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mercoledì 1 giugno 2022

PRIVATIZZARE. A QUANDO ANCHE L’ARIA?
di Franco Bordoli
 


La Palazzina Liberty deve rimanere un bene a gestione pubblica.
 
La “Palazzina Liberty Dario Fo e Franca Rame”, ad oggi ancora di proprietà del Comune di Milano, non è semplicemente un edificio dedicato alla fruizione culturale tra i più rappresentativi di Milano, ma anche luogo-simbolo della storia del commercio, del dibattito artistico-intellettuale, della partecipazione politica, delle rivendicazioni della stagione dei Movimenti degli anni Settanta che l'hanno coinvolta come testimone privilegiato di alcuni momenti propedeutici alla definizione dell'identità non solo del nostro quartiere, ma anche della nostra città.
La costruzione risale al 1908, su progetto dell'architetto Alberto Migliorini, che la concepisce come centro di ristoro della nuova sede del mercato ortofrutticolo milanese. La crisi economica italiana in quell'anno raggiunge il suo livello più aggressivo, con riflessi devastanti sulle industrie tessili, metallurgiche e meccaniche ai quali si cerca di porre rimedio mediante i consorzi monopolistici. La crisi colpisce solo in parte il settore agricolo, e il nuovo mercato necessitava di un suo “quartier generale”. Non solo caffè- ristorante, quindi, ma anche sede delle contrattazioni economiche tra grossisti, rivenditori, semplici contadini, la Palazzina diviene il centro degli affari del nuovo impianto a gestione municipale che, come da delibera approvata dalla Giunta nel dicembre 1908, è trasferito da corso di Porta Vittoria nello spazio già parzialmente occupato dall'antico Fortino austriaco tra le vie Cadore, Anfossi, viale Umbria e corso XXII marzo. Un’area di più di 73.000 metri quadrati, complementare agli spazi adibiti ai servizi accessori tra le vie Cadore, Anfossi, Anzani e Bezzecca.



Sfruttando la vicinanza dello scalo di Porta Vittoria, quella di viale Umbria è sicuramente una collocazione più favorevole alla gestione e allo sviluppo del mercato rispetto alle tre precedenti (piazza Fontana, fino al 1799, piazza Santo Stefano, fino al 1873 e corso di Porta Vittoria), tant’è che lì rimarrà per una sessantina di anni, fino al trasferimento definitivo in via Lombroso. L'elegante cancellata del Mercato si apre ogni giorno a 9.000 persone con titolo di ingresso (dal personale di servizio ai grossisti), il Comune vigila sulla qualità delle derrate esposte e sui prezzi che vengono pubblicati sul bollettino giornaliero e poi diffusi sulla rete nazionale. Magazzini, tettoie per produttori e rivenditori, edifici che ospitavano gli uffici di direzione, poste e telegrafi, decine di lampade elettriche su colonne di ghisa e fontanelle circondavano la Palazzina Liberty, unico edificio ad oggi conservato dell'intera struttura e, sicuramente, il più interessante agli occhi di chi si lascia coinvolgere e affascinare dalla sua architettura. La facciata è in stile Art Nouveau (come veniva definito lo stile Liberty fuori dai confini italiani), sede di ampie vetrate in ferro e ricca di motivi decorativi in cemento martellinato, piastrelle ceramicate ornate con motivi floreali dai colori vivaci. L’area interna è divisa in tre parti longitudinali: al centro una grande e luminosa sala con colonne a sezione quadrangolare decorati in coerenza agli elementi esterni, e, ai lati, due aree più contenute dotate di palchi sopraelevati. Osservando la Palazzina, appare evidente come la “nuova arte”, contrapponendosi all’eclettismo, agli stili storici e alla meccanizzazione del prodotto artistico, preludio alla degenerazione del gusto che l’industrializzazione aveva portato, sia in grado di rivalutare la capacità dell’artista come artigiano (non a caso, in territorio anglosassone si parla di Arts and Crafts) e il valore estetico di ogni oggetto prodotto, anche di quelli più quotidiani. Un’arte apprezzata dalla borghesia milanese (della quale facevano parte i compratori all’ingrosso e i grossisti che frequentavano il Mercato) che qualcuno definisce un autentico tentativo di riforma di vita e che, grazie ai suoi richiami alle strutture dal perimetro arrotondato e dalle linee eleganti (come le due parti laterali della Palazzina) richiama e rappresenta, nei motivi delle decorazioni, l’elemento naturale che viene, in questo contesto non solo rappresentato ma anche vissuto, acquistato, venduto, osservato, dibattuto. Il valore estetico con il Liberty e, in generale, con l’arte nuova, viene così portato all’esterno, diventa simbolo della classe dirigente e non più egoisticamente conservato in rifugi chiusi come nel caso degli eroi dei romanzi decadenti di Wilde e di Huysmans. Già due anni prima della costruzione della Palazzina, lo stile Liberty aveva caratterizzato il Padiglione Agraria dell’Esposizione Internazionale di Milano, celebrazione del commercio e della scienza alla luce dell'inaugurazione dell'apertura del Traforo del Sempione, ad uso della prima linea ferroviaria diretta tra Milano e Parigi. 


