2001-2021 Il Forum Sociale Mondiale e il movimento
altermondialista. Bilancio provvisorio e alcune
considerazioni per il futuro I A
vent’anni dal primo Forum Sociale Mondiale (Fsm) di Porto Alegre del gennaio
2001 e in seguito in Italia, nel luglio dello
stesso anno,
gli avvenimenti del G8 di Genova si possono avere due modi. Il solito e rituale
modo della celebrazione, il rinverdire il protagonismo di taluni e talune in
quegli eventi ecc. oppure, atteggiamento
più
fecondo, riflettere e ponderare alla luce dei decenni trascorsi per trarre le
lezioni e per proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente
impariamo nel cammino. II Ovviamente
il fenomeno dei movimenti antisistemici e della mobilitazione mondiale della
società civile e dei movimenti sociali e politici contro la globalizzazione
neoliberista non data solo dal primo Fsm di Porto Alegre. Si
è sempre detto che il Fsm, e il corrispondente movimento altermondialista, non
è un “dato”, bensì è un “processo”. E come tale presenta dei prodromi, delle
premesse, presenta un percorso evolutivo che rimonta almeno nei decenni
precedenti. Con il trionfo del neoliberismo negli anni Ottanta e poi ancor più
negli anni Novanta, dopo la fine del socialismo reale e la contemporanea crisi
e fine dei movimenti di liberazione nazionale, dei progetti nazionali e
popolari (Samir Amin) dei cosiddetti paesi non-allineati. La fine, inoltre, del Terzo Polo mondiale così spesso non preso in considerazione
per capire cosa è cambiato nel volto del pianeta. Negli
anni Novanta il movimento zapatista e le varie mobilitazioni contro lo
strapotere delle multinazionali rientrano in questo percorso. Nel 1997, grazie
al lavoro di François Houtart e di Samir Amin, creammo il Forum Mondiale delle
Alternative (Fma) e nel gennaio 1999 lo stesso Fma, in collaborazione con altri
organismi, in primo luogo il gruppo attorno al mensile francese “Le Monde
Diplomatique”,organizza a Davos
(Svizzera), sede dell’annuale Forum Economico Mondiale, un controvertice,
l’AltraDavos, composto di movimenti sociali e di intellettuali contestanti i
dominanti che lì si riuniscono per disegnare le strategie a favore della
globalizzazione e del capitalismo
neoliberista. Già
nell’Altra Davos emergono con nettezza non solo le ragioni della contestazione
e dell’opposizione al corso dominante nel pianeta, bensì soprattutto le ragioni
della proposta di un’altra visione della storia e della società, della proposta
delle alternative per “un altro mondo possibile”. Alla
fine del 1999 avviene la mobilitazione contro il
vertice del Wto
(o Omc, Organizzazione Mondiale del Commercio) a Seattle in Usa.
E quegli scontri in modo fisico e
visibile
mostrarono che esistevano gruppi umani,
classi sociali, movimenti sociali, sindacati, partiti, aree del mondo, soprattutto
del Sud Globale ecc. che non erano disposti ad
accettare passivamente le diseguaglianze e le ingiustizie determinate da quello
che imponevano i dominanti su scala mondiale. Con
queste premesse, nel 2000 si crearono le condizioni
per organizzare un incontro mondiale detto Forum Sociale Mondiale, contrapposto
al Forum Economico Mondiale dei potenti di Davos, ma significativamente in una
località del Sud del mondo. Porto Alegre, città del Brasile governata dal PT
(Partido dos Trabalhadores), mise a disposizione
le sue strutture per accogliere delegati e partecipanti all’evento nel gennaio
2001. Con il prezioso concorso del vescovo locale
che mise a disposizione l’area e le strutture della Pontificia Università
Cattolica (Puc).
