PUMA. IL LIBRO DELLA TRILOGIA di Federico Migliorati
Giuseppe Puma
Giuseppe
Puma, poeta e scrittore da sempre nonché figlio d’arte il cui sguardo non è mai
rivolto alla superficie, ma calato nella profondità dell’esistenza, ritorna in
libreria con il terzo e ultimo volume della trilogia, iniziata con Amor
contra Amorem e proseguita con Amato per Amare, dal titolo Annunciare
per Amore (Edizioni Ancora, 113 pagine, euro 12), impreziosito dalla
prefazione di suor Ilaria Mazzotta e dalla postfazione di Stefano Taccone. Puma
licenzia questo suo nuovo, pregevole lavoro dopo un percorso che lo ha visto
preda della sofferenza e della malattia dalle quali è riemerso con il suggello
di una fede matura e temprata, schierata insistentemente nel senso dell’amore
per l’uomo e per il Cristo a cui egli si affida senza riserve. Il testo si compone
di una congerie di generi che spaziano dalla poesia all’aforisma sino a
riflessioni personali ed acute che aggettano su un terreno mietuto in
precedenza dalla religiosità popolare. Siciliano di nascita, ma ormai milanese
d’adozione, l’autore immette nella sua produzione la personalità multiforme e
poliedrica che gli deriva dalla verace e solare terra della Trinacria
“ammorbidita” dal rigore pragmatico meneghino. Al Dio che egli prega Puma
chiede di posare la Sua mano sulla propria per stendere versi: mani che
lavorano e che creano, che danno forma al pensiero consentendo di trasferire il
suo dire oltre il sé. Nella riservatezza e nell’umiltà che gli sono proprie
osserva la Croce nell’angolo più lontano del Duomo, figlio del Figlio, alla cui
Croce definita “luce secolare” chiede la forza di una fede costantemente
attenta e feconda. Anche nelle peripezie che il tempo aggetta sull’umanità, la
morte è considerata nell’esperienza letteraria e personale di Puma quale “fonte
d’amore grande, che Dio ha riversato nei suoi figli”: lo smarrimento lascia il
posto alla granitica certezza d’una dimensione altra da abitare fuori dai
confini spazio-temporali, accanto a quel Dio “che ci verrà incontro e ci donerà
il suo eterno e infinito amore”. Per giungere a tale consapevolezza, tuttavia,
è necessario un continuo rinnovamento della fede, come scrive Taccone
riferendosi al percorso biografico dell’autore, nella consapevolezza che “dove
c’è amore c’è umiltà”.
La copertina del libro
Il verso così come il narrare prosastico racchiudono un
rimando continuo tra i luoghi della propria infanzia e dell’età adulta e quelli
citati dalla Bibbia: ciò serve a richiamare la presenza e a sentire intimamente
connaturato con la propria vita quel Cristo che si palesa “nel soffio del vento
tiepido del Sud” che “scuote le foglie secche delle robinie”. Anche nel
silenzio, sempre più raro in questo nostro tempo preda di un rumore di fondo
che avvelena il dialogo con sé e con gli altri, la divinità si manifesta come
“verità senza sorprese”, solida a fronte di fugaci felicità che se ne vanno
“nell’abisso di tante angosce”, come quelle provate dall’autore che chiede a
Cristo di parlargli ancora “facendo tacere ogni altra voce nel mio animo”.
Meditazione, contemplazione, impegno interiore sembrano, a mio avviso, i
termini che fungono da paradigma, parte di quel “trittico della coscienza e
dell’afflato spirituale” che chiude con questo libro un ciclo di introspezione.