Incontro nel parco della Palazzina

Il contesto milanese in cui si colloca il nuovo mercato ortofrutticolo del Parco Formentano non è solamente quello che vede il trionfo e l’esaltazione del commercio e della nuova borghesia nata col progresso tecnico-scientifico (all’alba del nuovo secolo in Italia circolavano 226 automobili, la maggior parte delle quali a Milano), ma anche dei primi, importanti, conflitti di classe iniziati con il sorgere delle prime grandi industrie. Dopo la morte dell’anarchico Bresci in carcere nel 1901 viene proclamato lo sciopero generale, l’anno seguente scioperano le piscinine (le ragazze che consegnavano gli abiti confezionati dalle sarte alle clienti); il Primo Maggio dell’anno seguente, per la prima volta, anche le operaie entrano all’Arena per celebrare la Festa del Lavoro; il 16 settembre 1904 la Camera del Lavoro di Milano proclama lo sciopero generale dopo l’uccisione da parte delle truppe regie di quattro minatori di Buggerru, in Sardegna,  durante una manifestazione. Lo sciopero, che dura cinque giorni, viene ricordato come la prima mobilitazione nazionale italiana. Nel 1906 viene completata la costruzione del Quartiere Operaio di via Solaro (oggi via Solari) su iniziativa della Società Umanitaria. All’opposto del Liberty amato dalla borghesia milanese, l’iconografia dei proletari ha come sua rappresentazione il divisionismo del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, ultimato nel 1901 dopo i moti di Milano del 6-9 maggio 1898, duramente repressi (più di cento furono i morti) dai cannoni del generale Bava Beccaris che ancora risuonano nelle coscienze dei lavoratori milanesi dei primissimi anni del Novecento. La Milano che assiste alla costruzione della Palazzina Liberty non è, quindi, solamente quella del commercio, ma anche quella delle lotte per la giustizia sociale, che contribuiscono alla vittoria dei socialisti alle elezioni amministrative del 1913 e alla nomina di Sindaco di Emilio Caldara.


Dario Fo in una vignetta di
Gianluca Costantini

Durante gli anni del Primo e Secondo dopoguerra la Palazzina prosegue la sua funzione di ristoro all’interno del Mercato che, durante gli anni Cinquanta, viene adeguato alle nuove esigenze imposte dall’incremento della richiesta di derrate: le operazioni di vendita sono rese più rapide e agevoli, il sistema della formazione dei prezzi viene ammodernato grazie a un tabellone automatico, i 1500 facchini vengono regolarizzati con salari adeguati e oneri previdenziali (mai pagati fino ad allora), viene intensificata la lotta alle frodi. Tuttavia, a ridosso degli anni Sessanta, la Giunta inizia a cercare una collocazione più idonea alle nuove esigenze di conservazione e distribuzione dei prodotti ortofrutticoli. I magazzini, le tettoie, il tabellone dei prezzi vengono smontati e il Mercato trasferito in via Lombroso, dove verrà inaugurato il 25 giugno del 1960 alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Ronchi. È la nascita del Nuovo Mercato Ortofrutticolo. Della vecchia struttura rimane solo la Palazzina Liberty.


