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lunedì 27 settembre 2021

BENI CULTURALI
di Lodovica Braida*


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Biblioteche d’autore e costruzione dell’identità letteraria.
Vittorio Alfieri e la biblioteca ritrovata.
 
 
Le biblioteche d’autore ci consentono, in casi fortunati, di avvicinarci al mondo misterioso della creazione letteraria, lasciando affiorare gli interessi e le passioni di una vita. Ma entrare nel “laboratorio” di uno scrittore attraverso le sue letture non è certo semplice: i libri spesso scompaiono con l’autore, oppure si disperdono in mille rivoli senza possibilità di ricomporre la biblioteca nella sua interezza. Qualche volta però succede che le biblioteche perdute e i loro cataloghi riaffiorino, illuminando tratti di vita letteraria e artistica di una luce nuova. È stato così per le biblioteche di numerosi autori, tra cui Montaigne, Pico della Mirandola, Montesquieu, Voltaire e ora anche Alfieri, di cui Christian Del Vento (Université Sorbonne Nouvelle, Parigi) ha ricostruito le complesse vicende dei libri che avevano accompagnato il tragediografo italiano fino al 1792, quando, il 18 agosto, dovette partire precipitosamente dalla capitale francese, a causa dei tragici esiti degli eventi rivoluzionari.
Era una biblioteca con edizioni preziose quella che Alfieri aveva dovuto abbandonare alla svelta. Invano aveva sperato di ritracciarla, anche perché quei libri avevano accompagnato il lavoro di redazione delle sue tragedie, dei trattati politico-filosofici e della prima stesura della Vita. Per lungo tempo, di quella biblioteca si è saputo poco: la mancanza di un catalogo completo, la dispersione di numerosi volumi nelle biblioteche parigine, la vendita attraverso il mercato antiquario, e le traversie del sequestro, avevano impedito di ricostruirne le peculiarità. Si conosceva invece la seconda biblioteca di Alfieri, quella costituita dopo il 1793, a partire dai pochi libri che era riuscito a portare con sé fuggendo da Parigi, e poi accresciuta fino alla morte, una biblioteca nota agli studiosi sin dal 1825, quando fu donata dal pittore François-Xavier Fabre, erede della contessa d’Albany, alla sua città natale, Montpellier. Ma la curiosità per le sorti della prima biblioteca non si era mai spenta…
Era una biblioteca con edizioni preziose quella che Alfieri aveva dovuto abbandonare alla svelta. Invano aveva sperato di ritracciarla, anche perché quei libri avevano accompagnato il lavoro di redazione delle sue tragedie, dei trattati politico-filosofici e della prima stesura della Vita. Per lungo tempo, di quella biblioteca si è saputo poco: la mancanza di un catalogo completo, la dispersione di numerosi volumi nelle biblioteche parigine, la vendita attraverso il mercato antiquario, e le traversie del sequestro, avevano impedito di ricostruirne le peculiarità. Si conosceva invece la seconda biblioteca di Alfieri, quella costituita dopo il 1793, a partire dai pochi libri che era riuscito a portare con sé fuggendo da Parigi, e poi accresciuta fino alla morte, una biblioteca nota agli studiosi sin dal 1825, quando fu donata dal pittore François-Xavier Fabre, erede della contessa d’Albany, alla sua città natale, Montpellier. Ma la curiosità per le sorti della prima biblioteca non si era mai spenta…
E finalmente, nel 2000, Del Vento, dopo lunghe ricerche, ha rinvenuto presso gli Archives Nationales di Parigi l’inventario dei libri di Alfieri confiscati dalle autorità rivoluzionarie. A partire da questo “tesoro” inesplorato, lo studioso è riuscito a individuare un elenco di circa 3400 volumi, di cui è stato possibile, grazie alla ricerca nelle biblioteche italiane, francesi, inglesi e statunitensi, identificare il 46% dei volumi appartenuti allo scrittore.
Ma il risultato più importante di questa ricerca, anche per le sue ripercussioni metodologiche, è quello di aver individuato nella biblioteca la connessione con il “laboratorio” letterario dell’autore, portando attenzione al rapporto tra lettura e scrittura, cioè a quanto alcuni libri abbiano influito sulla sua creazione letteraria, ma soprattutto a quanto la biblioteca abbia contribuito a costruire l’immagine d’autore che Alfieri voleva consegnare alla posterità.
A differenza di quanto traspare dal catalogo del sequestro, il tragediografo aveva preparato un elenco dei suoi libri assai più scarno: poco meno di mille volumi, quasi esclusivamente appartenenti alla tradizione classica greco-latina e italiana. Arrivò così a falsificare la realtà, eliminando dal catalogo la gran parte dei libri francesi che attestavano le sue letture dei philosophes e di altri autori francesi di successo, che tanto aveva apprezzato durante la sua giovinezza. Volendo trasmettere alle generazioni future l’immagine ideale della sua attività di scrittore in lingua italiana, aveva cercato di cancellare, con una sorta di autocensura, la testimonianza di ogni lettura che non fosse riconducibile al canone classico, antico o italiano. Un segno che la costruzione dell’autorialità passa anche attraverso le biblioteche d’autore.
  
*Università degli Studi di Milano
Centro Apice