L’anno
2021 si chiude dopo che sono state deluse le aspettative di riuscire a
rovesciare il paradigma stabilito dall’emergenza sanitaria tra scienza,
tecnica, politica. Ormai da due lunghi, interminabili, anni non la politica ma
scienza e tecnica impongono modi, tempi, scelte, orientamenti economici, stili
di vita. In
questo modo il capitalismo continua a dettare le sue leggi e il ciclo del tempo
procede rispondendo soltanto alle necessità del momento con l’allargamento
delle disuguaglianze, l’intensificazione dello sfruttamento, la crescita del
divario cognitivo. Sfruttamento,
disuguaglianze, divario cognitivo: tre fattori che si alimentano con la
detenzione del potere della conoscenza e delle sue complesse forme
distribuzione ineguale. Una
presunta ribellione a questo stato di cose ha assunto, almeno nelle società
affluenti, la ridicola dimensione di un individualismo presuntamente libertario
ma in realtà coercitivo per qualsiasi possibilità di vita collettiva. Non
siamo stati ancora capaci di far comprendere come il rovesciamento del
paradigma potrebbe essere ancora possibile se si riuscisse a far risaltare la
necessità di una società dell’uguaglianza. Uguaglianza
nella sobrietà dei consumi collettivi e individuali, uguaglianza nella
limitazione del profitto e della conseguente vacuità del consumismo egoistico. Servirebbe
ancora definire l’orizzonte di una società diversa per fare in modo di porsi
davanti al mistero del futuro nella vita di tutti i giorni. Pensare
ad un “socialismo della finitudine”, al recupero di un senso del limite inteso
come obiettivo possibile da realizzare accettando un principio di fondo: questa
angosciante cappa di piombo che sovrasta le nostre vite dipende da un modello
basato sull’illusione di massa di una società priva di valori morali e
completamente fondata sul profitto e sul consumo.