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domenica 10 ottobre 2021

IN CAMMINO
di Pierpaolo Calonaci


 
“Odissea” e Centro Gandhi, un incontro per costruire
nuovi campi di comprensione.
 
La riflessione di Rocco Altieri (nata da un confronto tra due modelli poi non così tanto distanti, nemmeno storicamente, tra l’opera di Scotellaro e quella di Domenico Lucano in Calabria) pubblicata su Odissea del 6 ottobre scorso sancisce l’inizio di un percorso comune fra due realtà, quella del Centro Gandhi e quella di Odissea. Da buon camminatore ho appreso che quando s’incontra qualcuno, lungo il cammino, questo assume un aspetto diverso; non perde della propria autonomia e libertà così faticosamente conquistate, ma acquista, volentieri e altrettanto liberamente, un grado più profondo che ne caratterizza la nuova e sorprendente relazione. Altrimenti l’incontro sarebbe solo una sorta di sfregamento tra due estranei o peggio una retorica.
Il significato della riflessione di Altieri, oltre alla comparazione tra due fatti storici e politici, si pone (ecco il nesso che mi sta a cuore sottolineare) nel crocevia che già Terzani aveva delineato, affermando che “occorre dedicarci a creare campi di comprensione invece che campi di battaglia”. Per cui contiene un senso che va oltre lo scritto stesso, distaccandosi dal modello tradizionale con cui siamo abituati a osservare la realtà, in generale i fatti sociali che la compongono. Su questo punto vorrei soffermarmi, in quanto la costruzione teorica e pratica di uno o più campi di comprensione non può pretendere di giungere semplicisticamente e immediatamente alla comprensione dei legami molteplici che costituiscono i fatti sociali.



Vorrei iniziare col dire che solitamente guardiamo ma di rado osserviamo: cioè, consideriamo l’oggetto che ci sta di fronte (qualsiasi sostanza esso abbia, la Natura, l’Uomo, i fenomeni, la tecnica, la scienza, il potere, la Pace, ecc.) come un qualcosa che più di tanto non ci deve avvicinare, mantenendo, così, una dimensione fortemente centrata sul soggetto che guarda. L’oggetto, particolarmente l’ambiente - lo spazio storico-sociale in cui esso si manifesta -  assumono un’importanza, diciamo, relativa, anche se conservano la loro primazia. Ciò che in questo modello non può accadere è una feconda relazione, una contaminazione. Senza di questa la ricerca, l’osservazione, la messa in gioco del costituito (elementi fondanti una costruzione di nuovi campi di riflessione) rimangono a livello retorico poiché producono qualcosa d’inerziale dedotto dal loro non coinvolgimento; si parla così di scienza cosiddetta oggettiva senza ammettere che in essa non abita alcunché di umano né di umanizzante, di emotivo, di erotico (nel senso socratico di ricerca appunto) ma essa è semplicemente un avvicinarsi a un oggetto che diventa, presto o tardi, merce. Perché appunto il soggetto lo guarda come valore di scambio. È evidente che non può esserci nessuna relazionalità nella realtà così guardata. Il reale è relazionale sosteneva il sociologo Pierre Bourdieu (1930-2002), cioè il fossato culturale, antropologico e scientifico tra soggetto e oggetto non è colmato come qualcosa da nascondere ma è razionalmente criticato e trasformato in modello di osservazione più analitico, più flessibile, maggiormente capace di cogliere le correlazioni e la complessità di cui la società contemporanea è costituita. Complessità sospinta, non dimentichiamolo, da un’accelerazione che rende i fatti sociali ancor più sfuggenti e dissimulati, e a quanti vogliano impegnarsi a osservarne gli effetti dominanti, tanto più misconosciuti e difficili da interpretare.


Il contributo a cui Altieri invita ha questo merito che, a parere mio, oggi, è assente o mancante nelle analisi comuni: aver condotto, sull’intreccio tra poesia, impegno politico, tra dimensione estetica della vita e il suo coinvolgimento pratico, creativo, utopistico nella sfera politica, una relazione feconda e critica tra la norma e la normalità che le istituzioni - innervate da strutture e leggi socio-economiche di chiaro stampo - impongono (con i loro apparati burocratici, i loro linguaggi, le loro cosiddetta sacralità) e l’individuo (che ha a cuore altre norme), tanto da produrre, in quella relazione, una tensione destabilizzante. La scienza, quindi, non è un mero strumento, ma è il modo stesso con cui osserviamo e con cui agiamo e, come la poesia rivoluziona il reale, la scienza ne rifiuta ogni dogmatismo. Tutto ciò permetterebbe che i fatti sociali, e il loro presunto ordine stabilito, vengano còlti nella loro relazionalità, ponendo così “l’attenzione non solo sulla relazione con ciò che è ma anche sulla relazione con ciò che – per caso, o per motivi che devono essere scoperti, non è”. (cfr. G. Paolucci, Introduzione a Bourdieu, p. 39, 2011). Questo modo di osservare permetterebbe di avvicinare, precipuamente, la realtà materiale e simbolica del dominio, come ne siamo colonizzati a nostra insaputa, come lo interiorizziamo, lo manteniamo in vita, vi collaboriamo più o meno coscientemente. Di questo un giornalismo di pace dovrebbe assumersene la responsabilità; se la Pace, come dimensione, come sentire, come discorso non sia davvero tramontata definitivamente all’orizzonte del vivere contemporaneo.
L’invito di Altieri, dunque, promuove un tipo di giornalismo di pace come tensione e ricerca con cui la Domanda maieutica torni al centro della riflessività di ognuno, come pratica e come atteggiamento spirituale. Oserei affermare che l’utopia concreta della sua analisi risiede in quella conversione dello sguardo che accompagna (o dovrebbe) da sempre tutte le scienze umane e sociali (e non solo) ma soprattutto ogni individuo che si mette in cammino, come diceva Gandhi, non per ottenere alcuna verità ma per farsi illuminare da questa.