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COSTA SAN GIORGIO E I SUOI DIFENSORI
Un momento della maratona civile
a Firenze
Particolarmente onorati
dell’adesione arrivata in questi minuti dall’autore di un’opera fondamentale
per la memoria della storia della nostra città, che gelosamente custodisco, Firenze
architettura e città. Avendo lavorato per parecchi lustri in quella scuola,
mi piace ricordare che una copia del volume e dell’atlante allegato è
anche nella biblioteca di redazione del giornale studentesco “Scuola & non
solo”, uscito in 56 numeri fra il 1992 e il 2018 nell’Istituto di Istruzione
Superiore (una volta ITI-IPIA) “Leonardo da Vinci” di Firenze, in Via del
Terzolle.
Grazie, prof. Fanelli, della Sua firma sotto
il Manifesto Boboli-Belvedere!
Qui il video (purtroppo privo al momento dei primi
interventi, dello scultore Piero Gensini e del ricercatore Paolo
Paoletti): https://youtu.be/t-HiaYoEypM.
Qui l’elenco degli oltre 600 sottoscrittori del Manifesto alla
data del 28 maggio, cortesemente pubblicata sul suo blog ‘Odissea’ da Angelo
Gaccione: https://libertariam.blogspot.com/2021/05/firenze.html.
Per Idra
Girolamo Dell’Olio
Un momento della maratona civile a Firenze |
L’ADESIONE DI FANELLI
Sottoscrivo il Manifesto Boboli-Belvedere
Dovrebbe essere evidente e
addirittura scontato che:
1) la destinazione ad albergo del
complesso dell’ex ospedale militare di Costa San Giorgio è assolutamente
impropria rispetto anche solo a una elementare visione urbanistica e una
basilare corretta gestione urbana;
2) il complesso di Costa San Giorgio
inserito in un progetto di valorizzazione coordinata delle realtà Boboli-Forte
Belvedere-Giardino Bardini, costituirebbe un sistema di spazi
culturali e ricreativi di eccezionale valore per l’intera città tanto da
proporsi come esemplare all’attenzione (ammirazione) della cultura mondiale.
Spero che si riesca a fermare questa delittuosa
mostruosità urbanistica e culturale.
Giovanni Fanelli
già professore ordinario di Storia dell’architettura,
autore dei libri:
Firenze architettura e città,
Vallecchi, Firenze 1973;
Firenze, Le città nella
storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 1980
RIPENSARE LA CITTÀ
di Giannozzo Pucci
Un momento della maratona civile
a Firenze
Costa San Giorgio e identità
Generalmente si è portati a
pensare, anche i politici, che si governa con le leggi, i progetti, i piani
urbanistici, i grandi interventi che “lasciano il segno” nella memoria della
città, in realtà il segno più importante si lascia con la concezione di
governo, che guida le tante piccole o grandi scelte politiche che spingono o
meno i cittadini a fare il bene comune nelle loro attività.
Negli anni ’60, col nuovo piano regolatore, si
confrontarono due visioni opposte, quella di La Pira, che voleva una città
circolare, con una reinterpretazione fedele della sua storia sia in centro che
nei nuovi insediamenti, come si può vedere oggi nel vecchio Isolotto. Vinse
invece la visione di Detti, l’estensore del piano, il quale, a seguito delle
idee moderniste di Le Corbusier, voleva una Firenze che togliesse dal centro
storico tutte le sue funzioni per i fiorentini per trasferirle in gran parte
verso la piana di Nord-Ovest, mentre il centro, come salotto buono, doveva
essere consegnato al turismo e alla rappresentanza.
Questa concezione, contrastante con l’identità
profonda di Firenze è stata seguita, salvo qualche rara eccezione, da tutte le
giunte susseguitesi per 60 anni. Il motivo è che chiunque, anche senza nessuna
cultura della nostra città, può praticarla quasi passivamente, seguendo la
corrente.
