Pagine

mercoledì 4 agosto 2021

ETERNA MARCINELLE
di Franco Astengo

 
I nuovi schiavi di una nuova Marcinelle

Continuano i giorni del nostro lutto: ieri Laila El Harim, operaia precaria di 40 anni è stata uccisa, risucchiata dalla macchina sulla quale lavorava in una fabbrica di confezioni vicino Modena. Due mesi fa nel Pratese in analoghe circostanze la morte della ventenne Luana D’Orazio.
Dispregio della sicurezza e libertà di licenziare accompagnano la cosiddetta “ripresa e resilienza” da un’epidemia causata prima di tutto dal ritmo folle e dalla distruzione ecologica voluta da un meccanismo di accumulazione incontrollata che distingue questo capitalismo del XXI secolo.
Tutte questo (e molto altro) avviene nei giorni in cui ricorre il 65° anniversario della strage di Marcinelle.
Un ricordo che cerchiamo di perpetuare ad ogni scadenza proprio allo scopo di elevare - ancora e nonostante tutto - un monito contro lo sfruttamento e che proprio adesso assume un valore molto particolare.
L’8 agosto di 65 anni fa, 262 minatori, di cui molti italiani, morirono nelle miniere di carbone a Charleroi, in Belgio, nella miniera di Marcinelle a causa di un incendio.
Ricordare oggi quei caduti deve significare ritrovare nel quotidiano le ragioni della nostra ostinata ricerca per “abolire lo stato di cose presenti”.
Non si può allora far altro che ritornare a quanto descritto da Marx e Engels nel “Manifesto”: il proletario è senza proprietà, il moderno lavoro industriale, il moderno asservimento al capitale, identici in Francia, come in Inghilterra, in America come in Germania lo hanno spogliato di ogni carattere internazionale.
Ebbene quella tragedia di Marcinelle, quell’ 8 Agosto 1956 dimostrò per intero la veridicità dell’analisi marxiana: i morti, i sacrificati all’idea dello sviluppo anche quella volta, anzi mai come quella volta non avevano nazione, erano soltanto degli sfruttati portati all’estremo sacrificio come Laila e Luana.
 Nella modernità di oggi tutto questo è ancora ben presente, da Modena a Prato, da Dacca a Città del Messico.
In trent’anni la forza lavoro globale è aumentata di un miliardo e duecento milioni di donne e uomini. Quaranta milioni in un anno. Più di centomila al giorno. Settantacinque al minuto. È il ritmo con il quale crescono le fabbriche in Cina e si affollano le periferie: da Giakarta a Hanoi, da Mumbai a Lagos, da Johannesburg al Cairo. Si ascolta qui il respiro del mondo, si misura l’idea di uno sviluppo capitalistico globale che intensifica lo sfruttamento, scuote le relazioni tra le potenze, modifica i rapporti di forza tra le classi, spinge i padroni a schiacciare i proletari. Nell’Occidente sviluppato e maturo emergono tratti di vero e proprio “ritorno all’indietro” alle condizioni sociali della prima rivoluzione industriale, quelli descritti dalle pagine di Dickens o di Zola. È sempre attuale e presente il "nostro Germinale".
Aumenta la pressione sulla condizione operaia in Europa come in America, il Sud del mondo viene usato per esasperare la concorrenza e costruire le condizioni dell’esercito di riserva, si sviluppa la politica imperialista contro i salari, le grandi potenze si contendono i territori nel cui sottosuolo si ritrovano i materiali per far funzionare il crudele meccanismo del modello consumistico proposto dall'hig-tech senza alcun rispetto verso chi è nato e chi vive quelle terre. Non si possono coltivare illusioni localiste, nazionaliste, protezioniste: la sola strategia per ricostruire, in Occidente come altrove, la forza di una politica di contrasto allo sfruttamento e di nuova coesione sociale attraversa i popoli, la grande massa degli sfruttati, quanti si muovono nell’incertezza più assoluta alla ricerca di una vita appena appena più accettabile e, nella gran parte dei casi, viene brutalmente respinta dal mondo dei ricchi.
La memoria di Marcinelle, momento storico esemplare nell’idea della ferocia dello sfruttamento, deve servire prima di tutto a ricordarci questo.