeno così come questa era stata
concepita a partire dalla prima rivoluzione industriale in avanti: quella forma
di democrazia costituzionale che sicuramente è andata in crisi ma al riguardo
della quale non sono state trovate fin qui forme di cambiamento praticabili e
efficaci.
In
ogni caso appare evidente che per affrontare questo livello delle questioni non
è sufficiente sviluppare un discorso limitato al rapporto tra forma di governo/
rappresentanza/ formula di scelta della rappresentanza stessa. Egualmente
però diventa decisivo affrontare il tema della rappresentanza, ponendosi una
domanda: attorno a quale contraddizione si può collocare il confronto a questo
livello, come si regola oggi la relazione tra struttura e sovrastruttura e la
relativa ricaduta sulla presenza istituzionale e la forma di governo
(quest’ultima appare, infatti, decisamente incamminata sul terreno
dell’autocrazia tecnocratica)? Tutto
questo in tempi di vero e proprio disfacimento dell’azione politica. Il
salto nella capacità di delineare una prospettiva si gioca, almeno a mio
giudizio, nel passaggio da un generico riferimento alla necessità di
soggettività ad una proposta di modello di organizzazione della rappresentanza
nelle condizioni economiche, culturali, sociali (di mutamento antropologico,
come è stato fatto notare) date e futuribili, almeno nel medio periodo
(constata anche la velocità assunta dal procedere dei cicli storici così come è
imposta dal vorticare dell’innovazione).
Vanno
in discussione i diversi livelli di organizzazione e aggregazione nel rapporto
tra società, corpi intermedi, sedi di decisionalità politica: quel circuito che
era stato garantito per un lungo periodo dal sistema dei partiti. Si
tratta di reperire un modello di espressione del consenso sviluppato in sedi
adeguate (forse non sarà più sufficiente la sola sede parlamentare e lo stesso
corollario delle istituzioni locali) per arrivare ad affrontare in maniera
sufficientemente equilibrata la normativa necessaria per regolare (e contenere)
l'uso (e lo sviluppo) dell'intelligenza artificiale rispetto al modificarsi
della molteplicità delle attività umane che dovranno relazionarsi in quella
direzione. L'impressione su ciò che si sta verificando è quella di
un'arretratezza "strutturale" della nostra discussione, qui alla
periferia dell'Impero. Non basta discutere su di una governabilità appesa tra
formula elettorale proporzionale o maggioritaria. Così restiamo destinati, alla
fine, ad esprimere una rappresentanza mediocremente corporativa fondata su
interessi immediati e non mediati da un'idea (necessaria da ricostruire) di una
prospettiva futura.