Lo sciopero generale è un fattore di rinascita del paese. Il conflitto sociale si
riprende la scena. Lo fa attraverso una delle sue forme più alte: lo sciopero
generale nazionale. Da quando Cgil e Uil lo hanno indetto sono piovute critiche
e attacchi di ogni tipo: “sciopero immotivato”, “irragionevole”,
“irresponsabile” (in questo caso più per il Natale che per la pandemia). Le
acque chete che circondavano il governo Draghi sono entrate in ebollizione.
L'unità sindacale giocata sul minimo comune denominatore non poteva reggere
l’urto di un rimbalzo economico – non ripresa, se vogliamo restituire il senso
esatto alle parole – costruito su un tessuto sociale esasperato dalla
disoccupazione, dal precariato, dall’inoccupazione giovanile e femminile, dai
bassi salari, dal dilatarsi delle diseguaglianze fra Nord e Sud, destinate a
incrinare l’unità del paese se verrà attuata l’autonomia differenziata collegata
alla legge di bilancio. Si è detto che unità non è unicità. Vero, ma certamente
la frattura sindacale non è destinata a ricomporsi facilmente, malgrado l’intesa
sullo smart working. Prova ne sia la
scelta della Cisl di convocare per il 18 dicembre una propria contromanifestazione
“responsabile e costruttiva che punta a migliorare i contenuti della manovra”. Ma
la maggioranza di governo è impegnata a cancellare il tetto Isee di 25mila euro
per utilizzare il superbonus del 110% per le villette unifamiliari. Non
precisamente un miglioramento atteso da chi occupa gli ultimi gradini della
scala sociale. Senza l’apertura di un largo conflitto miglioramenti non se ne
vedranno. Naturalmente non manca l’accusa a questo sciopero di essere politico.
E allora la memoria corre ad un altro sciopero generale, indetto dalla sola
Fiom vent’anni fa, esattamente il 16 novembre del 2001. Fim e Uilm avevano concluso
un’intesa separata con Federmeccanica, senza sottoporla al voto dei lavoratori.
Lo fece la Fiom raccogliendo 351.145 firme contro l’accordo separato. In una
piazza San Giovanni assolata nel clemente autunno romano e riempita fino
all’incredibile di donne, uomini e bandiere rosse, Claudio Sabattini, allora
segretario generale Fiom, prese tutti in contropiede affermando fin dalle prime
parole che ogni sciopero generale è politico, nel senso più nobile e alto della
parola, quando la classe lavoratrice si fa carico dei problemi della democrazia
e di un diverso sviluppo del paese. E così sarà quello del prossimo 16
dicembre. La sua importanza risiede anche nello spezzare una falsa narrazione
che ha accompagnato i governi nella pandemia, secondo cui solo la concordia
sociale può garantire una ripresa. Storicamente è stato vero il contrario. La
ricostruzione del nostro paese nell’ultimo dopoguerra è avvenuta nel pieno e
grazie a un conflitto sociale, acuto e diffuso, aggravato da un contributo di
vite umane di operai e contadini caduti sotto la repressione. E oggi il
conflitto è indispensabile, augurandoci senza gli scontri sanguinosi di quel
tempo, perché il post pandemia non ricominci come prima. Perché la crisi sia
un’occasione per innestare un diverso percorso sul piano economico e sociale.
Lo sciopero dimostra la lontananza di questo governo, malgrado la maggioranza
extralarge che lo regge, dai bisogni più immediati della popolazione. Lo si era
già visto nelle reazioni all’accordo di maggioranza sul tema fiscale. Non
capita di frequente che una intesa fra forze di governo venga così platealmente
contraddetta da organismi istituzionali, quali la Banca d’Italia o l’Ufficio
parlamentare per il bilancio e da forze sociali come i sindacati (la Cisl non
si era ancora defilata) e come la Confindustria (ovviamente preoccupata che il
mancato incremento dei redditi da lavoro per via fiscale possa ricadere sulla
conflittualità sociale). Non stupisca il fatto che il comunicato sindacale e le
dichiarazioni in particolare di Landini puntino il dito accusatore soprattutto
nei confronti dei partiti. Non è uno sconto a Draghi, casomai sottolinea una
sua debolezza, visto che il suo modesto tentativo di congelare i benefici
dell’intervento fiscale per i redditi sopra i 75mila euro è stato stoppato dalla
maggioranza. Chi ha seguito le cose fin dal dibattito nelle commissioni parlamentari
e poi negli incontri a Palazzo Chigi sa che è andata proprio così. Le
responsabilità di una manovra fiscale regressiva non sono state solo condivise,
ma promosse dai partiti della maggioranza, in primo luogo il Pd. È pura
ipocrisia lo stupore per lo sciopero mostrato dai suoi dirigenti. Ora questo
sciopero deve diventare davvero generale, non solo dei lavoratori dipendenti,
ma dei giovani, delle donne, dei precari, degli studenti e degli insegnanti. La
coalizione sociale fondata su bisogni e diritti contro il cielo plumbeo di
questa politica. È quello di cui il paese ha bisogno.