Stiamo
facendo le elezioni più incostituzionali della storia grazie alla legge
elettorale, Rosatellum, peggiorata dalla legge giallo-verde del Conte I, in
combinazione con il taglio dei Parlamentari e per quello che non si è fatto,
tra cui una cosa semplicissima come far venire meno per chi raccoglie le firme,
veri eroi della democrazia, di richiedere il certificato di iscrizione alle
liste elettorali, richiesta illegittima a partire dall'entrata in vigore il 2
settembre 1990,dell'art. 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241. L'obbligo
di presentare il certificato di iscrizione alle liste elettorali insieme con
l'accettazione della candidatura è previsto dal dpr n. 361/1957 al suo art. 20,
che non ha tenuto conto della legge n. 241 del 1990. L'art. 18 bis del T.U.
Camera è stato più volte modificato dalle leggi 6 maggio 2015 n. 52 (Italikum),
3 novembre 2017 n. 165 (Rosatellum), 27 dicembre 2017 n. 205 e da ultimo dalla
legge n. 84/2022 di conversione del decreto-legge n. 41/2022. Tuttavia, questi
interventi non hanno mai toccato le norme obsolete come l'art. 20 del T.U., ma
solo per esentare le formazioni presenti in Parlamento, con criteri di volta in
volta diversi e valevoli solo per la prima elezioni successive. C'è la
violazione del Codice di buona condotta in materia elettorale essendo stato lo
stesso considerato parametro di legittimità dalla Corte Europea dei Diritti dell’UOMO
da ultimo con la sentenza definitiva 24 marzo 2020 della Sez. IV nel Ricorso n.
25560/13, Cegolea contro Romania. L’esenzione
dalla raccolta delle firme, disposta nel passato sempre con legge ordinaria, è
stata, per la prima volta, introdotta, con una modifica della Camera con l’art.
6 bis ad un D. L., il n. 41 del 4 maggio 2022 e relativa ad altra materia come
si evince dal titolo della legge n. 84/2022 “Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, recante disposizioni
urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei
referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno
2022, nonché per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di
sicurezza ai fini della raccolta del voto.” L’art. 6 bis è, invece, intitolato
“(Disposizioni in materia di elezioni politiche)”, quindi relativo alle
elezioni politiche 2022, che alla data di emanazione del d. l. non erano state
nemmeno convocate. Lo furono, infatti, con il decreto del Presidente della Repubblica
del 21 luglio 2022, n. 97. Al momento della sua introduzione, quindi non vi
erano i presupposti del caso straordinario di necessità e urgenza, previsto
dall’art. 77.2 Cost., affinché il Governo, sotto la sua responsabilità, non il
Parlamento, adotti provvedimenti provvisori con forza di legge. Al momento
dell’introduzione dell’art. 6 bis, si applicavano gli artt. 60 e 61 Cost.:
quindi, atteso che la prima riunione delle Camere, elette il 4 marzo 2018, si è
tenuta il 23 marzo 2018 e pertanto l’ultima data utile avrebbe potuto essere la
domenica 28 maggio 2023.
Inoltre,
l’art. 6-bis del decreto-legge n. 41 del 2022 è anche una legge-provvedimento
visto che descrive la situazione precisa di alcune liste. Le leggi
provvedimento sono illegittime per irragionevolezza e disparità di trattamento
(v. di recente la sentenza cost. n. 186 del 2022). L’introduzione
di materie estranee nei decreti-legge è stata più volte censurata dalla Corte
costituzionale (sentenze 32 del 2014 e 94 del 2016). Inoltre, le modalità di conversione dei decreti-legge
violano il combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 72 Cost., che richiede
sempre la procedura normale per le leggi in materia “costituzionale ed
elettorale”, mentre in sede di conversione di decreto legge si vota l’articolo
unico di conversione, il cui contenuto coincide con il titolo della legge di
conversione, che fa riferimento generico
alle modificazioni, al Senato, a differenza della Camera, il voto sulla
fiducia, espressamente richiesta dal Ministro per i Rapporti col Parlamento,
coincide col voto finale: l’art. 6 bis non è stato oggetto di specifica approvazione
delle Camere.
