Chi conosce il Piano nazionale di ripresa e resilienza
(Pnrr)? Subito dopo l’ultima riunione
della cosiddetta cabina di regia, Mario Draghi si è presentato ai giornalisti
con un tono distensivo e suadente: “Si può guardare al futuro con prudente
ottimismo e fiducia” ha esordito il presidente del Consiglio. Da qui
l’anticipazione al 26 aprile di diverse aperture, con priorità per le attività
all’aperto e per la didattica in presenza nelle scuole. Il tutto sulla base di
un rischio calcolato sui dati in possesso. Che questi dati siano solidi è stato da subito messo in
dubbio da Massimo Galli direttore del Sacco di Milano che non ci è andato
leggero: “Draghi non ne ha azzeccata una sulla pandemia” è stato il suo duro
commento. In realtà la decisione del Presidente del Consiglio è servita a
mediare fra le varie posizioni interne alla maggioranza. Una concessione a
Salvini, il quale ha subito intascato attribuendosi il merito dell’anticipo
sulle riaperture. Dal canto suo Draghi ha voluto sottolineare che tale
decisione è stata assunta nella cabina di regia (composta da alcuni ministri e dai
capi delegazione di maggioranza) all’unanimità, per cercare di stornare
l’attenzione dalla crescente turbolenza nel governo. Draghi ha negato di avere
mai fatto un appello all’unità non essendovi stato bisogno, dal momento che nel
governo e nella maggioranza si respirerebbe “un’atmosfera eccellente”. Ma tale immagine idilliaca evidentemente non corrisponde
alla realtà, visto che ha dovuto nella stessa giornata difendere apertamente
l’operato del ministro Speranza, obiettivo prescelto per gli attacchi da parte
della destra interna alla maggioranza, oltre che, ovviamente, di quella
esterna. Draghi non è sfuggito al tema dei rapporti fra Esecutivo e Parlamento.
Ma lo ha fatto in chiave puramente paternalistica, riconoscendo da un lato che,
a causa dei tempi stretti in cui si è costretti ad operare, il Parlamento
soffre di una perdita di ruolo e di potestà legislativa, dall’altro assicurando
che la consultazione e i contatti fra il governo e l’assemblea parlamentare non
sono mai venuti meno. In sostanza le modalità che regolano i rapporti fra
Governo e Parlamento sono state aggirate in virtù dello stato di eccezione che
di fatto si è venuto imponendo sotto l’ombrello giustificativo della lotta alla
pandemia.
È il “Draghi sistema”, cioè il vincolo esterno cogestito
dall’interno, come ha scritto Lucio Caracciolo. Ove l’esterno più prossimo è in
questo caso la Ue della cui costruzione reale Draghi è stato uno dei principali
attori nel ruolo decisivo di presidente della Bce. Ed è proprio su questo
versante che si avverte il deficit di trasparenza e dunque di democrazia. A
pochi giorni dalla sua presentazione in Parlamento, anche qui la data chiave è
il 26 aprile, nulla si sa del Piano di Resistenza e Resilienza che pure
dovrebbe giungere a Bruxelles l’ultimo del mese. Raccogliere le osservazioni parlamentari sul vecchio
testo stilato dal precedente governo appare sempre più come un paravento per
nascondere i protagonisti, le modalità e i luoghi effettivi di decisioni cui il
nostro paese resterebbe vincolato fino al 2026, quindi ben oltre la durata di
questa legislatura, sostanzialmente senza possibilità di modifiche. La
principale materia, cioè la ricostruzione del paese, è sottratta all’assemblea
legislativa. Draghi ha detto, e prima di lui Paolo Gentiloni nel ruolo di
commissario Ue, che le regole del debito non torneranno come prima. In effetti sarebbe pazzesco il solo pensarlo, visto il
suo livello che nel nostro paese è giunto al 159,8%. Il più alto degli ultimi
cento anni, mentre il deficit è salito all’11,8%. Quindi il Patto di stabilità
non va solo sospeso, ma completamente ripensato con altri criteri, e il fiscal compact cacciato in soffitta e
fuori dalla nostra Costituzione. Draghi ha ripetuto ostinatamente la sua
formula: bisogna crescere. Ma qualcuno può veramente pensare che in questa
situazione interna e mondiale il nostro paese possa crescere e al contempo
favorire una ripresa dell’inflazione tale da ammorbidire il servizio al debito?
O non è il caso che il governo si faccia portatore in Europa di una proposta
per un taglio del debito, almeno nella parte contratta nella pandemia? Di
questo si è cominciato a discutere nella Ue, ma con troppa timidezza e con
un’alzata di scudi da parte dei “paesi frugali” e di Visegrad che intendono
mantenere la prossima conferenza sul futuro dell’Europa, annunciata il 10 marzo,
rigidamente entro i vecchi conservativi binari lasciando intatti i Trattati.
Draghi ha detto che dobbiamo guardare il mondo con gli
occhi di adesso, non quelli di ieri. Bene. Ma questo non riguarda solo la
finanza ma la concezione stessa della crescita. Questo dovrebbe essere il cuore
del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)e delle “riforme di contesto”, quale quella sul fisco, rimandata
nel tempo e tuttora priva di linee conduttrici. Senza un’innovazione radicale,
una vera e non green washing
conversione ecologica dell’economia, non si “crescerà” qualitativamente, ma
neppure quantitativamente. Parti importanti della società civile, pur nelle
difficoltà del distanziamento forzato, il problema se lo sono posto e hanno
avanzato delle soluzioni. Non c’è bisogno degli esperti della McKinsey per capire
che è con queste intelligenze ed esperienze diffuse che un buon governo
dovrebbe confrontarsi.