Tenebre
e luce Per i greci e per i latini la notte è
la raffigurazione del grembo materno. Il simbolo fonico-grafico fu quasi lo
stesso. I greci dissero (nyx nyktòs) νύξνυκτός, avvalendosi
di questa similitudine: la notte è simile all’ambiente in cui vive la
creatura durante la gestazione. Da νύξ fu dedotto l’aggettivo νυχίος: notturno,
oscuro; si è fatta questa osservazione per rimarcare che il κ del
genitivo di νυκτός,
in realtà, è un χ. I
latini, ricalcando, ripeterono: nox noctis: la notte è come il
periodo della gestazione. I greci mitizzarono l’oscurità, identificandola
con l’Erebo, mentre i latini crearono gli In-feri e gli italici: In- fer-no.
Da ricordare che fero: porto,per greci e latini, inizialmente,
indicò il portare in grembo. Anche
ten-ebra richiamò lo stesso ambiente, in quanto si tratta di un
deduttivo di ten-eo, che è il risultato della seguente perifrasi: (le
tenebre) si desumono dalla creatura tenuta grembo. I latini, inoltre,
con una radice greca: λαθ
(lath) di (lanthano) λανθάνω:
nascondo, coniarono, oltre a lat-eo, latebra (nascondiglio
al buio). Il
concetto di nero fu desunto, parimenti, dal grembo, nelle forme di
(melas) μέλας,
da cui, in italiano, melena e melanoma, e di niger. Nero,logicamente, fu dedotto anche da bruciato, che fece pensare al nero
del carbone. Nel mio dialetto nero si pronuncia nì-uro,
che, oltre a rimandare a niger, potrebbe essere collegato a uro: brucio;
per cui nìuro potrebbe essere il risultato di questa perifrasi: si
genera dentro il bruciare. I
greci, per indicare brucio, utilizzarono (kaio) καίω, da cui le radici κα e καυ; si avvalsero
anche di (aitho) αἴθω, di
(flego) φλέγω.
Dalla radice (kau) καυ
si ebbero, in greco e in italiano, cauterizzare e caustico, mentre,
in dialetto, prese forma cau-do. Dalla radice κα furono dedotti: caleo (sono
caldo/ardente), caldo,calore, carbone, caligine,
candela, candeggio, candido, incandescente.
Da (aitho) αἴθω (la cui
traduzione letterale è: ciò che faccio dal nascere il crescere): accendo,
brucio, ardo, i greci, oltre a etere, derivarono: (aithale)
αἰθάλη: fuliggine
e (aithygma) αίθυγμα:
favilla, scintilla. Molto probabilmente da αἴθω
fu dedotto anche (aster) ἀστήρ:
stella, in quanto la sillaba (as) ας si deve leggere (ath) αθ. I
latini da αἴθω
estrapolarono: eterno (in quanto l’etere c’è sempre), aestus
(calore intenso, vampa), aestas aestatis: estate. Da
(flego) φλέγω:
brucio, incendio, infiammo, i greci dedussero (flox flogos)
φλόξφλογός:
fiamma e flogosi, mentre i latini ricavarono molto probabilmente:
flamma e flagro: ardo, avvampo, quindi: deflagro
e conflagro.
I greci coniarono (espera) ἑσπέρα: sera,
tramonto, da cui, in italiano: vespero e vespertino,
attraverso questa metafora del processo formativo: il venir meno (del
grembo) dopo il suo sollevamento. Poi dal concetto di tramonto del sole
indicarono l’occidente e, quindi, favoleggiarono sulle Esperidi. I latini coniarono obscurus:
oscuro, buio, indistinto, che è l’aggettivo che mostra com’è
la notte del grembo. Gli italici o trasformarono obscurus in scuro oppure
coniarono quest’ultimo aggettivo come omologo di espero, per
indicare non tanto il buio della sera, ma l’imbrunire, l’orario della fine
delle fatiche o delle cure. C’è, inoltre, da ribadire che crepuscolo dei
latini fu dedotto da creper, crepera, creperum: oscuro. Greci, latini e italici,
per indicare il periodo di luce, si avvalsero di (emera) ἡμέρα, dies e giorno,
con i quali simboli indicarono sicuramente le ore di luce per dispiegare le
loro attività, oltre al computo del numero di giorni necessari per la nascita
della creatura. Infatti, i greci dissero: dal generare il rimanere
(anche delle fatiche) dopo l’incubazione notturna, inizia il legare
come sollevamento e come inizio dell’attività lavorativa. I latini furono più
stringati: va a generare il mancare (il tramonto), l’andare a legare:
il sollevamento del grembo, come sorgere del sole e l’inizio delle fatiche. Gli
italici, prendendo a prestito il verbo (ornymi) ὅρνυμι: mi alzo, mi
sollevo, dissero: quando si sollevaquello che era venuto
meno: il sole. I greci dalla radice (fa) φα (genera
il nascere/dal nascere) coniarono (fos fotòs) φῶςφωτός: luce, fiaccola, lume, attraverso questa
perifrasi: dal nascere il legame, avviene la spinta che porta,
gradualmente, alla nascita, e, quindi, alla luce.