La
disparità di trattamento, rispetto alle liste autonome, con la stessa
percentuale di voto, ad esempio PaP, che ha superato l’1% sia alla Camera che
al Senato, è stata giustificata con la discrezionalità del legislatore e con
riferimento alla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale sentenza
n. 48 del 2021, 394/2006, n. 84 del 1997, n. 83 del 1992 e n. 45 del 1967) di interpretazione
dell’art. 51 Cost., per il quale le condizioni di eguaglianza del diritto di
candidarsi è subordinato “ai requisiti stabiliti dalla legge”. Tuttavia,
la discrezionalità del legislatore non può sconfinare nell’arbitrarietà e
nell’irragionevolezza ovvero nella disparità di trattamento, con violazione
dell’art.3.1 Cost. Per comprendere le censure occorre esaminare il testo
dell’art. 6 bis, che di seguito si trascrive, con l’attenzione che richiede
l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale: ((1.
Le disposizioni dell'articolo 18-bis, comma 2, primoperiodo, del testo unico delle leggi recanti
norme per la elezione della Camera dei deputati, dicui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, si applicano, per le prime
elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive
alla data di entrata in vigore dellaleggedi conversione del presente decreto, anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo
parlamentare in
almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio
contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime
elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due
terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in
ragione proporzionale o abbiano concorso alla
determinazione della cifra elettoralenazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano
nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale)). Per
la fretta il legislatore si è dimenticato che il nostro è un sistema bicamerale
(art. 55 Cost.) paritario per la funzione legislativa (artt. 70, 71, 72 e 73
Cost.) e per la ratifica dei trattati internazionali (art.80 Cost.) e per la
fiducia al Governo (art.94 Cost).
L’art.
18 bis è norma del T.U. Elezione Camera dei deputati, ma si applica anche al
Senato per espresso rinvio dell’art. 9 d.lgs. n. 533/1993, T.U. Elezione Senato
della Repubblica e ne tiene conto tanto che le esenzioni dalla raccolta firme
si applicano alle “prime elezioni della Camera dei deputati e del
SenatodellaRepubblica” successive all’entrata in
vigore della legge di conversione a “partiti o gruppi politici costituiti in
gruppo parlamentarein almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021”:
il bicameralismo è rispettato. Le due Camere sono equi ordinate e equivalenti:
chi haalmeno un gruppo si può presentare senza raccogliere firme anche
nella Camera nella quale non ha gruppo, anche se la ratio con la quale
la Corte Cost. ha giustificato l’onere della raccolta firme viene meno, tanto
più che fa riferimento ad elezioni nelle quali il corpo elettorale delle due Camere
era differenziato (art. 56.1 Cost. per la Camera e art. 58.1 Cost. per il
Senato), ora non più grazie alla legge cost. n. 1/2021. Il Bicameralismo viene
rapidamente meno poiché l’esenzione viene estesa ai partiti o gruppi politici “che
abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni
della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento
europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano
ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale”, ma non al
Senato della Repubblica. La discriminazione, con disparità di trattamento,
diventa massima quando l’esenzione dalla raccolta firme viene estesa alle liste
che “abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale
di coalizione”. Per molteplici ragioni il voto non aveva peso uguale con le
coalizioni che potevano beneficiare del voto delle liste coalizzate sotto-soglia,
dopo la riforma dell’art. 14 bis dpr n. 361/1957, con l’approvazione della
legge n. 165/2017 (art. 1 c. 7), che non prevede più, rispetto al testo
introdotto con la legge n. 270/2005, che “I partiti o i gruppi politici
organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare
depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome
della persona da loro indicata come unico capo della coalizione”, ma,
tuttavia, resta un secondo periodo nel comma 3 dell’art. 14 bis riformulato “Restano
ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica ai sensi
dell'articolo 92, secondo comma, della Costituzione”, anche se non ha più
alcun senso in mancanza di unico capo della coalizione: quando era una foglia
di fico, per nascondere un passaggio di fatto al cosiddetto premierato. Non è
un caso che si rafforzò la tendenza a mettere nel logo della lista un cognome e
una funzione come Berlusconi Presidente o Salvini Premier. Con
la normativa del voto obbligatoriamente disgiunto a pena di nullità il
legislatore si sostituisce all’elettore. Al limite si poteva accettare che in
assenza di voto espresso si facesse una presunzione ma solo quando non vi era
dubbio, cioè quando un elettore avesse votato per una lista singola o
coalizzata, che il voto valesse anche per il candidato uninominale, ma non che
il voto dato al candidato uninominale in caso di coalizione vada diviso
proporzionalmente tra le liste in base alle scelte di altri elettori: non
è più un voto personale, ma soprattutto diretto, cioè si violano gli artt. 48,
56 e 58 Cost., ma aberrante è la nullità del voto se il voto è disgiunto: a
quel punto di nega il voto libero e personale. Il voto uninominale
maggioritario deve valere esclusivamente per eleggere 3/8 dei seggi, non per
alterare la parte proporzionale. La
legge elettorale Mattarellum prevedeva che al Senato per la parte
proporzionale si votasse su un’unica scheda, a differenza della Camera, e
pertanto andavano scorporati dal totale dei voti di una lista di candidati,
quelli utilizzati per proclamare eletti un candidato uninominale maggioritario,
altrimenti quel voto avrebbe avuto un valore maggiore e quindi non sarebbe
stato eguale. Bastava prevedere il voto disgiunto per
rendere conforme a Costituzione e calcolare i voti solo nell’ambitoin
cui sono stati espressi.
