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lunedì 17 maggio 2021

DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA
di Paolo Vincenti


 
Fare ammuina è un vezzo non solo napoletano, ma tutto italiano: significa fare confusione, sparigliare le carte per non far capire davvero come sta la situazione. Così pure pazziare, cioè scherzare, divertirsi mattamente, per non pensare ai guai, come stanno facendo in queste ultime settimane sempre più spesso torme di giovani nei luoghi della movida delle varie città italiane nei fine settimana. Si assembrano, si accalcano, bevono e ballano, alla faccia del covid e delle prescrizioni date da uno stato paternalistico ed ecatonchiro (come i mitologici giganti dalle cento braccia e dalle cinquanta teste), che tutto vuole controllare e alla cui vigilanza è impossibile sfuggire. Fanno bene, i festaioli italiani, ad incontrarsi senza curarsi delle misure di sicurezza, come hanno fatto i tifosi dell’Inter festeggiando lo scudetto, oppure sono degli irresponsabili, degli incivili, degli egoisti? Come sempre, la verità sta nel mezzo. Se è censurabile l’atteggiamento irresponsabile dei ragazzi che non rinunciano alla movida e allo spritz, è d’altro canto vero che essi sono esasperati da una situazione che non hanno determinato e da restrizioni che, in alcuni casi, sono francamente incomprensibili, sebbene di Stato. Del tutto naturale poi è la voglia di divertirsi, di far festa. In Italia, scrivono gli studiosi, non esiste più la dimensione del tragico, si è persa del tutto a partire dal Novecento. Per esempio, in teatro non si scrivono più tragedie, questo genere letterario è ormai desueto. Eppure, anche prima della drammatica epidemia, di tragedie ne accadono in Italia, nel senso di eventi collettivi disastrosi o luttuosi, vedi i terremoti dell’Abruzzo, dell’Emilia, del Lazio, il crollo del Ponte Morandi, sui quali di rapina calano i vari sciacalli. Le tragedie sono materia viva sulla nostra pelle, anzi purtroppo ci stiamo addirittura abituando ad esse perché da qualche anno in qua costituiscono parte integrante della nostra quotidianità. E allora trionfa il genere comico, riscuotono successo la farsa, il cabaret, la commedia brillante. La gente, per contrasto, vuole divertirsi, pazziare appunto, basti pensare ai record di incassi dei film di Checco Zalone. Quanto più tragica è la situazione sanitaria, economica e politica del nostro Paese, tanto più noi scherziamo e la mettiamo sul sarcasmo e sullo sberleffo. Al di fuori delle drammatiche contingenze di un evento catastrofico, o forse proprio a cagione di queste, dopo un primo momento di sbandamento generale, quando il Paese sembra unirsi in un unico afflato, in un solidale abbraccio collettivo, poi viene naturale il riflusso, giunge l’insofferenza di fronte al perdurare della tensione emergenziale, e nel popolo si insinua una visione distorta della realtà, edulcorata, in qualche modo anestetizzata. La gente, cioè, preferisce la crapula e lo scherzo, all’amara consapevolezza. Ciò si verifica soprattutto in certi periodi dell’anno, come a Natale, a Carnevale e durante le ferie estive. Tutti cercano di divertirsi per non pensare ai guai. E cosa fa la classe politica (palesemente impreparata ad affrontare l’emergenza)? Da un lato vigila, reprime, stimmatizza, condanna, dall’altro strizza l’occhio, accondiscende, abbozza. Si barcamena, insomma, come può.  Domina l’ipocrisia. Anche l’attuale classe politica, come quelle che l’hanno preceduta, offre di sé una versione menzognera, falsa, ai cittadini. E del resto, l’aveva detto già Machiavelli che “governo e virtù sono irreparabilmente separati, così come sono separate legge e verità, essendo ormai massima virtù del legislatore la simulazione”.