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sabato 16 aprile 2022

RITORNO ALLA DEA
di Gabriella Galzio



Ovvero: uscire dal paradigma patriarcale del primato della competizione e della guerra. 
 
Seguendo il dibattito sulla guerra, su Odissea e più in generale sulle testate dei giornali, ricorre, più spesso implicito, l’assunto che la guerra sia connaturata all’essere umano, male inestirpabile, iscritto nel nostro DNA. Ecco, dissento da questo assunto, perché le testimonianze archeologiche dicono, al contrario, che la comparsa della guerra è avvenuta in un preciso momento della storia, segnatamente con l’avvento della patriarcalizzazione. A Creta, ad esempio, 2000 anni di pax minoica saranno brutalmente interrotti dall’invasione dorica che importerà la guerra fratricida sull’isola; oppure, in Mesopotamia, il primo periodo della storia sumera si mostra pacifica, mentre sarà soprattutto con le feroci invasioni assire che le tecniche belliche si faranno, per quei tempi, sofisticate, offrendo ai romani il modello militare per il loro espansionismo.
E dunque nel mio ultimo libro, Ritorno alla Dea - tra storia delle civiltà e riflessioni di poetica - traggo le seguenti conclusioni: “ciò che /…/ conta è che la conoscenza delle società non patriarcali può risvegliare in noi la fiducia in una possibile società equilibrata, in balance, alternativa all’attuale, diversa da tutte quelle precedenti. Scoprire, ad esempio, che la guerra non è nata con l’essere umano, ma con la fase patriarcale dell’umanità, che dunque è un prodotto storico, e che come è cominciata, può anche finire, può ridarci la speranza in una società finalmente libera dalla violenza bellica. La fede creatrice di Gino Strada, più che una utopia, si rivelerebbe allora un lampo di quella obliata memoria delle origini e prima scintilla di una nuova comunità pacifica.”



Può sembrare un’ovvietà, ma viene spesso perso di vista, che tra i paradigmi fondanti della società patriarcale c’è il primato della competizione, a tutti i livelli, innanzitutto economica, con le crescenti diseguaglianze sociali e le vaste aree di impoverimento che si lascia dietro. E quando la competizione degenera, abbiamo lo scontro bellico vero e proprio a livello geo-politico. Se vogliamo uscire dalla guerra, allora, uscire dal paradigma della competizione è cruciale; abbracciare in alternativa la cooperazione, e di fronte al conflitto di interessi scegliere la mediazione, sempre. Bisogna apprendere nuove modalità di coesistenza – et-et e non aut-aut – riconoscendo una casa comune: il paradiso immanente della natura. Muoversi in questa direzione, tentare nuove strade e modalità mentali e comportamentali, possiamo farlo sin da subito. Il futuro è già qui. E questo vuol dire praticare sin da subito il disarmo, la neutralità (Convenzione dell’Aja del 1907), i patti di non aggressione, la riduzione progressiva delle spese militari, e fare della ‘politica per la pace’ un punto cardine per le proprie scelte elettorali.
Quello che spesso manca è una visione strategica della pace – che va costruita pazientemente nel tempo – manca una sua gestione preventiva; molti parlano di necessità della difesa di un popolo aggredito – e gli ucraini oggi in Europa sono solo uno dei 65 popoli aggrediti del pianeta – ma ne parlano troppo tardi, quando ormai le situazioni sono precipitate, mentre le politiche di descalation vanno affrontate prima, per evitare che si addivenga allo scoppio di un conflitto, e lo sforzo oggi (tanto più con migliaia di ordigni nucleari) dovrebbe andare in direzione di un equilibrio geopolitico multipolare a livello mondiale.
Ritengo pertanto pericoloso sposare la politica dei governi orientata al riarmo e all’invio di armi ( in questo caso agli ucraini) perché, oltre l’inutile massacro dei civili (ucraini), alimenta nuovamente una spirale di violenza e di interminabile belligeranza (in tutta Europa), dove di mezzo ci vanno solo le popolazioni, ignare delle manipolazioni geopolitiche dei governi. Per questo vorrei rivolgere alcuni interrogativi a coloro che in buona fede credono nella necessità di difendere gli aggrediti, affinché vadano oltre la superficie delle apparenze e della vulgata mainstream dei massmedia di editori impuri.



 
 
INTERROGATIVI


Se vedessi un’amica aggredita, la difenderei, non mi limiterei a porgerle un oggetto contundente; l’obiezione che mi viene da sollevare è: perché insieme alle armi, non ci vanno anche i militari a difendere il popolo ucraino?


Perché gli americani hanno ritirato i loro soldati dall’Afghanistan e non li mandano in Ucraina?


Anziché perseguire una gestione preventiva dei conflitti, perché gli Usa stanno sabotando i negoziati di pace in Ucraina?


E i nazisti ucraini nel Donbass? Chi è andato a difendere la componente russa?


E le 65 guerre nel mondo perché nessuno va a difendere le popolazioni in loco?


Perché è scesa la censura sull’espansione della Nato a Est sotto egida Usa, e sull’appiattimento dell’Italia su posizioni americane?


Come mai Svezia e Finlandia, finora neutrali, hanno chiesto di entrare nella Nato?


Quali sono i veri obiettivi degli Stati Uniti e le loro pressioni sugli stati europei in funzione anti Putin?


Come mai in una società planetaria globalizzata, non siamo ancora usciti da una visione euro-americano-centrica?


Siamo coscienti che una escalation nucleare può farci saltare in aria, aggrediti e aggressori? In una qualunque parte del mondo?