Libri
“MORDI E FUGGI”
di
Guido Salvini
Bertante con la copertina del libro
Il
romanzo del brigatista sconosciuto.
In
ogni storia si nasconde un punto misterioso. Dopo tanti processi e tanti anni
di ricerche, interviste comprese con i protagonisti di quegli anni, crediamo di
sapere tutto sulle Brigate Rosse, in particolare sulla loro nascita nel 1970.
Certamente le Brigate Rosse sono state costituite da una quindicina di persone
che avevano fatto la loro scelta militare al momento dello scioglimento del
Collettivo Politico Metropolitano Il Collettivo era una galassia e un'assemblea
permanente più che un gruppo e raccoglieva operai e studenti che avevano fatto
le scelte più radicali, senza un vero programma ideologico perché al suo
interno vi erano dai marxisti puri ad alcuni libertari.
Sappiamo,
anche dai loro racconti, chi fossero: Renato Curcio e Margherita arrivati da
Trento, quest'ultima universitaria di formazione cattolica, Alberto
Franceschini e gli altri ragazzi di Reggio Emilia con il mito partigiano,
alcuni operai che lavoravano nelle grandi fabbriche qualche studente, un
tecnico cioè un piccolo quadro come Mario Moretti che alla fine riuscirà a
imporre la sua discussa egemonia. E anche un contadino, un comunista di ferro,
Prospero Gallinari che ne sarà uno dei militari più operativi.
Ma
non sono tutti. Uno di coloro che hanno fondato le Brigate Rosse è rimasto
sconosciuto, non è mai stato identificato né incriminato. Si è, per così dire,
salvato È uno studente universitario del Collettivo Politico Metropolitano che
ha fatto la sua scelta subito, nel 1970, con Renato Curcio e gli altri ed è
uscito dalle Brigate Rosse nel giugno 1972. È questo il protagonista del
romanzo di Alessandro Bertante, un autore che si è già cimentato in altri
romanzi sulla storia di quegli anni
L'Autore
certamente ha parlato a lungo con lui perché il romanzo racconta con realismo
gli avvenimenti ed il percorso umano e politico del suo protagonista. Lo ha
conosciuto bene, come si comprende dalla postilla finale, e comunque, come è
logico, non ne rivela il nome.
È
un romanzo duro, spigoloso, incalzante in cui compaiono tutti i luoghi milanesi
di quella stagione: Piazza Fontana, la Sit Siemens e le altre grandi fabbriche
che oggi non esistono più, l'Università Statale, le varie “comuni” sparse per
la città e i bar del Ticinese dove gli extraparlamentari coesistevano con i
ladri e gli scassinatori della vecchia ligera milanese.
Il
tempo della narrazione coincide con quello degli avvenimenti e con l'evolversi
del percorso psicologico di Alessandro, perché di questo, alla fine,
soprattutto si tratta.
Alessandro,
l'autore lo chiama così, è uno studente figlio della media borghesia, ha
frequentato il liceo Beccaria, si è iscritto all’Università Statale, milita nel
Movimento Studentesco eppure non è soddisfatto.
Bertante con la copertina del libro |
Renato Curcio
Non
vuole seguire le orme del padre, professionista di idee aperte e che si è fatto
da sé, ma sempre uno di quelli che “pensa alle conseguenze dei propri atti”.
Abbandona lo studio in favore della mobilitazione quotidiana degli studenti. Si
fidanza con Anita, una ragazza del Movimento Studentesco e va con lei a vivere
nell'ex albergo Commercio, proprio dinanzi alla banca di piazza Fontana,
occupato da maoisti, anarchici, artisti e disoccupati del sud
Ma
anche questo non basta. Non sopporta più gli studenti “rivoluzionari” che gli
sembrano dei parolai e dei borghesi travestiti. Rompe con Anita che di cui pur
è innamorato. Entra nel CPM e conosce Renato Curcio e Margherita Cagol. Nell’agosto
1970, al termine del famoso convegno in un paesino sulle colline vicino a
Reggio Emilia, un pezzo del Collettivo sceglie la strada dell'organizzazione
militare. Alessandro è con loro. Diventa uno dei primi brigatisti a tutti gli
effetti. Nel libro sono descritti dall'interno, perché Alessandro racconta di
avervi partecipato, tutti gli episodi, ancora minimi rispetto a quello che
sarebbe successo dopo, che hanno segnato i primi anni di attività delle Brigate
Rosse a Milano.
L'incendio
dell'autovettura del “capetto” Giuseppe Leoni, il primo episodio in assoluto in
cui chi lo rivendica usa ancora la sigla “Brigata Rossa” al singolare, come
quello di una organizzazione neonata.