Dalla radice fa gli italici coniarono favilla e facelle
(anche quelle leopardiane), mentre da fotòs, in tempi moderni, si coniarono: fotografia
e fotosintesi.
Inoltre, i greci coniarono
il verbo (lampo) λάμπω: splendo, sfavillo, brillo, da cui
dedussero: (lampas lampados) λαμπάςλαμπάδος: fiaccola, torcia,
mentre gli italici utilizzarono: lampo, lampada e lampadina,
lampeggiare, lampante, coniando anche: lam(p)terna/lanterna. I greci, in aggiunta, formarono
un’altra radice (lyk) λυχ (scioglie il passare, meglio: fa nascere
durante la gestazione) da cui estrapolarono: λυχνός: lume, lampada,
lucerna. I latini si avvalsero di λυχper coniare lux lucis,
attraverso questa perifrasi: nasce la creatura ed è inondata di luce.
Quindi, formarono luceo: brillo, splendo, quindi; lucente,
lucentezza, lucido, lucidare, lucignolo (è da
collegare anche a λυχνός), luna, lume, illuminare
ecc. I latini, inoltre, da λυχνόςdedussero lustrare:
rischiarare, illuminare, da cui: illustre, illustrare,
perlustrare ecc. Nel mio dialetto c’è: il lustro, che è la luce che
irrompe nella stanza, anche attraverso le fessure, e l’espressione: n’agg’
dat’ lustr’ (gli ho dato lustro). C’è da aggiungere che i latini con lustrare
tradussero anche: purificare (da cui: le acque lustrali), la cui
radice è λούω: lavo, mentre con lustrum (lustro come periodo
di tempo)indicarono il sacrificio espiatorio, che avveniva ogni
cinque anni, al termine della carica dei censori.
I latini coniarono fulgeo:
lampeggio, sfolgoro, scintillo. Come si è avuto modo già
di dire, la desinenza eo di fulg indica ciò che deduce il pastore
dalla radice fulg, da rendere: è ciò che si genera venendo alla luce.
Da questa radice furono dedotti: fulgur, quindi folgore, folgorare,
folgorazioni, fulmine, fulgente, fulgido, fulgore. Per riscaldarsi, accendendo
il fuoco, e per fare luce era necessaria quella che i latini chiamarono scintilla
e i greci (spinthèr) σπινθήρ, da cui in italiano spinterogeno.
Come ho già detto poco sopra, i greci dedussero scintilla anche da αἴθω (brucio), formandoαίθυγμα (è ciò che si genera
bruciando). Fermo restando che scintilla
è una parola, di per sé, deittica e, quindi, si vede come fuoriesce e che
cosa provoca, si deve dire che anche questo lemma rimanda al grembo materno. Il
pastore latino disse: è ciò che nasce per forte pressione (avendo in
mente la rottura delle acque), determinandone la fuoruscita. I greci si erano
avvalsi della stessa similitudine: è ciò che si genera, crescendo la spinta
per la forte resistenza opposta. Dal concetto contenuto in σπινθήρ,
gli italici dedussero spinta: si genera dentro quando manca il passare
(quando non si riesce a passare) oppure da πήγνυμι/πάγνυμι: conficco, se i
latini coniarono impingo/impactum: spingo in, contro. Forti contrasti, anzi
fortissime frizioni determinano scintille dalle conseguenze incalcolabili, per
cui Lucrezio poté dire: videmus accidere ex una scintilla incendia passim
(da una sola scintilla divampano incendi molto estesi)e Dante aggiunse:
poca favilla gran fiamma seconda.