IL CUORE DELL’EUROPA E LA GUERRA di
Gianmarco Pisa
Mobilitazioni
di pace e giustizia nei Balcani, dagli anni Novanta ad oggi.
È
noto
che le “guerre dei Balcani”, il lungo ciclo di conflitti che ha segnato il
collasso e lo smembramento della Jugoslavia, a partire dal 1991 e fino ai
conflitti in Kosovo tra il 1998 e il 1999, hanno rappresentato una pagina,
complessa e dolorosa, della più recente storia d’Europa, e hanno, al tempo
stesso, costituito una sorta di paradigma del conflitto etno-politico del nostro tempo, nel quale finiscono per confluire tanto la
strumentalizzazione a fini di potere della cosiddetta questione nazionale,
quanto la manipolazione della dimensione umanitaria come chiave di impropria
legittimazione, presso le opinioni pubbliche occidentali, di ingerenze ed
interventi armati. Al tempo stesso, lo spaccato balcanico, con tutto il valore
simbolico della lacerazione del tessuto di convergenza e di solidarietà tra i
popoli che veniva a rappresentare e con tutto il carico emotivo segnalato dal
ritorno, pesante e sanguinoso, della guerra nel cuore dell’Europa, è stato, come tante volte è stato messo in
evidenza, anche il teatro di una vivace partecipazione democratica e di una intensa
mobilitazione solidale tra le più significative e straordinarie dei tempi
recenti: una mobilitazione, di carattere internazionale, chiaramente dislocata
«contro la
guerra e per la pace» e che ha indicato una potente testimonianza di pacifismo
concreto, di «concreta
utopia», animata
da associazioni e comitati, reti civiche e solidali, cittadini e cittadine,
attivisti e attiviste, che si sono attivati e mobilitati, appunto,
personalmente e concretamente, per cercare di prevenire il, massacro, fermare
la violenza, fornire sostegno e supporto.
Quella
testimonianza trova oggi l’occasione preziosa di una rievocazione e di una
riflessione grazie alla mostra dal titolo «Wake up, Europe! Support and
solidarity mobilizations with Bosnia and Herzegovina and its citizens,
1992-1995» (Svegliati, Europa! Mobilitazioni di sostegno e solidarietà con la
Bosnia - Erzegovina e i suoi cittadini, 1992-1995), su iniziativa del Museo di Storia
della Bosnia-Erzegovina, in collaborazione con il “Memory Lab” e con il
supporto dell’Istituto Francese e del Goethe Institute di Bosnia-Erzegovina. La
mostra, inaugurata lo scorso 20 ottobre, presso il Museo di Storia della
Bosnia-Erzegovina, a Sarajevo, rappresenta un’occasione preziosa per riflettere
su quel periodo storico e sugli eventi che lo hanno attraversato e lacerato, ma
anche per interrogarsi sul presente, sulla solidarietà internazionale e sulle
concrete utopie del nostro tempo, sull’attivismo e la lotta per la pace e
contro la guerra, nel tempo difficile della nostra attualità, a cavallo tra
crisi economica e sociale, conseguenze della pandemia e del «governo della pandemia»,
con il corollario di misure ad essa legate, incessante militarizzazione e vecchi
e nuovi nazionalismi. Come infatti segnala
la presentazione della mostra, si tratta di «un esempio di solidarietà europea
nel recente passato che può essere di grande ispirazione per il presente:
durante la guerra in Bosnia-Erzegovina del 1992 - 1995, numerose iniziative sono
sorte in Francia, Germania, Spagna, Italia, Svezia, Repubblica Ceca ed altri Paesi;
cittadini, ONG, gruppi informali e artisti hanno promosso sostegno e
solidarietà alla Bosnia - Erzegovina e ai suoi cittadini in vari modi: aiutando
i rifugiati giunti in diversi Paesi europei; raccogliendo e consegnando cibo,
medicine, vestiti e altri materiali a Sarajevo e in Bosnia-Erzegovina;
organizzando incontri, manifestazioni, campagne ed altre attività, volte a
mobilitare i propri concittadini, fare pressione sui propri governi... e
sostenere i gruppi civici in Bosnia e in altre parti della ex Jugoslavia. Si è trattato di una mobilitazione ampia ed eterogenea,
un misto di impegno umanitario e di impegno civile..., e per
molti degli attori coinvolti, la cooperazione e la solidarietà con la Bosnia-Erzegovina
sono proseguite anche dopo la guerra».
Tra i tanti Paesi, ricordati anche in
questa cornice, non si può dimenticare l’impegno che ha attraversato da un capo
all’altro il nostro Paese, impegnato in una mobilitazione solidale, pacifista e
antimilitarista, che ha rappresentato, lungo tutti gli anni Novanta e, in
alcuni casi, anche oltre, un esempio di attivazione solidale e di impegno politico di grande portata. Se, da un lato, è pressoché
impossibile completare un elenco esaustivo e minuzioso delle centinaia di
attivazioni, spesso piccolissime, ma non per questo meno significative, che
hanno animato e continuano ad animare il panorama della solidarietà
internazionale e internazionalista con popoli e comunità dei Balcani e, in
particolare, della ex Jugoslavia, dall’altro è possibile ricordare almeno
alcune pagine. La marcia dei Cinquecento a Sarajevo, ad esempio, lanciata
dall’appello di mons. Tonino Bello dell’estate 1992 e
concretizzata grazie soprattutto all’impegno dei Beati Costruttori di Pace, che
porta, il 6 dicembre 1992, cinquecento pacifisti a partire da Ancona alla volta
di Sarajevo. La marcia per la pace e la nonviolenza (una forma di interposizione
nonviolenta) Mir Sada (Pace Ora), tra il 2
e il 14 agosto 1993. La campagna Kosovo I Care, organizzata, in
particolare, dai Beati Costruttori di Pace, l’Associazione Papa Giovanni XXIII,
MIR e Pax Christi, cui prendono parte oltre duecento attivisti, partiti da Bari
il 7 dicembre 1998. La Campagna Kosovo per la nonviolenza e la riconciliazione, promossa dai Beati Costruttori di Pace, Agimi,
MIR e Pax Christi, capace di coinvolgere circa venti associazioni e di
sviluppare, tra il 1993 e il 2003, quattro delegazioni, tra il 1995 e il 1997,
il progetto della Ambasciata di Pace a Prishtina, capoluogo del Kosovo, e tra il 2000 e il 2003,
formazione per formatori e formatrici al dialogo inter-etnico. E ancora, in
tempi più recenti, il programma dei Dialoghi di Pace nei Balcani e in Kosovo,
dal 2002 al 2006; il lavoro del Corpo Nonviolento di Pace della Operazione Colomba in Kosovo, dal 1998 al
2010, e dei Corpi Civili di Pace in Kosovo a partire dal 2011. Spesso, come si vede,
piccoli progetti, capaci di innescare energie nel lavoro di pace e di
solidarietà, tra i tanti esempi di “utopia concreta”, da sviluppare ancora e
ancora, nella memoria e nell’impegno.