In
questa campagna elettorale dominata dalla paura le forze in lizza hanno
compiuto una vera e propria sottrazione di argomenti: non ci sono il lavoro,
l'informazione, lo stato sociale, l'idea dello sviluppo, l'acquisizione
collettiva del senso del limite e della capacità di costruirvi sopra un'idea di
società. Manca
soprattutto un'idea di convivenza civile che parta dalla Città intesa come
luogo-simbolo della sperimentazione della modernità e da lì si trasferisca in
una costruzione di visione alternativa del modo di vivere. Quella
parte politica che ha vinto le ultime elezioni amministrative e che è comunque
faticoso chiamare centro-sinistra non riesce più (come ai tempi del "buon
governo") a cominciare dalle Città, in particolare dalle periferie, sciupando
così tesori di impegno e di ricerca di pensiero. Le
periferie vanno considerate come un processo e non come un prodotto: se si
riuscisse a far passare questo messaggio allora l'uso delle risorse pubbliche
potrebbe risultare più efficiente perché destinato a una visione del futuro e
non al semplice "divorarsi dell'oggi" e il tessuto urbano reso più
ricco e diversificato potrebbe svolgere un ruolo di integrazione anziché
separare i reciproci ghetti. Le città sono i mattoni di una geografia nuova,
pilastri indispensabili di un continente dei popoli. La
città come topografia del cuore verso la modernità. Questo
spunto di riflessione, questa visione che si muove dai luoghi abitati e
vissuti, è assente da questa pretesa contesa elettorale dominata dal vuoto nel
quale ciascun attore non riesce ad andare oltre il pretendere la sua
"ipotesi di potere". Così sfugge il progetto di un equilibrio tra
spazio pubblico e spazio privato e rimane totalmente assente una forma di
democrazia partecipativa impegnativa al punto tale da coinvolgere la comunità
nei progetti. La sola possibilità - scrive Alejandro Aravena - di disegnare
traiettorie verso l'uguaglianza.