Lo sport urbanistico più diffuso è stato quindi
l’esportazione di funzioni anche storiche, come la giustizia, dal centro e per
tutti i vuoti che si sono formati nella politica sono apparse fra i decisori
solo e sempre le stesse idee: 1) un museo; 2) un albergo o residenze
turistiche.
Verso la fine degli anni ’80, Pierluigi Cervellati che
da assessore all’urbanistica è riuscito a mantenere la vitalità moderna e
tradizionale nel centro di Bologna, commentò: “Il centro storico di Firenze è
il più vuoto e il più ingorgato d’Italia.” Ingorgato perché, qualunque
svuotamento si faccia, continuerà ad attrarre con la sua bellezza e magnetismo
tantissime persone: giovani dalle province nelle notti dei fine settimana,
turisti usa e getta o danarosi, ma tutti consumatori della storia dei
fiorentini, i quali in massima parte sono costretti a vivere altrove. La
degenerazione della cultura politica traspare dalla mancanza di memoria, ad esempio
che la nostra creatività spunta anche ora fra persone che vivono o lavorano in
centro e che conoscendolo per quotidiana consuetudine sono più capaci di
proteggerlo.
Una classe politica con un minimo di grazia di stato,
sapendo che quel luogo straordinario corrispondente all’ex scuola di sanità
militare a Costa San Giorgio è in vendita, dovrebbe per prima cosa assicurarsi
che almeno dopo i 99 anni torni alla città e poi cambiare i vincoli di
destinazione urbanistica solo a condizione di garantire una quota sensibile e a
basso prezzo per attività tipiche dell’identità di Firenze e assicurarsi che il
tipo di traffico veicolare sia consono alle strade e alle destinazioni per cui
si concede la funzione d’uso.
a Firenze
domenica 30 maggio 2021
PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
La metafora della guerra
Come ho avuto modo di dire, i simboli alfabetici, in
numero molto limitato, furono ideati dal pastore indoeuropeo per rappresentare
l’attività riproduttiva, per cui la realtà, spesso, è una metafora di ciò che
avviene nel grembo o, meglio, di ciò che si ritiene avvenga. In molti altri
casi ci si servì di quella simbologia per indicare oggetti, sensazioni,
sentimenti ecc. Quando i greci vollero indicare: io odio,
coniarono il verbo: (echtheo) ἐχθ-έω, avvalendosi
di questa semplice perifrasi: è ciò che consegue per me, quando più
passa il tempo e più mi gonfio (perché lego costipando dentro di me tutto
il malanimo, causato dal mancare, nel senso di torti subiti). Quindi,
l’immagine del grembo, cresciuto a dismisura per i torti accumulati, servì a
greci e anche ai latini per indicare che cos’è l’odio. In altra occasione,
infatti, i greci si erano avvalsi di (miseo) μισ-έω per dire: io odio (da cui, in italiano, misantropo),
utilizzando questa circonlocuzione: è ciò che consegue dal rimanere il
legare. A questo proposito si ricorda l’espressione dialettale: “come mi
fa gonfiare!”, ad indicare accumulo di acredine, rabbia, livore.
Poi da (echthos) ἔχθος furono dedotti gli aggettivi: (apekthés) ἀπεχθής: odiato, nemico e (ekthros) ἐχθρός: inviso, nemico, ostile.
I latini coniarono l’aggettivo inimicus, come
contrario di amicus, che è colui con cui trascorro piacevolmente il
tempo, perché c’è un forte legame affettivo da sempre. Invece, il nemico
rappresenta colui con cui non si lega, ma colui che manca, poiché ha fatto gravi
e innumerevoli torti.
Bisogna ricordare che anche la guerra, che
gli antichi ben conoscevano, venne rappresentata attraverso delle metafore
attinenti al grembo. D’altra parte, la guerra avveniva con sbarramenti fissi
(fortezze) e con sbarramenti umani per contrastare l’azione di sfondamento del
nemico.