III Un
evento straordinario, impressionante, emozionante, intenso, profondamene umano
e profondamente politico. Fervore partecipativo di dibattiti, di confronti, di
comunicazione di analisi e di esperienze negli incroci di persone, di
militanti, di intellettuali e di attivisti provenienti da tutte le parti del
mondo. Movimento intergenerazionale come pochi. Vecchi attivisti forgiatisi nel
‘68 e negli anni Settanta, del Nord Globale e del Sud Globale, assieme a
giovani e giovanissimi.Autoapprendimento
collettivo poiché alto il tasso di consapevolezza e di formazione culturale e
politica di noi partecipanti. Veramente
noi che vi partecipammo abbiamo avuta netta la sensazione che si era all’inizio
di un’altra epoca storica. Così
si espresse Lula, da poco divenuto presidente del Brasile, in un memorabile
comizio nella manifestazione di apertura del terzo Fsm di Porto Alegre del gennaio 2003, “Il Forum
Sociale Mondiale è il fatto politico più importante della nostra epoca”. Non è
retorica, non è enfasi ingiustificata. Lula espresse perfettamente quello che
pensavamo e quello che molti media percepivano, molti loro malgrado. Circa
100.000 presenze, tra delegati e partecipanti, migliaia di dibattiti, tra seminari e workshops, la sensazione vera che si fosse
realizzata quella “convergenza nella diversità” che avevamo indicato nel Manifesto
del Forum Mondiale delle Alternative. Soggetti sociali e correnti culturali,
spesso storicamente in concorrenza oppure semplicemente non dialoganti, che si intrecciavano virtuosamente poiché le sfide lanciate
dal neoliberismo e dalla ferrea presa del capitalismo globalizzato erano
molteplici. In una visione olistica e non settoriale, così dal lato dei
dominanti. Così specularmente doveva essere dal lato del movimento
altermondialista. Gli inizi furono davvero esaltanti.
Fino al punto più alto raggiunto con la grande manifestazione globale indetta
dal Fsm del marzo 2003. Circa 11-13 milioni di partecipanti in 650 città del
mondo intero, contro la guerra che gli Usa di lì a poco avrebbero scatenato
contro l’Iraq. Il New York Times enfaticamente decretò che quella
palesatasi nella manifestazione globale era “la seconda potenza mondiale ormai rimasta
nel pianeta” dopo la fine dell’Urss, essendo ovviamente gli Usa la prima
potenza globale. Nondimeno, la guerra non fu fermata e di lì a poco iniziò un
lento declino.
IV Qui di seguito una breve rassegna dei
problemi che si presentarono da subito ma che si acuirono con il passare del
tempo. L’occasione, come cartina di
tornasole, per individuare chiaramente i problemi e le contraddizioni del Fsm si
presentò al quinto Fsm di Porto Alegre 2005 (il quarto si tenne in India, a
Mumbai). In quel Forum un gruppo di intellettuali “organicamente” legati al
movimento altermondialista (José Saramago, Eduardo Galeano, Samir Amin, Ignacio
Ramonet, François Houtart, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, Adolfo Perez
Esquivel, Aminata Traoré ecc.) propose il Manifesto di Porto Alegre. In
esso si elencavano i problemi e si proponevano alcune misure per risolverli e per
ridare slancio al Fsm. In primo luogo, un ruolo più attivo e
politico del Fsm con l’individuazione di campagne annuali condivise su scala
mondiale alle quali attenersi e vincolanti per gli aderenti al Fsm. Le
reazioni, per la verità un poco scomposte, furono immediate da parte di
esponenti di movimento e di associazioni, con l’accusa ai promotori di detto Manifesto
di indebita intromissione “politica” e di snaturamento del Fsm quale “spazio
aperto” della “società civile mondiale”. In realtà, in alcuni di loro la evidente
paura di perdita del ruolo, del loro effimero potere entro il Fsm. Questi problemi e queste
contraddizioni, per punti.
1.Houtart espresse bene lo stato delle cose. Il
confrontarsi, fino alla polarizzazione netta, nel Fsm di due anime compresenti.
