Il cancelliere tedesco Scholz
ha detto il 1° maggio a proposito della guerra in corso che il pacifismo è
“obsoleto”. Ma, se è obsoleto, vuol dire che prima di andare in obsolescenza
era valido. Meno male che c’è andato dopo l’unificazione tedesca, perché se ci
fosse andato prima il muro di Berlino non sarebbe caduto, il pacifista
Gorbaciov non avrebbe detto a Krenz, il successore di Ulbricht, di aprirlo, e
il resto dell’Europa non sarebbe stata così pronta ad accettare l’idea di una
grande Germania, quando molti leaders europei, come diceva sia pure scherzando
Andreotti, pensavano che molte Germanie sarebbero state meglio di una sola,
tanto più se indotta a spendere in armi più del 2 per cento del PIL. Tanto più
grave è liquidare il “pacifismo” quando c’è una tragica incomprensione della
natura ultimativa della crisi che stiamo vivendo e dei modi per uscirne. Non
parliamo delle persone in malafede, di quanti vogliono la guerra o fanno affari
con le armi, ma di quanti, pur con le migliori intenzioni, con le loro
analisi e prese di posizione ci spingono verso la catastrofe.Se ci fosse un
pacifismo da buttare, naturalmente obsoleto sarebbe anche il papa che vorrebbe
andare a Mosca per far fare la pace a Putin e fare la pace con Putin. In attesa di ciò,
con centinaia di firme tutte di grande valore per le esperienze di vita che
esprimono, è stata scritta una lettera al papa per chiedergli di mandare
intanto un’ambasceria di pace alla Casa Bianca e al Cremlino non solo per
fermare la guerra ma per convincere ambedue quei potenti a progettare un mondo
dove tutti possano coesistere in pace. Qual è il
rapporto tra le due ipotesi di intervento, quella a cui si dichiara pronto il
Papa stesso, e quella che gli è suggerita dal movimento di base? Il problema
è che ci sono due livelli della crisi; a entrambi, per uscirne, occorre
rispondere.
Zelensky
C’è il
problema umanitario. La missione del papa a Mosca sarebbe, e speriamo di poter
dire “sarà”, una missione umanitaria. Come egli ha detto di sé stesso e del
patriarca Kirill, “noi non siamo dei chierici di Stato”, siamo pastori di
popoli, non possiamo e neanche saremmo in grado di offrire soluzioni politiche.
Ma qui il problema non è semplicemente un problema umanitario, che ci trova
tutti unanimi, e nemmeno il problema è di dividere, più o meno
salomonicamente, i torti e le ragioni tra gli uni e gli altri. Se
l’orribile sentenza del generale von Clausewitz fosse vera, la guerra sarebbe
la continuazione della politica con altri mezzi, e se fosse vera la tesi di
Carl Schmitt la politica sarebbe il regolamento dei conti tra amico e nemico.
Ma se queste tesi sono prese per vere (e proprio questo delirio sembra oggi di
dominio comune) occorre anche riconoscere che il problema dell’uscita da questa
guerra non è solo umanitario, e nemmeno è quello di decidere sentenze e pene,
ma è un problema politico. Sia a Washington che a Mosca potrebbero offendersi
se si agitasse solo il problema umanitario, come se loro non fossero umani, e
ci si appellasse solo al buon cuore, come se fosse scontato che il loro sia un
cuore di pietra. In tal caso non ci sarebbe niente da fare.Ma se il problema
è politico lo si può individuare e risolvere. Si potrebbe allora riconoscere
che essendo la NATO un’alleanza difensiva e non offensiva, il piano a lungo
perseguito ed attuato di allargarla verso Est fino a circondare la Russia,
fosse dettato dalla necessità di difendere dalla Russia le nazioni
dislocate sul suo confine occidentale. D’altra parte si potrebbe riconoscere
che il problema politico di Mosca fosse di sentirsi minacciata dall’ “abbaiare
della NATO alla porta della Russia”, come ha detto il papa, e di voler
salvaguardare la lingua e la vita stessa (come si era visto a Odessa) della
gente di tradizione russa nei territori ucraini del Donbass. Ma questi sono
problemi politici molto facili a risolversi tra interlocutori anche di media
intelligenza e di normale capacità politica, come è normale che sia trattandosi
di responsabili di popoli. Perché non scambiarsi le rispettive sicurezze?
Putin
Ciò
naturalmente se il problema politico non è quello di pretendere il dominio del
mondo, o di imprimere la propria impronta su tutta la terra, ipotesi che però,
a questo punto della civiltà e del diritto, non si può nemmeno prendere in
considerazione. Se poi
fosse la Merkel a fare da catalizzatore tra i due protagonisti per far
confluire i loro progetti sull'ordine mondiale in un disegno comune, sarebbe
chiaro che ad ispirare tale disegno neppure nella polemica più accesa potrebbe
essere evocata l’ombra, a lei ben nota, di Hitler. Questo è il
senso della lettera al papa, quando egli mostra di voler fare tutto il
possibile per stabilire la pace. Tocca oggi ai responsabili delle
nazioni, sostenuti dalla ideale assemblea di tutti gli abitanti della terra,
gettare le basi di un ordine mondiale che chiuda definitivamente l’era
dell’internazionalismo selvaggio degli Stati, di un mondo spartito tra i
padroni di tutto, di una storia che va da Vestfalia a Campoformio a Versailles
e a Yalta, per instaurare un ordine multipolare, comunitario e costituzionale
dei popoli, che garantisca i diritti fondamentali e renda liberi gli oppressi. Chiesadituttichiesadeipoveri