La creatura che nasce, cresciuta a dismisura, si
protende in avanti (l’immagine del nemico) per conquistare il territorio che
non è il suo (il suo spazio è il grembo). Chi subisce la guerra adotta delle
strategie: erige mura di difesa e chiude con falangi, con legioni e quant’altro
l’unico varco possibile, dove, durante il travaglio, si svolge la battaglia
campale. Quindi, lo spazio strettissimo, in cui si va ad incuneare la creatura
per poter nascere, diventa pericoloso trabocchetto per tendere insidie
mortali.
I greci per indicare battaglia, combattimento,
mischia coniarono (polemòs) πολεμός, che
contiene questa perifrasi: è ciò che si verifica, quando la creatura sta per
nascere: la lotta del travaglio oppure si potrebbe trattare di una metafora
dell’eiaculazione. Poi dissero che, se c’è una battaglia, ci sono i nemici;
pertanto, da πολεμός dedussero (polémios) πολέμιος: nemico, da cui estrapolarono πολεμικός: ciò che riguarda la battaglia, il bellicoso e polemista,
per indicare il combattente, colui che fa la guerra. Gli italici usarono polemico,
polemica, polemista in senso attenuato, forse non tanto in
conseguenza di un combattimento, ma che innesca un combattimento. Quante polemiche
verbali sono il segno di divergenze insanabili o ne sono la causa!
I latini mutuarono il concetto di hostis da
(ostizo) ὠστίζω: spingo, a sua volta dedotto da ὠθ-έω: spingo,
caccio, allontano (significati ricavati dalla perifrasi: è ciò
che si genera dalla crescita della creatura) e da (osticòs) ὠστικός: violento,
impetuoso, attribuendo non solo il significato di nemico, ma
anche di straniero.
Il nemico che ti fa guerra è diverso da te, in
quanto viene da una terra (il grembo), che è misteriosa e sconosciuta ed ha una
potenza micidiale. Nella spinta di chi cresce, c’è il legare (l’accumulo di
odio e di acredine), causato dal mancare (dai torti subiti e dal bisogno). Nel
bambino che si protende in avanti, che cresce (auri sacra fames), c’è tutta la
spinta offensiva (determinata dal legare, quindi dall’odio) di chi vuole
sfondare a causa del mancare, come bisogno incoercibile. Caratteristica del
nemico è essere ostile (va sempre contro) ed è ostico come diverso,
in quanto straniero, anzi: di terra straniera.
I greci, inoltre, coniarono il verbo medio μάχομαι: combatto, contendo, lotto, a seguito di questa
perifrasi: è ciò che deduco per me dal rimanere il passare, che
rappresenta il travaglio. Quindi coniarono μάχη: lotta, combattimento, poi μηχάνη, in dorico μαχάνη, in italiano,
macchina (anche da guerra). Gli italici dedussero, anche, macina (da
cui macigno) e macinare, probabilmente macello, nel senso di fare
una strage e macerie nel senso di rovine conseguenti al combattimento. I
latini con maceria avevano indicato un muro a secco (come
barriera di contenimento) e maceries maceriei come pena, afflizione
per l’esito del parto/guerra. I latini, inoltre, avevano dedotto, mac-eo:
sono macilento, mac-er: magro, esile, quindi: mac-erare.
I latini, per indicare combattimento, battaglia,
duello, si avvalsero di pugna, da collegare al greco (pygmé) πυγμή: pugno, lotta a pugni, lotta, che rappresenta l’accapigliarsi
di due avvinti in una stretta mortale, come la creatura nella fase finale della
nascita. Da chi combatte si dedussero: pugnale, pugnace, come
strenuo combattente, pugnare (combattere), impugnare, come azione
di contrasto, da cui impugnativa e impugnazione, espugnare,
ad indicare la riuscita dello sfondamento con relativa occupazione del
territorio del nemico. I latini con repugnare avevano voluto indicare:
essere in contrasto, essere inconciliabile, essere incompatibile,
per cui con repugnantia indicarono: contrasto, incompatibilità,
inconciliabilità, antipatia, mentre gli italici assegnarono a ripugnanza
il significato di avversione viscerale e di disprezzo fino al
disgusto. Infine, nel mio dialetto l’espressione: tenere una pugna con
uno sta ad indicare: risentimento profondo, con senso di rivalsa per un
torto subito.
