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lunedì 14 giugno 2021

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
Tenebre e luce
 
Per i greci e per i latini la notte è la raffigurazione del grembo materno. Il simbolo fonico-grafico fu quasi lo stesso. I greci dissero (nyx nyktòs) νύξ νυκτός, avvalendosi di questa similitudine: la notte è simile all’ambiente in cui vive la creatura durante la gestazione. Da νύξ fu dedotto l’aggettivo νυχίος: notturno, oscuro; si è fatta questa osservazione per rimarcare che il κ del genitivo di νυκτός, in realtà, è un χ.
I latini, ricalcando, ripeterono: nox noctis: la notte è come il periodo della gestazione. I greci mitizzarono l’oscurità, identificandola con l’Erebo, mentre i latini crearono gli In-feri e gli italici: In- fer-no. Da ricordare che fero: porto, per greci e latini, inizialmente, indicò il portare in grembo.
Anche ten-ebra richiamò lo stesso ambiente, in quanto si tratta di un deduttivo di ten-eo, che è il risultato della seguente perifrasi: (le tenebre) si desumono dalla creatura tenuta grembo. I latini, inoltre, con una radice greca: λαθ (lath) di (lanthano) λανθάνω: nascondo, coniarono, oltre a lat-eo, latebra (nascondiglio al buio).
Il concetto di nero fu desunto, parimenti, dal grembo, nelle forme di (melas) μέλας, da cui, in italiano, melena e melanoma, e di niger. Nero, logicamente, fu dedotto anche da bruciato, che fece pensare al nero del carbone. Nel mio dialetto nero si pronuncia -uro, che, oltre a rimandare a niger, potrebbe essere collegato a uro: brucio; per cui nìuro potrebbe essere il risultato di questa perifrasi: si genera dentro il bruciare.
I greci, per indicare brucio, utilizzarono (kaio) καίω, da cui le radici κα e καυ; si avvalsero anche di (aitho) αθω, di (flego) φλέγω. Dalla radice (kau) καυ si ebbero, in greco e in italiano, cauterizzare e caustico, mentre, in dialetto, prese forma cau-do. Dalla radice κα furono dedotti: caleo (sono caldo/ardente), caldo, calore, carbone, caligine, candela, candeggio, candido, incandescente. Da (aitho) αθω (la cui traduzione letterale è: ciò che faccio dal nascere il crescere): accendo, brucio, ardo, i greci, oltre a etere, derivarono: (aithale) αθάλη: fuliggine e (aithygma) αίθυγμα: favilla, scintilla. Molto probabilmente da αθω fu dedotto anche (aster) στήρ: stella, in quanto la sillaba (as) ας si deve leggere (ath) αθ.
I latini da αθω estrapolarono: eterno (in quanto l’etere c’è sempre), aestus (calore intenso, vampa), aestas aestatis: estate. Da (flego) φλέγω: brucio, incendio, infiammo, i greci dedussero (flox flogos) φλόξ φλογός: fiamma e flogosi, mentre i latini ricavarono molto probabilmente: flamma e flagro: ardo, avvampo, quindi: deflagro e conflagro.



I greci coniarono (espera) σπέρα: sera, tramonto, da cui, in italiano: vespero e vespertino, attraverso questa metafora del processo formativo: il venir meno (del grembo) dopo il suo sollevamento. Poi dal concetto di tramonto del sole indicarono l’occidente e, quindi, favoleggiarono sulle Esperidi.
I latini coniarono obscurus: oscuro, buio, indistinto, che è l’aggettivo che mostra com’è la notte del grembo. Gli italici o trasformarono obscurus in scuro oppure coniarono quest’ultimo aggettivo come omologo di espero, per indicare non tanto il buio della sera, ma l’imbrunire, l’orario della fine delle fatiche o delle cure. C’è, inoltre, da ribadire che crepuscolo dei latini fu dedotto da creper, crepera, creperum: oscuro.  
Greci, latini e italici, per indicare il periodo di luce, si avvalsero di (emera) μέρα, dies e giorno, con i quali simboli indicarono sicuramente le ore di luce per dispiegare le loro attività, oltre al computo del numero di giorni necessari per la nascita della creatura. Infatti, i greci dissero: dal generare il rimanere (anche delle fatiche) dopo l’incubazione notturna, inizia il legare come sollevamento e come inizio dell’attività lavorativa. I latini furono più stringati: va a generare il mancare (il tramonto), l’andare a legare: il sollevamento del grembo, come sorgere del sole e l’inizio delle fatiche. Gli italici, prendendo a prestito il verbo (ornymi) ρνυμι: mi alzo, mi sollevo, dissero: quando si solleva quello che era venuto meno: il sole.
I greci dalla radice (fa) φα (genera il nascere/dal nascere) coniarono (fos fotòs) φς φωτός: luce, fiaccola, lume, attraverso questa perifrasi: dal nascere il legame, avviene la spinta che porta, gradualmente, alla nascita, e, quindi, alla luce. Dalla radice fa gli italici coniarono favilla e facelle (anche quelle leopardiane), mentre da fotòs, in tempi moderni, si coniarono: fotografia e fotosintesi.



