LINGUA E IDENTITÀ NAZIONALE
di
Federico Migliorati
Qualche
tempo fa, dopo un contatto iniziale per il tramite di un comune amico, il
professor Giuseppe Polimeni, docente ordinario di Linguistica italiana e Storia
della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Milano mi fece dono di
un paio di sue pubblicazioni a cui aveva atteso dopo un lungo e approfondito
percorso di ricerca. Il marchio della Biblion Edizioni (realtà culturale attiva
da quasi vent’anni tra Venezia e Milano e specializzata in saggistica
divulgativa e d’attualità) oltre che il nome dell’autore erano indizi già di
per sé sufficienti ad attestare la bontà di queste opere: mi soffermerò in
particolare su una, quella dedicata a “La lingua della città che non esiste”
(329 pagine, 25 euro) che reca come sottotitolo esplicativo “Italiano e
dialetto nella formazione dell’identità nazionale” con una suddivisione in
quattro sezioni e un’introduzione sulla “scambio continuo” tra modo di vivere e
gestazione di una nuova caratterizzazione linguistica. Va detto innanzitutto
che ci troviamo di fronte a un volume, una sorta di manuale, rivolto in
particolar modo agli “addetti ai lavori”, siano essi studiosi, ricercatori,
cultori del settore, un testo sfaccettato che scandaglia il ruolo ricoperto nello
sviluppo della nazione dall’idioma italico considerando che, a differenza di
altri Stati anche molto più antichi del nostro, ma nati in conseguenza di
guerre o matrimoni dinastici, l’Italia si è unificata grazie proprio alla sua
lingua, “partorita” da Dante e in seguito plasmata da Petrarca, Boccaccio e Manzoni,
“codificata” a suo tempo dal Bembo, e sviscerata in questo libro nel periodo
che copre Otto e Novecento. Con l’acutezza e l’acribia che gli sono proprie
Polimeni penetra negli anfratti nascosti tra le pieghe della storia dell’italiano
per emergere recuperando alla conoscenza alcune caratteristiche tipizzate degli
scrittori prescelti: così, giusto per portare qualche riferimento e senza
alcuna pretesa di completezza, troviamo un saggio dedicato al docente Lucio
Mastronardi considerato in qualche misura una sorta di ‘espressionista’ della
scrittura, così ricca di interpunzioni e di “fratture”. Con Romano Bilenchi si
entra invece nella dicotomia tra il giornalista e lo scrittore, con il primo ad
asserire che “il quotidiano è il luogo della cronaca e delle voci” e il secondo
per il quale la letteratura altro non è se non “un luogo in cui la parola e la
voce contendono il loro spazio di sopravvivenza al silenzio". Un capitolo
a sé è riservato all’analisi dell’ampio affresco biografico pubblicato a fine
Ottocento dall’architetto e saggista Luca Beltrami incentrato sulla figura di
Alessandro Manzoni, “un’opera complessiva”, “un restauro”, come la definisce intelligentemente
lo stesso Polimeni, che sgombra il campo da alcune ricostruzioni a posteriori
dell’autore dei Promessi Sposi offrendo al lettore, grazie a un notevole lavoro
di scavo, alcune curiosità come il “collegamento” con Voltaire. Lettura
critica, interpretazione delle fonti, confronto tra modelli e conoscenze
diversi portano in luce un “don Lisander” per certi versi inedito, uno
scrittore che, come sappiamo, attribuiva all’unità della lingua un ruolo
decisivo nelle sorti e nei destini del popolo italiano tanto da trascorrere e
da dedicare gli ultimi anni della sua vita, ormai ottuagenario, proprio
all’approfondimento dell’italiano. L’intellettuale che “sciacquò in panni in
Arno” è còlto in Polimeni, che riporta svariati passaggi del volume di Beltrami,
nel candore dell’ultima fase della sua esistenza, a passeggio per le vie della
città meneghina, pennellate di vera e propria poesia. Affascinante poiché si
addentra nello specifico della glottologia è anche il breve saggio incentrato
sulla grammatica e sulle grammatiche dell’etimologia popolare in Lombardia, un
curioso, istruttivo viaggio nella genesi dei nomi di località della più
popolosa regione italiana. Ma molte e numerose sono le tematiche che il volume,
sorretto da un linguaggio colto, raffinato ed essenziale pur nella gestione di numerosi
contenuti, porta in risalto e propone al lettore che volesse attingervi per uno
studio di certi modelli linguistici. Nel tempo delle passioni tristi e dello
svilimento (sui social in primis) del “bello scrivere” che stiamo tutti vivendo
non sarebbe male riscoprire ed entusiasmarsi sulla formazione, grazie alla nostra
lingua, dell’identità nazionale e di un certo ‘carattere’ italico che sembriamo
avere incautamente smarrito.