I latini, oltre a pugna, coniarono bellum
con significati affini. C’è chi lega bellum a duellum, in quanto le
due metafore sono simili. Con bellum i latini dissero: è ciò che avviene quando
la creatura sta per nascere, con duellum: per nascere c’è da affrontare uno
scontro fatale a due. Da bellum furono dedotti: imbelle, ribelle,
ribellione. Nel mio dialetto: u ribill’ (il ribello) indica una
confusione di gente concitata per un evento coinvolgente.
Per fare la guerra ci vuole l’esercito, per cui i
greci coniarono (stratòs) στρατός, ad indicare
una compagine serrata per impedire il passaggio. Da stratòs furono
dedotti: stratega (se c’è un esercito, c’è una guida), che adotta delle strategie,
che è strategico, che si avvale di stratagemmi. Da rimarcare che gli eserciti greci, come tutti quelli antichi, erano disposti su più file, su più strati,
per cui il concetto di stratificazione (da sterno/stratus dei latini) potrebbe
risalire a στρατός. Inoltre, dedussero στρατό-πεδον: accampamento, che per i latini fu castra
castrorum, come esercito che si sposta per raggiungere la località dello
scontro.
Per non farla troppo lunga, mi voglio soffermare su miles
militis e su esercito.
Miles è colui che si oppone, legando con gli altri commilitoni,
a che avvenga il mancare come nascita. Con mancare si è inteso dire il
venir meno, come cedere e pur di non cedere è disposto al sacrificio
estremo. Da miles furono dedotti milizia e milizie, militare
(aggettivo e verbo) e militanza.
In latino exercitus fu aggettivo e fu nome dedotto:
exercitus exercitus. Dall’aggettivo exercitus: esercitato nelle
avversità, duramente provato, abile a fu dedotto il concetto di
esercizio: in chi ha provato e riprovato ed ha acquisito abilità, ci sono
stati esercizi ripetuti, per cui io prediligo questo tipo di esercizio, in
funzione di acquisire padronanza in, e, in particolare, l’esercizio
della mente, della memoria, delle virtù, della volontà ecc.
Tornando ad esercito, come gruppo compatto
predisposto alla difesa, bisogna ricordare che questo nome fu dedotto dal verbo
arceo: serro, rinchiudo, trattengo, impedisco,
proteggo contro, allontano. Con arceo (da cui arx arcis: roccaforte),
i latini pensarono a tutte le difese per contrastare la nascita della creatura,
in questo senso si parla di metafora del grembo. Da arceo fu dedotto exerceo/exercitum
che è ciò che nasce da arceo: travagliare, tribolare, molestare,
non lasciar riposare, tenere vivo, tenere in esercizio, esercitare.
Dal participio passato exercitus che contiene i significati dedotti da arceo:
proteggo contro ecc. fu dedotto l’esercito: in chi ha protetto
contro, in chi si è esercitato a proteggere contro si deduce il
concetto di esercito.
Ben venga, dunque, l’organizzazione militare per la
difesa, per opporsi all’invasore, così come fu concepito dal civis romano, che,
però, con il passare del tempo, utilizzò l’esercito per compiere invasioni e
per realizzare il dominio sui popoli. A conclusione di queste riflessioni su arceo, mi
piace ricordare che in greco (arceo) ἀρκέω acquisì i seguenti significati: respingo,
allontano, resisto, sto saldo, che fanno sicuramente pensare
a un collegamento con arx arcis, ma anche ad esercito.
