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sabato 9 ottobre 2021

LINGUA E IDENTITÀ NAZIONALE
di Federico Migliorati

 
Qualche tempo fa, dopo un contatto iniziale per il tramite di un comune amico, il professor Giuseppe Polimeni, docente ordinario di Linguistica italiana e Storia della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Milano mi fece dono di un paio di sue pubblicazioni a cui aveva atteso dopo un lungo e approfondito percorso di ricerca. Il marchio della Biblion Edizioni (realtà culturale attiva da quasi vent’anni tra Venezia e Milano e specializzata in saggistica divulgativa e d’attualità) oltre che il nome dell’autore erano indizi già di per sé sufficienti ad attestare la bontà di queste opere: mi soffermerò in particolare su una, quella dedicata a “La lingua della città che non esiste” (329 pagine, 25 euro) che reca come sottotitolo esplicativo “Italiano e dialetto nella formazione dell’identità nazionale” con una suddivisione in quattro sezioni e un’introduzione sulla “scambio continuo” tra modo di vivere e gestazione di una nuova caratterizzazione linguistica. Va detto innanzitutto che ci troviamo di fronte a un volume, una sorta di manuale, rivolto in particolar modo agli “addetti ai lavori”, siano essi studiosi, ricercatori, cultori del settore, un testo sfaccettato che scandaglia il ruolo ricoperto nello sviluppo della nazione dall’idioma italico considerando che, a differenza di altri Stati anche molto più antichi del nostro, ma nati in conseguenza di guerre o matrimoni dinastici, l’Italia si è unificata grazie proprio alla sua lingua, “partorita” da Dante e in seguito plasmata da Petrarca, Boccaccio e Manzoni, “codificata” a suo tempo dal Bembo, e sviscerata in questo libro nel periodo che copre Otto e Novecento. Con l’acutezza e l’acribia che gli sono proprie Polimeni penetra negli anfratti nascosti tra le pieghe della storia dell’italiano per emergere recuperando alla conoscenza alcune caratteristiche tipizzate degli scrittori prescelti: così, giusto per portare qualche riferimento e senza alcuna pretesa di completezza, troviamo un saggio dedicato al docente Lucio Mastronardi considerato in qualche misura una sorta di ‘espressionista’ della scrittura, così ricca di interpunzioni e di “fratture”. Con Romano Bilenchi si entra invece nella dicotomia tra il giornalista e lo scrittore, con il primo ad asserire che “il quotidiano è il luogo della cronaca e delle voci” e il secondo per il quale la letteratura altro non è se non “un luogo in cui la parola e la voce contendono il loro spazio di sopravvivenza al silenzio". Un capitolo a sé è riservato all’analisi dell’ampio affresco biografico pubblicato a fine Ottocento dall’architetto e saggista Luca Beltrami incentrato sulla figura di Alessandro Manzoni, “un’opera complessiva”, “un restauro”, come la definisce intelligentemente lo stesso Polimeni, che sgombra il campo da alcune ricostruzioni a posteriori dell’autore dei Promessi Sposi offrendo al lettore, grazie a un notevole lavoro di scavo, alcune curiosità come il “collegamento” con Voltaire. Lettura critica, interpretazione delle fonti, confronto tra modelli e conoscenze diversi portano in luce un “don Lisander” per certi versi inedito, uno scrittore che, come sappiamo, attribuiva all’unità della lingua un ruolo decisivo nelle sorti e nei destini del popolo italiano tanto da trascorrere e da dedicare gli ultimi anni della sua vita, ormai ottuagenario, proprio all’approfondimento dell’italiano. L’intellettuale che “sciacquò in panni in Arno” è còlto in Polimeni, che riporta svariati passaggi del volume di Beltrami, nel candore dell’ultima fase della sua esistenza, a passeggio per le vie della città meneghina, pennellate di vera e propria poesia. Affascinante poiché si addentra nello specifico della glottologia è anche il breve saggio incentrato sulla grammatica e sulle grammatiche dell’etimologia popolare in Lombardia, un curioso, istruttivo viaggio nella genesi dei nomi di località della più popolosa regione italiana. Ma molte e numerose sono le tematiche che il volume, sorretto da un linguaggio colto, raffinato ed essenziale pur nella gestione di numerosi contenuti, porta in risalto e propone al lettore che volesse attingervi per uno studio di certi modelli linguistici. Nel tempo delle passioni tristi e dello svilimento (sui social in primis) del “bello scrivere” che stiamo tutti vivendo non sarebbe male riscoprire ed entusiasmarsi sulla formazione, grazie alla nostra lingua, dell’identità nazionale e di un certo ‘carattere’ italico che sembriamo avere incautamente smarrito.