Un
ricordo di Fulvio Papi per la recente scomparsa di
Paolo Veronesi Paolo
Veronesi con un improvviso inatteso crudele destino se n’è andato. La sua
eredità culturale è vasta e preziosa. Ne parleremo. Ma per ora mi ha lasciato
quel vuoto che nessuna saggezza può costringere al silenzio. Dobbiamo viverlo
più che elaborarlo, riguarda il sentiero della nostra vita più che
l’oggettività storica del sapere. Poi lo stile della nostra cultura ci getterà
nella sua tradizionale giustizia. Paolo era noto nel mondo dei libri come
l’editore di Ibis che ha dato titoli che resteranno nella fedeltà del tempo più
che opere celebri soprattutto nella rincorsa mercantile del nostro tempo. C’era
nel lavoro di Paolo una misura di prudente eleganza. Nella Casa Editrice sapeva
far circolare l’intelligenza, la scoperta, la rarità, c’era sempre in quelle
pagine qualcosa di educativo. Non per niente la più importante rivista di
teoria dell’educazione volle mettere lì le sue radici. Ora racconterò solo
qualcosa che per lo più non è nota. Erano i tempi dei maestri filosofici
francesi post-sartriani. E dopo una brillante tesi volli mandare Paolo a Parigi
per intonare il discorso. Ma dai celebri e ricchi palazzi romani non arrivava
la più povera borsa di studi destinata suppongo a far quadrare il bilancio.
Paolo andò egualmente a Parigi a sue spese. Io speravo di trovare ancora un
piccolo spazio. Non fu così. Ma Paolo ne ricavò un libretto prezioso su
Foucault che meritò gli elogi più caldi di Umberto Eco. Poi, chiusa una porta,
Paolo aprì quella della Casa Editrice, che da antico accademico, credo di poter
dire che, al fine, sarebbe stata più importante per tutti noi. E ora spero, ma
ne sono sicuro, che quella porta resterà aperta. Ma nessuna metamorfosi né
idealista, né psicanalitica, potrà invertire il cammino “unde negant redire
quenquam”. E in questa solitudine resteremo noi. Fulvio
Papi