L’altra città di Santa
Petronilla. La
sensazione entrando a Siena è che tutta la città sia collocata su una struttura
rotonda e perfetta che ha il suo centro in piazza del Campo, con il Palazzo
Pubblico (o Comunale, 1297- 1310), il Museo civico e la Torre del Mangia
che svetta nel cielo. All'interno possiamo ammirare opere splendide, come Allegoria ed effetti del Buono e del
Cattivo Governo (affresco di Ambrogio
Lorenzetti) e opere di altri artisti
senesi del Trecento. Un panorama che rivedo,
come fosse ora, in un pomeriggio assolato di fine inverno o nelle serate
illuminate da luci soffuse, ma intense, in grado di illuminare i nostri passi
sul selciato, che esitano attirati in ogni momento dalla bellezza che ci circonda
e dai profumi che arrivano, meravigliosi, dalle botteghe collocate in ogni dove
e che sembravo circondarci con un abbraccio intenso e profondo.
La prima, vera immagine,
però, è quello della sfilata di tetti che apparivano allo sguardo avido di una
ragazzina quattordicenne che osservava la città dalla finestra della camera in
una pensione del centro storico, appena arrivata con una gita scolastica. E il
duomo che ricordavo molto diverso, ma comunque straordinario e, nel suo
complesso, pieno di opere d’arte, e Santa Maria della Scala che ospita una
straordinaria mostra permanente e quella del 2003-2004, Duccio. Alle origini
della pittura senese, su Duccio e i “ducceschi”, di cui mi porto dentro
soprattutto la Maestà, detta del Duomo di
Siena, capolavoro di Duccio. Durante la visita mi
allontanavo e mi avvicinavo all’opera per ammirarla, impadronirmene,
possederla, tanto era magnifica. Il Buoninsegna,
infatti, creò una pala d’altare (1308-13) in onore della Madonna a cui la
Cattedrale è dedicata, monumentale, ma oggi spezzettata nelle sue varie parti.
Meravigliosa anche la
Pinacoteca Nazionale di Siena, in un palazzetto antico, anzi due diversi,
salendo dal campo e scendendo dal duomo, nel centro storico, che conserva, fra
i suoi capolavori, un’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti. E la basilica cateriniana
di San Domenico, monumento nazionale, che sorge sopra un poggio e che, la
seconda volta, ho visto di sera, coinvolgente e in fondo forse un po’
inquietante perché dal duomo sembra un paesaggio lunare o marziano per un
astronauta sperduto nel cosmo; in alto, un po’ fuori dalla città, direi, che da
lì appariva lontana, ammantata dal buio con poche luci a punteggiarla e a
individuarla. A Siena diverse strutture
sono dedicate a Santa Petronilla; c’è anche la chiesa con il nome della santa,
un tempo adiacente all’antico monastero femminile omonimo, in via di Santa
Petronilla. L’edificio è stato costruito in uno spazio dove anticamente doveva
essere un luogo francescano, ma nei secoli ha affrontato delle vicissitudini ed
è stato molto rimaneggiato al punto che oggi è strutturalmente modificato
all’esterno mentre l’interno ha un impianto di tipo ottocentesco. Nell’unica
navata si trovano, però, opere pregevoli, di età diverse.
E l’ultimo giorno che ho visto
Siena, in cui sono stata lì, racconta di una mattina di maggio, molto presto,
quando, prima di partire, per un motivo particolare, sono andata in giro
scendendo dalle parti di S. Spirito, dove c’è una chiesa, originariamente
trecentesca, con lo stesso nome, poi trasformata in carcere; un luogo che, dopo
molti anni, inaspettatamente e improvvisamente, tornerà nella mia esistenza a
rendere più facile un momento particolarmente impegnativo. Quindi quella zona, che in
realtà avevo visto poco in quegli anni, è il ricordo più vicino che ho di
Siena, una città particolarmente significativa per me; e questo pensiero evoca
sempre delle emozioni profonde riportando alla mente lontane esperienze anche
se nel frattempo la vita è andata avanti superando, in ogni senso, quel
periodo. Nel mezzo, però, appaiono le memorie di tutti i giorni passati lì, a
volte felici e entusiasmanti, altre, invece, difficili o semplicemente inaspettati.
Un ricordo su tutti:
quello del cammino fatto nella neve con la studentessa più brillante del corso,
che univa alle capacità una maturità particolare. Un giorno speciale quello,
con la città tutta imbiancata e la strada in salita, resa difficoltosa dalla
pendenza e dallo strato di neve che la copriva rendendola quasi irriconoscibile.
Un’esperienza comunque unica, con il freddo che mi penetrava nel corpo, ma con
la sensazione di qualcosa al di fuori dall’ordinario da conservare e riportare
al ritorno verso casa. Poi l’arrivo al mio albergo, in una posizione splendida,
addossato al centro storico, ma appena fuori, per poter prendere il pullman e
qualunque altro mezzo vietato in centro, che deve essere naturalmente percorso
solo a piedi.
Un giorno fissato nella mia memoria e che, per me, rappresenterà
Siena, per sempre, una città, però, resa diversa, modificata, nascosta e forse
anche trasformata, dalla coltre di neve che la nascondeva. Per questo, appena
arrivata non sono entrata nella mia camera, nonostante il freddo e il disagio,
per ammirare e portare con me quel luogo, in un ultimo sguardo che cercava di
comprendere e di impadronirsi il più possibile di tutto quel paesaggio
esteriore che si rifletteva contemporaneamente in molteplici, sfaccettati
orizzonti interiori. Sapevo che sarebbe passato
molto tempo prima di tornare e volevo almeno portare con me quel momento di
pace, serenità e bellezza che mi dava la neve, che ammantava tutto in un’aura
di purezza, per rendere subito più sopportabili i ricordi, che il tempo avrebbe
comunque smussato e ammorbidito col suo pulviscolo dorato, legati per sempre a
quella meravigliosa città.