I greci per indicare il comandante dell’esercito
avevano coniato stratega (da στρατός), il
polemarco (da πολεμός) e, in un
certo senso, l’arconte polemarco. Inoltre, per indicare chi esercita una
supremazia, si avvalsero di egemone. I latini coniarono dux,
colui che guida. In realtà il duce, nella metafora del grembo, è
colui che ha ideato un abile stratagemma: far crescere la creatura per farla passare
attraverso lo stretto cunicolo.
I greci, per indicare la vittoria, coniarono
(nike) νίκη, che è quella che riporta la creatura che viene
alla luce. I latini coniarono il verbo vinco, con grafia greca υινχω, che è ciò che avviene quando passa/nasce la creatura. Quindi, dedussero
vincitore e da victus (che ha vinto/che è stato vinto): victor
e victoria.
I greci dedussero dal verbo medio (essaomai) ἡσσάομαι: sono
vinto (essa) ἧσσα: sconfitta, da cui, poi, i latini ricavarono vexare/vessare.
I latini, inoltre, si avvalsero di clades: perdita, rovina,
flagello, dedotta, probabilmente, da κλάω: spezzo, tronco o da κλαδεία: potatura. Gli italici usarono s-confitta, dalla creatura
morta durante il travaglio.
Si ritiene opportuno concludere queste riflessioni
sulla guerra, ricordando il processo formativo di pace. Con pax pacis
(anche questa è metafora del grembo), i latini dissero: fa dal generare il
mancare l’andare a legare, in quanto la pace implica il concetto di riappacificazione.
Il pastore latino ricorda che, in natura, dopo il mancare, che
rappresenta la crescita del flusso gravidico, avviene il legame tra
madre e figlio, particolarmente fruttuoso. Nella riconciliazione si
ottengono grandi risultati. La pace è legame che porta come frutto la
nascita della creatura, che è un grande bene. I greci si erano avvalsi di (eirene)
εἰρήνη (da cui in italiano: irenico), che ha lo stesso significato: dopo
il mancare dell’inseminazione, ciò che fa nascere la creatura è il
legare nel grembo (quello tra madre e figlio).
PER DECIDERE INFORMATI
di
Paolo Celebre
Un momento della Maratona civile
a Firenze
Ancora
su Costa San Giorgio
Da un po’ di tempo sulla stampa
cittadina politici ed opinionisti dicono che dobbiamo smetterla col turismo
massificato, che sono preoccupati per il declino di questa città, che dobbiamo riportare
residenti e servizi nel Centro storico e cambiare questo modello di accoglienza.
Ma
poi vediamo che si vorrebbe sostituire il turismo di massa col turismo
elitario, con operazioni tipo questa di Costa S. Giorgio, o quella di via S.
Gallo, di via Bufalini o dell’ex Collegio della Querce e ora di Villa
Basilewsky, e potrei così continuare. Pezzi interi e pregiati della città
consegnati ai resort del lusso, agli appartamenti di charme, ai grandi fondi
immobiliari.
Ci
dicono anche che dobbiamo costruire una “Città della conoscenza” in un clima di
rinnovata apertura ed integrazione fra residenti e giovani delle università, delle
scuole di formazione e delle sturt up e che in questo modo produrremo
vivacità culturale e prosperità economica.
A
noi sembra invece, che al posto di un “Nuovo umanesimo”, abbiamo più lavoro
precario e dequalificato, più movide e più necessità di emigrare per i
giovani, più possibilità di essere impiegati al solo servizio di chi i viaggi
se li può permettere.
Intanto
sempre più residenti e lavoratori impoveriti sono spinti lontano dal Centro storico
e dai quartieri moderni, ai margini dell’area metropolitana o nelle province
vicine, strangolati da affitti e spese diventate insostenibili.
