Far parlare le parole, si perdoni il bisticcio, significa anche ricostruire
la storia della loro formazione. I greci avevano coniato il verbo (stego) στέγω: copro, proteggo, custodisco, tengo occulto,
che, verosimilmente, è ciò che fa la madre quando cresce il pondus, da
cui dedussero: (stegos stegous) στέγοςστέγους: tetto. Non si sa perché c’è una variante: (tegos) τέγοςτέγους, che ha lo stesso significato di στέγος. I latini conobbero
la seconda forma e ricavarono: τέγ-ula e tegotegis, texi, tectum, tegere: copro, ricopro,
celo, occulto, da cui tetto e tettoia, ma anche toga
(per apofonia della lettera e che si trasforma in o). Poi,
estrapolarono protego, in quanto il tetto serve a proteggere.
Quindi, protetto, protettore, protezione. Inoltre, formularono,
con il prefisso de, detego: discopro, denudo, in
quanto lessero che cosa avviene con la nascita della creatura. I latini per
formare il perfetto irregolare di tego avevano aggiunto un delta
(probabilmente con il significato di mancare) a teg, che generò,
successivamente, il verbo texo, texui, textum, texere:
tesso, intreccio, ad indicare che c’è un ricoprire,fatto
di filati, che lega l’ordito. Quindi, da tesso: tessuto, tessitura,
intessere, poi: praetexo/praetestum: intesso davanti,
adorno, prepongo, ma anche: adduco come scusa, da cui il
deverbale praetestus con i significati di: pretesto e di pretesta,
come toga adornata (listata di rosso). Quindi, elaborarono contessere
con il significato: annodare strettamente, collegare, quindi, dal
participio passato contextus (collegato) di contexere, fu estrapolato
il sostantivo il contesto: trama,stretto legame, concatenazione,
successione di un tutto, per cui Cicerone poté dire: mirabilis contextus
rerum. Per cogliere l’accezione odierna di contesto, in senso
figurato, si riporta il Treccani: “complesso di circostanze o di fatti che
costituiscono e caratterizzano una determinata situazione, nella quale un
singolo avvenimento si colloca o dev’essere ricondotto per poterlo intendere,
valutare o giustificare ecc. “. Pertanto, il sostantivo contextus indicò
la trama, ma, nell’accezione di concatenamento, indusse il
pastore a pensare che l’essere diviene, passo dopo passo, per cui
ogni singolo atto che avviene nel grembo non va visto in sé, ma nell’insieme,
per la funzione teleologica di ogni fase del processo, come successione di
un tutto. Quindi, da contesto furono dedotti: contestualizzare,
decontestualizzare, contestuale. I latini per
indicare tegola si avvalsero anche di imbrex imbricis, ricavata
da imber: pioggia, per cui nel mio dialetto si ha: ‘mbric’:
pozzanghera d’acqua. Sempre nel mio dialetto la tegola è denominata ceramil’,
da (keramis) κεραμίς: tegola.
Inoltre, per
quanto riguarda la filatura, i latini si avvalsero di una parola greca: (stemon)
στήμωνστήμονος(variante dorica: (stamon) στάμων): stame, trama, ordito, filo, di cui (dello
stame) si servirono i botanici per indicare i filamenti della riproduzione dei
fiori, in particolare quelli della riproduzione maschile, definito, sul conio di
gineceo, androceo. Quindi, per indicare il farmaco per combattere
le allergie da polline fu coniato antistaminico. Un altro modo
dei greci per indicare: copro, avvolgo, avviluppo, nascondo
fu καλύπτω, che rimanda allo stesso contesto di στέγω/τέγω. Dall’aggettivo verbale καλυπτός: coperto fu dedotta la calotta artica, la calotta
dei giocatori del Settebello e la ninfa Calipso. Poi, con una deduzione logica
fu estrapolata: l’Apocalisse, da (apo-calypsis) ἀπο-κάλυψις: rivelazione, manifestazione, con un procedimento simile a
de-tego. Da ricordare che ἀνα-καλύψιςsignifica scoperta,
per cui se la creatura è coperta, la scoperta è nel suo
disvelamento o quando nasce. Se εὑρίσκω: trovo è verbo formato come metafora del grembo,
nel senso che si trova ciò che manca, con ἐξ-εύρεσις: scoperta
è il disvelamento che fa la gravida. Pertanto, la differenza fra invenzione e
scoperta, secondo la logica dei pastori è di questo tipo: l’invenzione è la
creazione (della creatura), la scoperta è il rivelarsi della creatura,
che è stata creata e/o in formazione. Un altro sinonimo
dei latini per indicare: coprire, nascondere, occultare fu
operio, che indica com’è la creatura in grembo. Gli italici, per eufonia,
meglio, per conservare la vocale o iniziale, trasformarono operio
incoperio/copro, da cui coperchio, scopro e scoperta.
