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martedì 14 settembre 2021

COSTA SAN GIORGIO
di Andrea De Marchi*


La vicenda di Costa San Giorgio è clamorosa, ma, evidentemente, non abbastanza. Il problema è la cornice più vasta in cui si inscrive, che è l’assenza di un disegno maggiore. Non sono fiorentino, però ho legato il mio mestiere, i miei studi a questa città, ed è per me un dolore vivere la deriva progressiva verso lo spopolamento e lo snaturamento di questo museo a cielo aperto: che, nei fatti, è un museo diffuso, ma che, di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno sta diventando altro. Costa San Giorgio è uno degli angoli cittadini più belli e più densi di storia. Gli amministratori di oggi saranno ricordati per avere dato un contributo decisivo non già a riqualificare e a rendere questo museo diffuso palpabile a un pubblico sempre più consapevole e vasto, ma a creare una gentrificazione diffusa, come ben detto da Maria Grazia Messina. La città diventa così uno scenario da cartolina, non è più vissuta da chi la abita, da chi ci studia: e questo accade perché manca una politica illuminata.
Non ci sono solo i conventi di Costa San Giorgio, c’è un patrimonio vastissimo di palazzi, di chiostri, di conventi: penso, ad esempio al chiostro di Sant’Apollonia, al degrado in cui versa, alla possibilità viceversa che ci sarebbe di ripopolarlo mettendolo a servizio come foresteria per gli studenti e facendone, poi, uno dei tanti possibili gangli di un vero museo diffuso. Da Costa San Giorgio, dai conventi di San Giorgio e dei Santi Girolamo e Francesco, vengono la Madonna giovanile di Giotto, che per anni non s’è più vista nel museo chiuso di Santo Stefano al Ponte, vengono opere di Giovanni da Milano, di Pesellino, di Baldovinetti, e di tanti altri.
Questi luoghi potranno essere riappropriati e ripopolati solo in una prospettiva a lungo termine: ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che, perdendoli nell’immediato, li perdiamo per sempre, ci inibiamo queste prospettive. È una consapevolezza che deve germinare, e nutrirsi di attenzioni quotidiane, continue. Nel nostro piccolo, all’università cerchiamo di educare i giovani a questa consapevolezza, insegnando loro che la ricchezza del nostro patrimonio è, innanzitutto, dietro l’angolo, dietro casa.
A Firenze è stato fatto un errore strategico, è stato fatto quando si è scelto di potenziare i Grandi Uffizi, invece di creare gli Uffizi diffusi. Avrebbero potuto ripopolare Sant’Apollonia, facendone un Museo del Quattrocento. Il chiostro grande di Santa Maria Novella è già un museo di suo, ma pensate alla possibilità di arricchirlo riportandovi le opere migrate all’Accademia e al Bargello e altrove, di restaurare ed esporre il patrimonio inestimabile di corali miniati e di parati tessili, di raccontare la storia di quel complesso straordinario e del Trecento a Firenze. Cosa pensa di farvi il Comune? Sono solo esempi fra tanti. Perché non si investe su questo, con progetti forti? La deriva verso la privatizzazione e gli usi impropri è ovunque. Guardate qui davanti a Palazzo Vecchio, il Palazzo della Mercanzia: forse avrebbe meritato qualcosa di più che non il Gucci Garden! In una posizione così strategica vi avrebbe potuto trovare posto un centro di accoglienza per i turisti, dove farli ragionare e arricchire le loro conoscenze, introdurli a percorsi alternativi dentro la città, magari con l’ausilio di strumentazioni multimediali.
La vicenda di Costa San Giorgio è aberrante, e va contrastata, ma non è che è la punta di un iceberg, l’epifenomeno su cui bisogna meditare per invocare un’inversione di tendenza, per costruire pratiche, attenzioni e strategie che in questa città – dispiace dirlo – drammaticamente mancano. Anche altre città, come Venezia, si avviano verso un destino simile a quello di Firenze: e questo sarà inevitabile, se non c’è movimento capillare, che parta dal basso, in maniera molecolare, a partire dalla riqualificazione e dalla riappropriazione dei luoghi.
 

*prof. ordinario di Storia dell’arte medioevale
(Università degli studi di Firenze)