Dario Fo davanti alla Palazzina

Cinque anni dopo l’ultimo trasferimento del Mercato, l’Ufficio tecnico dell'Assessorato all’Urbanistica inizia l’elaborazione del piano graduale di smantellamento di tutti gli edifici includendo, tra questi, anche la Palazzina. Nonostante il parere contrario della Soprintendenza ai monumenti della Lombardia, il Comune di Milano, guidato dal Sindaco socialdemocratico Pietro Bucalossi, rimane fermo sulla sua posizione: destinare tutta l’area a verde pubblico provvedendo alla demolizione di tutti gli edifici ritenuti “di intralcio”. Il confronto dura un paio di anni e il 2 gennaio 1967, anche grazie alle sollecitazioni dell’associazione Italia Nostra, il cui presidente Pierfausto Bagatti Valsecchi aveva sempre espresso parere contrario alla demolizione, l'assessore all’Urbanistica Filippo Hazon vincola la Palazzina ad essere parte integrante del nuovo parco, già aperto l'anno precedente in occasione del Carnevale ambrosiano. Il 16 novembre del ’67 viene eletto Sindaco il socialista Aldo Aniasi, il sindaco partigiano delle Brigate Garibaldi in Valsesia. Anche con la nuova giunta, nonostante ne sia stata garantita la conservazione, la Palazzina Liberty, da importante centro  di socialità quale era stata negli anni del Mercato, rimane chiusa e inutilizzata per anni. Le sue porte si riaprono l’11 marzo del 1974, quando un rappresentante dell'Amministrazione consegna le chiavi al Collettivo Teatrale la Comune di Dario Fo e Franca Rame, con documentata soddisfazione dell'assessore socialista al Demanio Carlo Tognoli, futuro sindaco di Milano. Nulla di “illegale”: al collettivo artistico veniva semplicemente dato in usufrutto temporaneo un immobile pubblico nel centro del quartiere popolare di Porta Vittoria, ridotto in stato di abbandono, adibito a deposito di macerie, senza elettricità e invaso dai topi. Nonostante la chiusura di numerosi poli industriali come la Motomeccanica di via Oglio o la Fratelli Cella di viale Cirene, (e altri del settore meccanico e tecnico che non reggono il confronto con le multinazionali, la delocalizzazione forzata della produzione dei componenti, la speculazione edilizia sempre pronta a capitalizzare gli effetti delle dismissioni industriali e, successivamente, l'irrompere aggressivo della componentistica giapponese), altre aziende sopravvivono, confermando la componente popolare e operaia della zona. Sono la Cinemeccanica di viale Campania, la Elchim di via Tito Livio, la Geloso di viale Brenta, la Lagomarsino di viale Umbria, la Plasmon di via Cadolini, la Tensi di via Maffei, il T.I.B.B. di piazzale Lodi, la Montecatini di via Bonfadini, la Motta di viale Campania, tanto per citarne alcune: contesti occupazionali protagonisti dell’economia milanese caratterizzati da un’influente presenza sindacale. Agli inizi degli anni Settanta in Italia e in Europa si diffondono le nuove avanguardie teatrali, vengono aperti i teatri pubblici e Dario Fo e Franca Rame, sono di ritorno dalla Francia dove avevano appena rappresentato Mistero Buffo al  Théâtre National de Chaillot. 



Il futuro Premio Nobel è già apprezzato in tutta Europa, fin dal 1961 in seguito alla rappresentazione di Ladri, Manichini e Donne Nude all’Arena Teatren di Stoccolma, che avvierà le future messe in scena sui palchi di Bulgaria, Polonia e Finlandia. Franca Rame ricorda che, dopo aver lasciato il capannone di via Colletta, “Dario e io ci trovammo con quattro altri compagni, completamente soli, spogliati di tutto: camion, apparecchiature elettriche, pulmini, riflettori, comprese le nostre personali attrezzature sceniche, frutto di vent’anni di lavoro, che avevamo immesso nel collettivo uscendo dal teatro ufficiale, materiali che da soli erano il corredo bastante a due compagnie primarie”.  Così, negli anni delle stragi di stato, delle bombe e delle lame fasciste, della violenza della polizia ai cortei, del rapimento e dello stupro di Franca, commissionato dall'estrema destra ai carabinieri del generale Palumbo, il Collettivo deve ripartire quasi da capo.
Dopo l'“occupazione”, rimane solo il passo formale e ufficiale della delibera di Giunta, il cui esito era da tutti atteso come positivo. Irremovibilmente contrario fin dall'inizio, tra pochi altri, il consigliere democristiano Massimo De Carolis, passato anni dopo, assieme a tutto il contingente di Comunione e Liberazione, tra le schiere di Forza Italia e condannato a due anni e dieci mesi di reclusione per corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio nel processo sull’appalto del depuratore Milano Sud. Nonostante l'appoggio degli abitanti della zona, militanti della sinistra istituzionale ed extraparlamentare e artisti, il Consiglio comunale torna sui suoi passi e nega l'usufrutto temporaneo. L'amministrazione pubblica milanese giudica come “occupazione abusiva” quella che è sostenuta da decine di associazioni e centinaia di intellettuali come la rinascita culturale di un edificio in stato di abbandono e solo il sostegno popolare ne impedisce lo sgombero immediato. Dario, Franca e il Collettivo proseguono le loro attività: rappresentazioni teatrali, corsi di teatro aperti a adulti e bambini della zona, attività sociali. Nemmeno la sentenza della II Sezione del Tribunale Civile emessa nel 1975, che riconosce al Collettivo il diritto di rimanere nella Palazzina, è in grado di far cambiare idea alla Giunta. Gli anni tra il 1974 e il 1980, sono un periodo di vivace produttività artistica per Dario Fo e Franca Rame, giudicati da alcuni critici addirittura come essenziali alla completa comprensione della produzione di teatro civile del Premio Nobel milanese. 