Ci
dicono anche che la città smart dovrà aumentare la sua taglia e che,
dopo aver perso 100.000 abitanti in mezzo secolo e 22.000 negli ultimi 5 anni, paradossalmente
dovrà diventare una “Grande Firenze”, con nuove edificazioni, con il suo
aeroporto, il suo inceneritore, la sua stazione dell’Alta velocità, le sue
confuse e costosissime infrastrutture, a spese del suolo naturale e dello
spazio aperto.
Invece
della città policentrica, fatta di centri storici, nuclei abitati e attività
agricole che generazioni di amministratori ed urbanisti hanno faticosamente difeso,
avremo una grande periferia. Con un milione e mezzo e persino due milioni e
mezzo di abitanti, come favoleggia qualche influente personaggio senza
vergogna: un sogno per tutti i palazzinari.
Così,
fuori dai quartieri eccellenti, continuerà un turismo di massa indigeribile,
per gitanti scesi dalle navi da crociera, per frettolosi frequentatori di musei
e di affitti brevi, per tutti coloro che nel mondo possono ancora permettersi
di disporre di tempo libero retribuito. Mentre i cittadini, privati ora anche
del proprio patrimonio culturale, se vorranno andarci in quella ormai irriconoscibile
Firenze, o raggiungerla per lavoro, potranno sempre farlo in tramvia.
Ma
se vogliamo invece promuovere quello che qualcuno chiama “turismo posato”,
lento e riflessivo, se vogliamo facilitare l’integrazione tra turisti e
residenti, dobbiamo invertire questa mortale distopia. Fermando in primo luogo
operazioni come questa, rivendicando il nostro diritto di decidere informati,
di essere adeguatamente e frequentemente consultati, prima che queste istituzioni
screditate, lo facciano al nostro posto.
Un momento della Maratona civile a Firenze |
SALVARE COSTA SAN GIORGIO
di
M. Cristina François
Un momento della Maratona civile
in Piazza della Signoria
Firenze. Premetto
che la mia riflessione di oggi nasce da un mio lungo lavoro
storico-archivistico sulla Costa San Giorgio le cui tappe sono state illustrate
in 11 articoli che ho pubblicato sulla rivista on line Cultura Commestibile dell’editore
Maschietto.
(https://maschiettoeditore.com/wp-content/uploads/2021/05/Cultura-Commestibile-401.pdf
gli 11 numeri della
rivista sono: 367, 368, 369, 370, 371, 372, 377, 378, 379, 380, 401).
Queste
tappe sono state percorse attraverso vari contesti, quali l’archeologico,
l’idrogeologico, l’architettonico e artistico, il religioso, l’antropologico e
socio-economico.
Riprendendo
ora qui brevemente l’aspetto socio-economico, vorrei fare la riflessione che
segue: il grande albergo che dovrebbe snodarsi al di sopra del complesso di S. Felicita
fino al Vicolo della Cava sarà verosimilmente, come accade, comprensivo di
tutte quelle strutture e attrezzature che rispondono alle esigenze del turista
in questi ambienti di lusso: cioè, stand commerciali interni dove gli ospiti
troveranno ciò che si prevede essi ricerchino.
Di
primo acchito questo universo, in realtà molto chiuso nella sua autarchia, potrebbe sembrare
per Firenze un’occasione di plurime offerte di lavoro in quel contesto, ma se
si riflette e si analizza più a fondo vedremo che per dare vita a nuovi centri
commerciali interni, verrebbero penalizzati quelli esterni che pulsano nella
vita cittadina del quartiere e respirano nel quotidiano da tanti anni, se non
da secoli, portatori - alcuni di essi -
del carico di storia
insostituibile degli stessi locali da loro occupati.
Inoltre,
la verosimile chiusura dei clienti dentro questa grande surface alberghiera riservata, non favorirebbe alcuna vera
interazione con la città. La città, dal canto suo, non avrebbe da guadagnarci
nulla o quasi da questi visitatori d’élite se essi non interagiranno
attivamente anche col settore commerciale diffuso nel quartiere le cui attività
da decenni, se non da secoli, sono svolte nella medesima bottega o in edifici
carichi di una storia sempre più distante dal turismo attuale compreso quello
di élite.