Poi
altri incendi e l'innalzamento del livello di scontro: Alessandro partecipa a
rapine di autofinanziamento e al sequestro, anche se per pochi minuti,
dell'ingegnere della Siemens Idalgo Macchiarini fotografato con una pistola
puntata nel viso sino a scavargli una fossetta nella guancia sinistra. Progettano,
e fallisce per poco, il sequestro dell'on. Massimo De Carolis, il leader della
“maggioranza silenziosa”. Intanto si stringono i rapporti con Osvaldo,
l’editore Giangiacomo Feltrinelli che, ossessionato dal timore di un golpe, ha
costituito un suo mini esercito privato, i GAP, i Gruppi di Azione Proletaria.
Alessandro
fa il salto finale. Passa alla clandestinità. Va a vivere in una soffitta
dell'organizzazione in Conca del Naviglio.
Mara Cagol
Poi
il disastro. La Polizia scopre il covo di via Boiardo e quasi tutti i
componenti del primo nucleo brigatista vengono arrestati. L'organizzazione è
quasi distrutta anche se rinascerà sotto la guida di Mario Moretti, sfuggito
all'arresto. Anche Alessandro si salva. Si nasconde e vive per alcune settimane
come un topo nella sua soffitta clandestina. Butta l’arma che ha in dotazione
nella Darsena.
In
maggio viene ucciso Calabresi. Non sono state le B.R. ma Alessandro sente che
finirà così, uccideranno anche loro.
Alessandro
si “dimette” dalla rivoluzione. Si nasconde per qualche mese da un vecchio
compagno che si è ritirato e si dedica solo alla sua vigna nel Monferrato. Poi
torna a casa.
Decide,
per fortuna, di non partecipare più a quella guerra fratricida, una guerra
senza sbocchi e che lascerebbe solo rimpianti per le perdite e la gioventù
sprecata. Perché si può fare una rivoluzione solo sulla spinta della più cruda
realtà dei bisogni, la fame, non in una società in cui la maggioranza dei suoi
componenti ha un lavoro, al pomeriggio va fare le compere e comunque ha
qualcosa da difendere.
Carneficina a Piazza Fontana
Quale
sensazione se ne trae? Assai misera, anche un po' patetica se non fosse per i
successivi esiti tragici dell'opera di quelli che hanno continuato.
Al
di là di un generico desiderio di libertà e di giustizia la scelta politica
emerge come un prolungamento della propria vita privata.
Non
ci sono letture di qualche consistenza. Non c'è un'analisi della realtà. La
scelta è un sogno personale, un'idea di avventura. Solo durante le azioni
Alessandro si sente davvero vivo, il resto è semplice attesa. Finisce
addirittura per leggere in modo ossessivo i quotidiani, soprattutto quelli di
testa, cercando notizie che parlino delle loro gesta.
Ha
una relazione con una compagna ma in modo indifferente. Quasi un'educazione
sentimentale al contrario. Quello che conta è solo il progetto rivoluzionario.
Quasi ad ogni pagina Alessandro e i suoi compagni bevono, un particolare che
può sembrare offensivo ma non c'è ragione che l'Autore scriva qualcosa di
diverso da quello che gli è stato raccontato. Bevono in continuazione nelle
osterie e nelle riunioni e bottiglioni di vino e stravecchio infiammano la
carica rivoluzionaria.
Probabilmente
negli operai che avevano scelto di entrare nelle Brigate Rosse una coscienza
politica, per quanto irrealistica c'era, c'era. Ma qui no. In Alessandro e
altri c’era solo l'estetica della lotta.
L'unica
riflessione ideologica, se così si può definire, che giustifica il suo
attivismo narcisistico è che con la strage di piazza Fontana e la morte di Pino
Pinelli è saltata ogni legge non scritta che regola i rapporti tra gli uomini
e, dopo quei morti, l'unica risposta e l'odio. Ma l'argomento è una carta
truccata.
L'odio
c'era già. Era essenziale nella loro ideologia, senza di esso una rivoluzione
non è nemmeno concepibile. Per trasformarlo in violenza omicida serviva solo
l'occasione.
Alessandro
è rimasto vivo. Ora, scrive Bertante sempre nella postilla, è uno stimato
professionista di Milano. Finito il libro rimane la sensazione, forse
letteraria di averlo incontrato, un signore distinto, uno di quelli, ormai non
più molti, che ancora si fermano nelle librerie a sfogliare, tra gli scaffali,
le novità.