Estremizzando. Da una parte la visione del Fsm come “spazio aperto”, come
“fiera delle alternative”, come una “Woodstock sociale”, un happening di
alternativi mondiali con canti, balli, incontri ecc. Dall’altra, la visione del
Fsm come fosse una “Internazionale”, sul calco della tradizione delle
Internazionali operaie, socialiste e comuniste, nelle quali si adottavano misure
ferree, vincolanti per chi faceva parte del consesso. In realtà, allo “spazio aperto” come
indubbiamente era il Fsm occorreva affiancare anche, senza la forzatura di una
direzione da Comitato Centrale, lo “spazio d’azione”. Il Fsm come “soggetto
politico” su scala mondiale con il quale i vari poteri mondiali, sovranazionali
e nazionali, dovevano giocoforza misurarsi. 2.La “Carta dei Principi” del Fsm impediva la partecipazione
dei partiti politici in quanto tali. Senonché i partiti politici vi
partecipavano con la copertura spesso di associazioni, movimenti, sindacati
ecc., da essi ispirati e sostenuti. Legittimamente. I Fsm erano pieni di
militanti, bandiere, persone partecipanti ecc. aderenti a questi partiti. Solo
l’ostinazione, e l’ipocrisia anche, di taluni organismi della “società civile”
potevano negare questo. Dimenticando che, se non poteri istituzionalizzati, le
formazioni politiche e i sindacati sono essi stessi “società civile”. Senza il contributo determinante dei
brasiliani, del Pt, del governo Lula ecc. il Fsm non avrebbe avuto quella
spinta iniziale così straordinaria. E aggiungendo, dall’altro versante, che il
Fsm ha usufruito di risorse economiche provenienti da varie Fondazioni, come la
Fondazione Ford, la Fondazione Friedrich Ebert (socialdemocrazia tedesca) ecc.
3.Connesso ai problemi precedenti, la questione del ruolo
del Consiglio Internazionale (Ci). Concepito in origine come “facilitatore” e
come organo di coordinamento tra un Fsm e l’altro, il suo ruolo e la sua
composizione hanno rappresentato un problema costante. Dapprima egemonizzato da
una sorta di alleanza franco-brasiliana, i “fondatori”, alla fine molto ruolo
vi hanno avuto esponenti di Ong e di associazioni del Nord Globale con molti
mezzi, anche economici, a disposizione. Una sola testimonianza, per capire. Come Forum Mondiale delle Alternative
e come Punto Rosso, abbiamo da subito avviato il programma “Asia, Africa,
America Latina a Porto Alegre”. Con il proposito di raccogliere fondi per
pagare le spese di viaggio e di soggiorno al Fsm di dirigenti e di esponenti di
movimenti sociali provenienti dal Sud del mondo e non aventi le risorse per
pagarsi viaggio e soggiorno. Un solo esempio, al Fsm 2003 abbiamo dato il
contributo a un dirigente di uno dei sindacati di braccianti agricoli del
Bangladesh. Dieci milioni di iscritti (diconsi, 10 milioni) e quasi nessuna
risorsa extra oltre le spese loro di organizzazione. Ebbene, un organismo
simile, di tale dimensione e di tale significato non aveva posto nel Consiglio
Internazionale. Molta autoreferenzialità ha afflitto
il CI e nel tempo esponenti significativi lo hanno abbandonato. Oltre
naturalmente, con il tempo trascorso, al decesso di esponenti storici di valore
di tale organismo. Infine, nel 2016, il Consiglio stesso,
con lodevoli eccezioni al suo interno, si è rifiutato di assumere una posizione
di sostegno a Dilma Rousseff, esposta alle trame e al colpo di stato
giudiziario in corso in Brasile per spodestarla. 4.La ricchezza di plenarie, seminari, workshops ecc. si è
risolta in una dispersione enorme. Proprio nel senso della “fiera” e dello
“spazio aperto”. Con l’aggravante della ripetitività. Tra un Fsm e l’altro
quasi nessuna trasmissione di accumulazione di conoscenza e di analisi, di
alternative e di indicazioni d’azione. Un bazar. Bello sicuramente, alimentante i
processi preliminari necessari della coscientizzazione e della sottrazione di
consenso al corso dominante, ma poco efficace rispetto al compito dell’azione
per contrastare i dominanti mondiali e in vista della costruzione di
alternative possibili, praticabili. In vista di “un altro mondo possibile”.Infine, la questione dei temi su cui lavorare e su cui dare
la priorità. Al Fsm di Salvador de Bahia 2018 si sono tenute iniziative su “la
musica hip hop” e su “donne e calcio” ecc.