Faccio
alcuni esempi: di fronte alla chiesa di S. Felicita in via Guicciardini, dove
ancor oggi si vendono ricordini turistici, c’era per i visiteurs du grand tour un negozio denominato Souvenirs, a piano
terra del palazzo Nerli dove, fra l’altro, abitò qualche tempo Fedor
Dostoevskij.
In
via Toscanella, al tempo dei Lorena, aveva aperto uno dei suoi laboratori il
legnaiolo di Corte Francesco Spighi; in questo stesso ambiente, oggi, i
restauratori Martelli ne ricordano la continuità.
In
piazza Pitti si vendono ancor oggi dal 1856, i lavorati in pergamena e carta a
mano.
In
piazza San Felice, quella che fu la Spezieria granducale Lorenese è oggi
Farmacia in servizio e conserva nel retrobottega l’annessa sala anatomica
settecentesca. In via Romana, si continua nello stesso locale, la vendita della
produzione artigianale di oggetti in ferro battuto, lampadari in “stile fiorentino”
e arredi. E così seguitando si potrebbe raccontare di botteghe che hanno un
valore aggiunto per la contestualizzazione storica, le ultime, che non devono
morire.
Un momento della Maratona civile in Piazza della Signoria |
sabato 29 maggio 2021
FIRENZE. MARATONA CIVILE
di Girolamo Dell’Olio
Un momento della Maratona
La prima, primissima cosa
da fare, amiche e amici care e cari, sono le nostre scuse con le/i tante/i di
voi che non siamo stati in grado di raggiungere al telefono, o di ammettere al
microfono dopo che avevano avuto la gentilezza di venire all’appuntamento, o di
leggere dopo aver ricevuto i loro apprezzatissimi messaggi. La maggioranza: 32
su 57! È stato possibile infatti raccogliere le testimonianze
di Ugo
Barlozzetti, Paola Grifoni, Antonio Natali, Maria Grazia Messina, Vittorio Maschietto, Mario Bencivenni, Mario Carniani, Mariarita Signorini,
Andrea De Marchi, Paolo Paoletti, Laura Fenelli, Corso Zucconi,
Giorgio Galletti, Francesco Pancho Pardi, Laura Barile, Anna
Guerzoni, Alessia Lenzi, Vincenzo Abruzzo, Sonia Salsi, Mara Visonà,
Luigi Zangheri, Angelo Baracca, Piero Gensini, Antonio Paolucci, Luca
Pezzuto. Ma non c’è stato tempo e modo per ospitare Francesco Re, Leonardo
Rombai, Anna Guarducci, Angelo
Gaccione, Marco Massa, Maria Cristina François, Giuliano Rossetti, Paolo
Celebre, Giovanni Pallanti, Giannozzo Pucci, Adriana
Dadà, Silvia Mascalchi, Maria Letizia Regola, Pamela Giorgi, Moreno Biagioni, Oliva Rucellai, Grazia
Gobbi Sica, Alvaro Company, Marinella Del Buono, Laura
Baldini, Pier Paolo Donati, Padre Bernardo Francesco
Gianni, Abner Rossi, Carlo Spagnolo, Vittorio d’Oriano, Franco
Cardini, Pietro Piussi, Marco Geddes da Filicaia e Giovanna
Lori, Giancarlo Donati Cori, Enzo Pranzini, Ilaria Borletti Buitoni.
Un momento della Maratona |
Chi c’era ha potuto rendersi conto che veramente il
compito era superiore alle forze: l’abbondanza e la qualità delle adesioni ci
hanno costretto a una serie di rinunce dolorose. Perché davvero i contributi
arrivati in forma scritta che non siamo riusciti a leggere, e quelli in voce
che avremmo desiderato ospitare, meritavano e meritano ascolto e diffusione.