Consigli
agli elettori sul voto utile Quindi
cosa fare? Andare
a votare, comunque, tenendo conto che siamo un sistema bicamerale perfetto e
che gli effetti distorsivi maggiori delle leggi elettorali sono pericolosi se
si avverano nella stessa misura nelle due Camere: per esempio per evitare
persino il referendum su leggi costituzionali i 2/3 vanno raggiunti nelle due
Camere. Chi è in imbarazzo voti in modo disgiunto tra Camera e Senato. Nella
Camera le norme per la percentuale dei seggi tra i 3/8 maggioritari e i 5/8
proporzionali sono più favorevoli al proporzionale, mentre al Senato al
maggioritario. Pochi sanno che in una regione il Trentino-Alto Adige, al Senato
non c'è nemmeno un seggio proporzionale. È più facile raggiungere la soglia del
3% nazionale alla Camera, perché chi supera la soglia avrà sicuramente seggi,
mentre la base regionale del Senato non garantisce che chi superasse la soglia nazionale
li abbia, perché ci sono le soglie implicite regionali. Per avere un'idea si
deve dividere 100 per il numero dei seggi senatoriali assegnati alla regione
nella quota proporzionale. Nel senso che chi raggiunge quella percentuale ha la
certezza di avere un seggio, ma anche con una percentuale minore ma non di
molto, dipende dal numero di seggi da assegnare coi resti. Al Senato per avere
un voto non disperso bisogna votare per liste che possano vincere anche seggi
uninominali. In tal caso occorre anche che il candidato sia digeribile, non un
impresentabile. L'elettore può far verbalizzare suoi reclami ex art. 87
T.U. Camera, e il segretario, che si rifiuti deve tenere presente quanto
dispone l'art. 104 c. 5 dpr n. 361/1957 che stabilisce che “Il segretario
dell'Ufficio elettorale che rifiuta di inserire nel processo verbale o di
allegarvi proteste o reclami di elettori è punito con la reclusione da sei mesi
a tre anni e con la multa sino a lire 20.000.” Pertanto
di può chiedere al presidente l'intervento della forza pubblica perché è un
reato. Per facilitare le operazioni è meglio che il reclamo sia stato redatto
per iscritto e richiedere la sua allegazione. I reclami ai sensi dell'art. 87
dpr 361/1957 devono giungere fino alla giunta delle elezioni delle due Camere.
Attraverso questa via un gruppo di elettori nel 2008 verbalizzo censure di
costituzionalità, che riprendevano le censure dei ricorsi contro il Porcellum.
Questi esposti furono esaminati dalle Giunte delle Elezioni di Camera e Senato
un anno dopo e respinti con varie motivazioni, ma la Giunta del Senato ritenne
che potessero investire la Corte Costituzionale, ma non lo fece perché il
Porcellum era costituzionale. Della smentita della Corte Costituzionale 4 anni
dopo con la sentenza n. 1/2014, (frutto di un ricorso dell'avv. Aldo Bozzi con
gli interventi ad adiuvandum, degli avvocati Claudio Tani e Felice
Besostri fino alle discussioni in Cassazione e Corte Costituzionale) non c'è
traccia nei verbali della Giunta delle elezioni. Stavolta
potrebbe essere diverso, se veramente la difesa della Costituzione non è mero flatus
voci per chiedere voti, non meritati se non in nome del meno peggio,
turandosi il naso, ma anche, come le famose scimmiette cinesi, coprendosi con
le mani gli occhi per non vedere, le orecchie per non sentire e la bocca permantenere il segreto. *Socialista del Gruppo di
Volpedo.