5.Già al Fsm Dakar 2011 Samir Amin lamentava che ormai le
lotte decisive nel mondo si svolgevano fuori dal Fsm. Il Fsm non vi aveva ruolo
se non marginale. Aveva perso la centralità originaria. Così è stato nel corso
di questi anni.Dopo la crisi del 2008, “Occupy Wall
Street” a New York, gli “Indignados” a Madrid e iniziative simili contro la
finanza mondiale e contro le enormi diseguaglianze del nostro tempo in altre
parti del mondo hanno mobilitato centinaia di migliaia di persone, soprattutto
giovani. Il promettente movimento giovanile
Fridays For Future, sul futuro del pianeta, sui cambiamenti climatici e
sull’ambiente, purtroppo fermatosi a seguito della crisi epidemiologica, ha
raggiunto lo scopo di richiamare l’attenzione e di porre all’ordine del giorno
dei potenti la questione ambientale e la questione del cambiamento climatico. E
alcuni settori di questo movimento indicavano proprio nel capitalismo il
principale responsabile di tali misfatti. La grande mobilitazione, tra la fine
del 2020 e l’inizio di quest’anno, con tanto di repressione e di scontri in
piazza, di centinaia di migliaia di contadini e di braccianti indiani a seguito
delle misure del governo Modi di cancellazione dei sostegni alla piccola
agricoltura contadina di sussistenza indiana a vantaggio dell’agrobusiness e
delle multinazionali è stata pressoché ignorata in Europa e in Italia in
particolare. Uno dei tanti esempi delle lotte che si svolgono purtuttavia e che
il Fsm non riesce ad intercettare. Diversamente dalla fase ascendente del
movimento altermondialista, nel quale il movimento contadino (Via Campesina)
rappresentava circa 100 organizzazioni contadine sparse nel mondo con milioni
di aderenti, moltissime donne. V Tuttavia le ragioni del movimento e
del Fsm rimangono inalterate. Anzi con la crisi epidemiologica in corso, in
sovrappiù alla crisi economica e alla crisi ecologica-climatica, il Forum e il
movimento altermondialista sono più attuali e necessari che mai. Nell’agosto 2020, molti dei promotori
del primo Manifesto di Porto Alegre del 2005, dopo che eminenti figure,
nel frattempo, erano scomparse (Saramago, Galeano, Amin, Houtart, Wallerstein),
hanno lanciato un Secondo Manifesto di Porto Alegre. Nel quale si
auspica e si espone una riforma del Fsm e del suo Consiglio Internazionale alla
luce delle indicazioni di cui sopra. Non solo “spazio aperto”, ma anche e
soprattutto luogo nel quale si elaborano azioni da intraprendere su scala
mondiale. Affinché il Fsm torni a essere protagonista di quei movimenti sociali
e di quelle lotte per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale e
climatica, tanto più necessari oggi, a fronte delle grandi crisi globali del
mondo contemporaneo.
VI Alcune non peregrine considerazioni
finali. Spesso abbiamo sofferto di retorica,
metafisica, autocompiacimento ecc. La “geometrica bellezza” del movimento,
dell’associazione, del “grassroots”, l’onnirisolvente retorica dello altrimenti
necessario “dal basso”. Senonché la forma-movimento e i suoi leader hanno
presentato e presentano spesso l’impulso a egemonizzare, al pari dell’impulso a
egemonizzare tipico della forma-partito, dei partiti. Di non tutti, in verità e
per fortuna, movimenti e associazioni e formazioni politiche. Un avvio di soluzione è quello di
sempre. Imparare sempre e umilmente porsi in ascolto (il sacrosanto
“autoapprendimento collettivo”) e nella disposizione di testa e di cuore, di
sentimenti, di mettersi democraticamente in relazione, di cooperare, di
“convergere nella diversità”. Infine, uscire dalla morsa tipica di
sempre racchiusa nel detto “chi sa non agisce e chi agisce non sa”. Meglio
forme anche imperfette di attivismo sociale e politico che almeno producono
qualcosa a vantaggio dei subalterni e dei più deboli, non ultimo l’ambiente,
che la “geometrica bellezza” di teorici dottrinari che vedono sempre all’opera
la non adeguatezza e l’insufficienza di tali movimenti rispetto al compito di
trasformare lo stato di cose.