Fo salda una lastra per la Palazzina


Sono anni di teatro di controinformazione, di intervento sul sociale che si distaccano dalla precedente esperienza di Fo con Nuova Scena (1968-1970) e che, distanziandosi dalle Case del Popolo, dai circoli Arci e dalla cultura ufficiale del Partito Comunista, si rivolgono a un pubblico più studentesco riconducibile alla sinistra extra-parlamentare (Avangiuardia Operaia in primis) e al sindacalismo conflittuale. In questi anni la compenetrazione tra dimensione artistica e senso etico si fa più marcata. Fo elabora i contenuti delle sue rappresentazioni non solo per il pubblico, ma con il pubblico e con il Collettivo. Per Claudio Maldolesi, mai come negli anni della Palazzina Liberty il limite fra teatro e realtà diventa esiguo, coinvolgendo un pubblico di 85.000 iscritti (l’iscrizione ratifica il rapporto a doppio senso tra autore e fruitore), diverso e complementare a quello di altri teatri dalla militanza più cauta come il Piccolo. Il Collettivo, con l’occupazione della Palazzina Liberty ha, di fatto, realizzato il decentramento (culturale, in questo caso) che la Giunta si era prefissato ma che faticava a realizzare (fatta salva l'esperienza del circuito teatrale che legava il Piccolo Teatro di Paolo Grassi all’esperienza del Teatro Quartiere). È nella Palazzina Liberty che il Collettivo realizza l’intento di creare quella microsocietà solidale integrata alla lotta di classe che la stessa denominazione del collettivo porta con sé, richiamandosi al governo rivoluzionario che diresse Parigi dal marzo al maggio del 1871: vengono intessuti rapporti anche con le realtà organizzate “dal basso” sui temi che creavano conflitto sociale nella Milano della seconda metà degli anni Settanta: l’antifascismo, il diritto alla casa, le mobilitazioni contro le bollette del gas e della luce, le rivendicazioni femministe.