Pur coi suoi limiti (non avevamo sedie a disposizione,
e con tutte quelle mascherine era difficile persino riconoscerci), è stata
tuttavia un’esperienza particolare, un bel mix di teste e di cuori: una piccola
galassia di discipline, arti, culture e provenienze differenti, anche
anagrafiche, ha avuto modo comunque di vedersi, incontrarsi,
ascoltarsi. Solo un inizio, speriamo. Una manifestazione di dissenso
partecipato alto, un monito oggettivo a chi amministra senza ascoltare. Ma
anche un abbozzo di cantiere costruttivo di idee.
Si può far meglio, si dovrà far meglio. Noi che lo
abbiamo proposto confidiamo perciò che non si interrompano i legami fra noi, e
anzi che si estendano ad altre esperienze. Per intanto, ci daremo da fare
per raccogliere in un dossier i testi arrivati. Non appena avremo, come
speriamo, le clip video - o almeno gli audio - dei singoli interventi, potremmo
proporvele perché ciascuno provveda, se lo desidera, a trascrivere il proprio e
a regalarci il testo da confezionare nel dossier finale. Che poi potrà prendere
le strade più opportune: Palazzo Vecchio, Palazzo Pitti, la Regione Toscana, il
Ministero dei Beni culturali, l’Unesco…
Se lo condividete, potremmo fare anche un passo avanti
nella comunicazione fra tutti noi, mettendo in chiaro i nostri indirizzi
elettronici. Se ci autorizzate, le prossime mail le invieremo a un elenco
trasparente.
Questo messaggio – che qui parte all’indirizzo di
tutte/i coloro che hanno risposto all’invito alla maratona di oggi - lo inviamo
volentieri anche alla sorpresa della mattinata, la rappresentanza più giovane:
l’Associazione “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”. Con
la collaborazione di Andrea De Marchi, avevamo ipotizzato di affidare loro la
lettura degli oltre 600 nominativi dei firmatari del Manifesto...
ma figuriamoci! Non c’è stato il tempo nemmeno di iniziarla. Meno male che quei
nomi sono tutti comunque qui, https://libertariam.blogspot.com/2021/05/oltre-seicento-adesioni-forte-belvedere.html,
sul sito “Odissea” del caro Angelo Gaccione, che torniamo a ringraziare anche
per questo.
Un caro, carissimo saluto da
Sabina Laetitia de Waal e Girolamo Dell’Olio
UNA TESTIMONIANZA
Impossibilitato a
partecipare alla Maratona davanti a Palazzo Vecchio - per la quale avevo
dichiarato la mia disponibilità -, vi invio un breve messaggio.
Il processo per trasformare Firenze in una città
vittima sempre più del turismo predatorio "usa e getta" sta
procedendo inesorabile ed è destinato a riprendere, nonostante le affermazioni
che "nulla sarà come prima", anche dopo la fine della pandemia. Siccome
però tutto ciò non è frutto del destino "cinico e baro", ma di
precise scelte politiche, è possibile fermare tale processo. Occorre che l'altra
Firenze", quella solidale, attenta alla cura delle persone e
dell'ambiente, fautrice di un turismo consapevole e sostenibile, riesca mettere
insieme le sue molte esperienze ed energie, portandole e facendole pesare
all'interno del Palazzo, riuscendo a bloccare gli interventi oltraggiosi come
quello denunciato dal Manifesto Boboli-Belvedere", difenda la città da chi
vuole consumarla e distruggerla in nome del profitto.
Confido che l'azione oggi concretizzatasi nella
Maratona vada avanti, produca altre iniziative, porti davvero ad una svolta
nelle politiche cittadine.
Buon lavoro a tutte/i noi!
Moreno Biagioni
ALCUNI MOMENTI DELLA MARATONA