Con occulo, occului, occultum: copro e con celo
celas i latini indicarono, parimenti, che la creatura durante la gestazione
è coperta.
Opera di Vinicio Verzieri
I greci avevano
elaborato una radice λαθ (alla
lettera: dallo sciogliere il crescere) da cui avevano dedotto: λανθάνω: mi celo, mi nascondo, sempre con lo stesso percorso
logico. La radice trasmigrò nel Lazio (Lazio rimanda alla radice λαθ, come terra ferace) e dette luogo ad un uso con più significati, oltre a
latente e latenza. Dell’utilizzo da parte dei latini di λαθho parlato
diffusamente nel testo: “Alla ricerca della genesi delle parole” e in
una pubblicazione su Odissea del 28 luglio 2020, intitolata:” La
verità “. Gli italici,
sicuramente quelli del Meridione, come già ho avuto modo di dire, si avvalsero
di un prestito greco: μύω: sto
silenzioso (da cui muto e muso; ricordo che l’espressione dialettale:
mi tiene il muso significa: non mi parla), per coniare ammucciare
(nascondere). I greci avevano dedotto lo stare in silenzio dalla
creatura dal fatto che, mentre sta in grembo, non spiccica suono. Nel mio
dialetto l’omologo di nascondino è: “ammucciatella“. Nelle terre
della Magna-Grecia, dove si conosceva questo processo, estrapolarono anche che
quell’essere in formazione, che se ne sta in silenzio, di fatto, è anche nascosto.
Inoltre, per dire la mia su una parola latina omofona/omografa: musculus,
da collegare a: μῦςμυός, parimenti omofona/omografa, con i significati di topolino
e di muscolo, bisogna ricordare che i latini da mus muris: topo
(quello che rosicchia: è quello che rimane a legare il formaggio, generandone
il mancare) dedussero topolino. I greci, prima dei latini, con μῦςμυόςavevano
voluto indicare, con lo stesso processo logico: topo, ma anche muscolo
(nella pronuncia delle parole scientifiche si dice: mio: miotrofico),
in quanto pensarono alla tensione dei muscoli della gestante, causata
dalla continua spinta. I greci, infatti, dissero: sono quelli che si tendono
durante la gestazione, perifrasi omologa contenuta in musculus dei
latini. Un altro modo
per indicare copertura da parte dei latini fu sipario (molto
simile a séparé dei francesi), con il significato di non far vedere
qualcosa di intimo, poi con l’espressione tollere siparium s’indicò la
visualizzazione del dramma.
La parola indumento,
che è della lingua italiana, rimanda ad un collegamento con la cultura greca.
Infatti, il delta, nella simbologia del pastore, acquisì due significati: mancare
e legare, per cui il verbo (dyo) δύωebbe due
significati completamente diversi: indosso, che richiama il legare, e m’immergo,
che rimanda a mancare. Infatti, (dysis) δύσιςsignificò tramonto/immersione
(il grembo come immagine di ciò che scompare per poi ri-emergere)
analogo ad occasus dei latini, mentre con (endyo) ἐνδύω ribadirono: rivesto;
poi da (endysis) ἔνδυσις: ilvestito fu dedotto: indossare da cui: addossare.
Da precisare che i latini ricalcarono ἐνδύω e formarono: induo. È opportuno sottolineare
che la y dei greci spesso si trasformò in italiano in o aperta,
per cui da ἔνδυς(ι)ςsi ebbe: indoss,
da cui indossare, così come da (chylos) χύλος: succo si dedusse chilo, nel senso di fare il chilo,
ma anche colare. Un altro modo
per indicare coprire è velare da velum: il velo,
che, nel processo riproduttivo, rimanda alla placenta o alla bolla in cui è
contenuta la creatura. Da velo si ebbero svelo e rivelo,
quindi: rivelazione. I greci utilizzarono più varianti per indicare velo:
τεγίδιον, dedotto da τέγω, κάλυμμα: velame/copricapo, κρήδεμνον: velo/benda
che copre il capo da κάρ: testa.
Inoltre, i greci per indicare un tessuto molto sottile, simile al velo,
coniarono βύσσος: bisso, per cui Foscolo disse: “…che
facile bisso seconda”. Gli antichi
videro nei processi di natura quanto di meglio l’uomo potesse desiderare, per
cui non solo la cupola delle chiese fu dedotta dal grembo, ma anche gli
indumenti.