Porta E Belli Contro il Potere, Non Si Paga, Non Si Paga, Tutta Casa, Letto e Chiesa, Il Fanfani Rapito, La Marjiuana della Mamma è La Più Bella, Clacson, Trombette e Pernacchi sono le piece che il Collettivo elabora e lancia negli anni della Palazzina Liberty, portando sulla scena il carovita, il ritardo dei partiti della sinistra istituzionale, le lotte operaie, la cassa integrazione; in quel luogo, divenuto uno dei centri di dibattito culturali più vivaci, il collettivo ha modo di ospitare compagnie straniere. Non solo teatro: a pochi giorni dall'esplosione della bomba di piazza della Loggia, dove il Collettivo rappresentò Brescia 21 Giugno ’74 davanti a migliaia di antifasciste e antifascisti viene organizzato un convegno sulla cultura aperto a intellettuali italiani e stranieri che vede la partecipazione di Cesare Zavattini, Umberto Eco, Bernad Dort, Jori Evans, Giorgio Gaber, Marco Bellocchio, Corrado Augias, Guido Crepax, Elvio Facchinelli, Giorgio Bocca, Martin Karmitz, Sebastian Matta, Bernardo Bertolucci, José Guinot, Mario Monicelli, Pio Baldelli, Giuseppe Bertolucci.  E ancora: le iniziative pubbliche sui referendum per il divorzio e l'aborto, gli interventi nelle fabbriche occupate e davanti ai tribunali in difesa degli imputati politici. L'attività teatrale della Palazzina Liberty è legata anche al ritorno di Dario Fo in televisione: durante la presidenza alla Rai di Paolo Grassi venne mandato in onda Il Teatro di Dario Fo: 21 ore di opere interamente registrate nella Palazzina. Poco dopo il debutto di Clacson, Trombette e Pernacchi termina l'occupazione della Palazzina. Le sue chiavi vengono restituite all’Amministrazione comunale di Milano. Solidarietà al Collettivo e critiche alla Giunta non vengono mosse solo da Mario Capanna, allora consigliere regionale per Democrazia Proletaria, ma anche da Giorgio Strehler e Paolo Grassi.
Dopo il 1980 l'ex caffè-ristorante precipita nuovamente nel degrado e nell'abbandono. Viene smantellato anche il monumento fatto di tubi e materiale di recupero che rappresentava il giusto sberleffo sarcastico al cannone del “feroce generale Bava Beccaris”. Si dovrà aspettare fino al 1988 per l'inizio degli interventi di ristrutturazione, avviati su impulso delle cittadine e dei cittadini e del Consiglio di Zona. Inizialmente la Palazzina ospita la Civica Orchestra di Fiati e, in seguito, le stagioni musicali dell’Orchestra da Camera Milano Classica, le serate de La Casa della Poesia, le iniziative pubbliche organizzate da varie associazioni tra le quali, l'ANPI; dal 2016 viene avviato “Palazzina Liberty in Musica” coordinato dall’Area Spettacolo del Comune in collaborazione con artisti e istituzioni del quartiere. Per una migliore fruizione (la sala interna, ad oggi, ha una capienza di 190 posti e 3 palchi da 10 postazioni cadauno) vengono sistemati i locali del piano seminterrato - suddiviso in locale bar-caffetteria, bagni e spogliatoi - allacciata la rete Wi-Fi e installato un impianto di climatizzazione automatico.



Il 23 ottobre 2017 alla presenza del sindaco Sala e dell'assessore alla Cultura Filippo Del Corno la Palazzina viene intitolata a Dario Fo e Franca Rame: un periodo di intensa programmazione culturale (la cerimonia fa da pretesto per il lancio della nuova stagione, che vanta la programmazione di ben 177 spettacoli); lo stesso Sindaco ne riconosce l'importanza culturale e aggregativa: “La Palazzina è un simbolo importante perché anche da qui è passata la formazione della città”.
La pandemia impone il blocco delle attività culturali e la Palazzina viene di nuovo chiusa. Di essa non si sente più parlare fino al primo ottobre del 2021, quando il Consiglio Comunale approva le linee guida di un prossimo bando che avvia la “concessione a terzi” dell'edificio, a causa dell'impossibilità, da parte dell'Amministrazione, di assicurare la prosecuzione della gestione della programmazione e di reperire i fondi necessari alle opere di messa in sicurezza e di adeguamento normativo dell’edificio.
Dario Fo disse che “l’unica cosa sicura del teatro... è che nulla è sicuro”, e tale sembra essere lo stesso futuro della Palazzina. Benché all'interno delle linee guida per il bando di assegnazione sia esplicitata la volontà dell'Amministrazione di assicurare, anche con la nuova gestione, la continuità di relazioni col territorio e le sue associazioni e l’accessibilità dei prezzi, temiamo che le regole del libero mercato possano invece far derivare la gestione in direzione opposta, privilegiando la rendita economica a discapito dell'offerta culturale.
I prezzi degli affitti degli spazi rimarranno da garantirne la fruizione da parte delle associazioni di zona?
Per questi motivi ci rivolgiamo a singoli cittadini, associazioni, partiti politici, associazioni sindacali, artisti e lavoratori dello spettacolo chiedendo di firmare la petizione online su Change.org- che verrà inoltrata al Sindaco Beppe Sala, all’Assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, all’Assessore al Bilancio e Patrimonio Immobiliare Emmanuel Conte - nella quale proponiamo che la Palazzina Liberty dedicata a Dario Fo e Franca Rame, completati i necessari interventi strutturali a spese dell’Amministrazione, conservi la sua identità di immobile pubblico a gestione comunale, riconfermandone la pregevole funzione culturale e sociale che per tanti anni l’ha contraddistinta come “casa della cultura” del Municipio 4.