LA POLITICA ESTERA: UN TEMA PER LA SINISTRA di
Franco Astengo
La
politica estera appare un tema negletto, sia nell’insieme del dibattito
pubblico in Italia sia nei diversi conciliaboli in atto in una discussione
(ancora da impostare compiutamente) sulla crisi della sinistra e sulla
possibilità di ricostruzione di un adeguato soggetto politico. Un soggetto
politico anche rappresentativo della storia e della tradizione politica di
quello che fu definito “movimento operaio”. Eppure il tema della politica
estera è di stringente attualità perché in questo momento si stanno ridefinendo
i punti fondamentali degli schieramenti a livello globale. Emergono, tra gli
altri, due fattori di crisi che possono essere definiti fondamentali: quello
ucraino e quello di Taiwan. Due punti di osservazione che ci fanno rintracciare
nell’analisi dati che assomigliano molto a quelli che si affrontavano nel corso
della fu “guerra fredda”. Ci troviamo ad un livello di scontro che sposta i
termini di quello della lotta per le fonti energetiche e dell’esportazione
della democrazia, in un quadro di unico gendarme del mondo, che hanno
caratterizzato sia la fase del post-caduta del Muro, sia del post – 11
settembre. Se
cerchiamo di definire correttamente il presente ci accorgeremo anche che il
dibattito sull’Europa così come era stato impostato nella sinistra almeno dal
trattato di Maastricht in avanti appare ormai abbondantemente superato. Più
in generale appare tramontata la riflessione sulla globalizzazione essendosi
aperta una fase nella quale appare prepotente il ritorno della geo-politica. Esiste
un intreccio sottile tra la prospettiva di subalternità della politica (e di
conseguenza delle forme della democrazia) all’innovazione tecnologica (in
particolare sul terreno dell’intelligenza artificiale) e il ritorno al
confronto bellico tra le superpotenze (o presunte tali) al riguardo proprio
dell’utilizzo dei materiali e delle risorse tecnologiche. Addirittura
si teorizza una riduzione del pericolo di guerra termonucleare in un’era di
missili ipersonici, armi autonome letali e guerra dell’informazione: tutti
strumenti che abbisognano appunto delle nuove tecnologie e di conseguenza dei
nuovi materiali. Allora lascia perplessa l’idea, che compare soprattutto nelle
analisi di politologi statunitensi (cfr. Robert D.Kaplan - “La Repubblica” 22
gennaio), di una definizione di “blocco imperialista a Est”, tra Russia e Cina;
blocco che punterebbe ad esercitare influenza in Europa sui paesi
dell’ex-blocco sovietico e di ricostituzione della stessa dimensione
“imperiale” dell’URSS con relativa restituzione del controllo di Taiwan sulla
Cina. Di fronte a questo scenario si ricostituirebbe un fronte simile a quello
della non dimenticata “logica dei Blocchi” e di conseguenza Biden viene
invitato “a contenere Mosca e Pechino”.
Un
quadro di questo genere (sia pure esposto in maniera eccessivamente schematica)
chiama oggettivamente la sinistra a riflettere sulla dimensione europea in
forma del tutto diversa da quella portata avanti negli ultimi decenni. Non
dimenticando che ci troviamo di fronte, nella sostanza, ad una riedizione
neo-atlantica (fu sulla base dell’atlantismo e del riarmo della Germania che
nacquero i primi strumenti sovranazionali in Europa, compresa la CED
clamorosamente bocciata dalla Francia) l’Europa deve essere considerata, in
questo momento, il terreno principale di riferimento politico. Di
conseguenza qualsiasi discorso di ricostruzione nella sinistra a livello
nazionale deve misurarsi proprio sulla dimensione europea cercando di disporre,
in quell’ambito, di una visione sovranazionale. Visione
sovranazionale che necessita però di acquisire e portare avanti una proposta
politica: senza risalire a Zimmerwald e Kienthal ricordiamo l’idea neutralista
dei socialisti negli anni’50, l’ipotesi di una zona smilitarizzata al centro
del Vecchio Continente, la complessa storia dell’opposizione all’installazione
dei missili USA all’inizio degli anni’80, la presenza – in allora – di un
articolato movimento pacifista di cui oggi non si hanno notizie. Naturalmente
da queste note non possono venire proposte adeguate, anche per via della totale
insufficienza culturale e di capacità analitica del loro estensore, ma forse
vale la pena soltanto di sottolineare la necessità di una adeguata attenzione
ad un tema così delicato e complesso ma anche affrontato, quando capita,
soltanto attraverso il filtro di schemi forse già superati.