Inoltre, i greci coniarono il verbo (lampo) λάμπω: splendo, sfavillo, brillo, da cui dedussero: (lampas lampados) λαμπάς λαμπάδος: fiaccola, torcia, mentre gli italici utilizzarono: lampo, lampada e lampadina, lampeggiare, lampante, coniando anche: lam(p)terna/lanterna.
I greci, in aggiunta, formarono un’altra radice (lyk) λυχ (scioglie il passare, meglio: fa nascere durante la gestazione) da cui estrapolarono: λυχνός: lume, lampada, lucerna. I latini si avvalsero di λυχ per coniare lux lucis, attraverso questa perifrasi: nasce la creatura ed è inondata di luce. Quindi, formarono luceo: brillo, splendo, quindi; lucente, lucentezza, lucido, lucidare, lucignolo (è da collegare anche a λυχνός), luna, lume, illuminare ecc.
I latini, inoltre, da λυχνός dedussero lustrare: rischiarare, illuminare, da cui: illustre, illustrare, perlustrare ecc. Nel mio dialetto c’è: il lustro, che è la luce che irrompe nella stanza, anche attraverso le fessure, e l’espressione: n’agg’ dat’ lustr’ (gli ho dato lustro). C’è da aggiungere che i latini con lustrare tradussero anche: purificare (da cui: le acque lustrali), la cui radice è λούω: lavo, mentre con lustrum (lustro come periodo di tempo) indicarono il sacrificio espiatorio, che avveniva ogni cinque anni, al termine della carica dei censori.



I latini coniarono fulgeo: lampeggio, sfolgoro, scintillo. Come si è avuto modo già di dire, la desinenza eo di fulg indica ciò che deduce il pastore dalla radice fulg, da rendere: è ciò che si genera venendo alla luce. Da questa radice furono dedotti: fulgur, quindi folgore, folgorare, folgorazioni, fulmine, fulgente, fulgido, fulgore.
Per riscaldarsi, accendendo il fuoco, e per fare luce era necessaria quella che i latini chiamarono scintilla e i greci (spinthèr) σπινθήρ, da cui in italiano spinterogeno. Come ho già detto poco sopra, i greci dedussero scintilla anche da αθω (brucio), formando αίθυγμα (è ciò che si genera bruciando).
Fermo restando che scintilla è una parola, di per sé, deittica e, quindi, si vede come fuoriesce e che cosa provoca, si deve dire che anche questo lemma rimanda al grembo materno. Il pastore latino disse: è ciò che nasce per forte pressione (avendo in mente la rottura delle acque), determinandone la fuoruscita. I greci si erano avvalsi della stessa similitudine: è ciò che si genera, crescendo la spinta per la forte resistenza opposta. Dal concetto contenuto in σπινθήρ, gli italici dedussero spinta: si genera dentro quando manca il passare (quando non si riesce a passare) oppure da πήγνυμι/πάγνυμι: conficco, se i latini coniarono impingo/impactum: spingo in, contro.
Forti contrasti, anzi fortissime frizioni determinano scintille dalle conseguenze incalcolabili, per cui Lucrezio poté dire: videmus accidere ex una scintilla incendia passim (da una sola scintilla divampano incendi molto estesi) e Dante aggiunse: poca favilla gran fiamma seconda.