Il nuovo concetto strategico della NATO: la fine
del controllo degli armamenti.
Padova. Lo scorso 30 giugno il
Summit della NATO a Madrid ha, fra l'altro, approvato il nuovo concetto
strategico (CS) dell'alleanza, che guiderà la politica militare della NATO nei
prossimi 10 anni. Si tratta dell'ottavo CS dalla fondazione della NATO nel 1949,
il quarto reso pubblico, dopo quelli del 1991, 1999 e 2010. I CS svolgono una
duplice funzione: formulano la visione strategica dell'alleanza e rilanciano la
solidarietà attorno ai compiti principali dell'organizzazione. Costituiscono
inoltre un documento di pianificazione, sulla base del quale il personale
militare e civile della NATO determina l'allocazione delle risorse, la
struttura delle forze e gli obiettivi da raggiungere. ln realtà, per conoscere
a pieno l'attuale riallineamento strategico della NATO, il CS dovrebbe
possibilmente venir letto assieme al documento di strategia militare della
NATO, che precisa gran parte dei dettagli impliciti nel CS, ma sfortunatamente
è mantenuto segreto.
Le attuali minacce. La differenza fondamentale di tono rispetto al precedente CS,
definito a Lisbona nel 2010, sta nella valutazione della situazione da
affrontare: allora "l'area euro-atlantica è in pace e la minaccia di un
attacco convenzionale contro il territorio della NATO è bassa", mentre ora
"l'area euro-atlantica non è in pace ... Non possiamo escludere la
possibilità di un attacco contro la sovranità e l'integrità territoriale degli
alleati". "La guerra d'aggressione della Federazione Russa contro
l'Ucraina ha infranto la pace e alterato gravemente il nostro contesto di
sicurezza. (...) Il comportamento di Mosca riflette un modello di azioni
aggressive russe contro i suoi vicini e la più ampia comunità
transatlantica." La Russia, conseguentemente, diviene nell'attuale CS
"la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e
alla pace e alla stabilità nell'area euro-atlantica"; si tratta della più
dura formulazione a descrivere la Russia dal 1991. Infatti il CS del 1991
"salutava la cooperazione con l'Unione Sovietica per significativi
progressi nel controllo degli armamenti con gli Stati Uniti e l'Europa" e
ancora a Lisbona nel 2010 si auspicava "un vero partenariato strategico
tra NATO e Russia", dato che "la cooperazione NATO-Russia è di
strategica importanza in quanto contribuisce a creare un comune spazio di pace,
stabilità e sicurezza". Il CS 2022 è anche il primo documento strategico
della NATO a menzionare la Cina, le cui "ambizioni dichiarate e politiche
coercitive sfidano i nostri interessi, sicurezza e valori. (...) La Repubblica
Popolare Cinese utilizza un'ampia gamma di strumenti politici, economici e
militari per aumentare la sua impronta globale e la proiezione di potere, pur
rimanendo poco chiara sulla sua strategia, intenzioni e sviluppi militari. La
RPC cerca di controllare i settori tecnologici e industriali chiave, le
infrastrutture critiche, i materiali strategici e le catene di
approvvigionamento". Significativa in questo contesto la presenza al
summit per la prima volta di capi di stato o di governo di Australia, Giappone,
Nuova Zelanda e della Repubblica di Corea, segnale dell'espansione degli
interessi della NATO nella regione indo-pacifica. 2 Il nuovo documento continua
esaminando le altre minacce alla NATO. "Il terrorismo, in tutte le sue
forme e manifestazioni, è la minaccia asimmetrica più diretta alla sicurezza
dei nostri cittadini e alla pace e alla prosperità internazionali." Il CS
nota che "le reti terroristiche si sono ampliate, hanno potenziato le loro
capacità e investito in nuove tecnologie per migliorare la loro portata e
letalità." Altre minacce individuate nel CS vengono dai conflitti,
fragilità e instabilità in Africa e Medio Oriente, da attacchi nel
cyber-spazio, dallo sviluppo di tecnologie degli avversari che degradano le
capacità spaziali civili e militari dei paesi della NATO, nonché dal
cambiamento climatico con i suoi impatti distruttivi sulla sicurezza dei paesi.
La fine del controllo degli armamenti. In generale, rispetto ai precedenti CS, il nuovo documento presenta
un'attenzione estremamente inferiore al controllo degli armamenti, il disarmo e
la non proliferazione, e non include alcuna menzione della riduzione degli
armamenti in Europa; il termine "controllo degli armamenti" compare
solo nei punti 18 e 32, e non in termini positivi. Eppure, il clima di pace
dell'Europa che la NATO osservava nel 2010 era anche frutto dell'architettura
di una serie di accordi e trattati specifici per la sicurezza europea,
laboriosamente edificata in un continuo processo negoziale in vari formati:
l'Atto finale di Helsinki (1975), il Trattato sulle forze nucleari di gittata
intermedia (1987), la Carta di Parigi per una nuova Europa (1990), il Trattato
sulle forze armate convenzionali in Europa (1990), il Trattato sui cieli aperti
(1992), il Memorandum di Budapest sulle assicurazioni di sicurezza (1994),
l'Atto istitutivo NATO-Russia (1997), il Documento OSCE di Istanbul (1999), la
Dichiarazione di Roma sul Consiglio NATO-Russia (2002) e il Documento di Vienna
(2011). Alcuni di questi accordi sono stati fatti decadere, e tutti gli altri,
per ragioni diverse, appaiono oggi sospesi, se non moribondi. Il CS non si pone
il problema di esaminare quali principi chiave della sicurezza europea siano
ancora in gioco, su cosa si possa costruire, e cosa debba venir scartato. Non
nomina alcuno dei trattati, ma nel paragrafo 18 prende atto che
"l'erosione dell'architettura di controllo degli armamenti, disarmo e non
proliferazione ha avuto un impatto negativo sulla stabilità strategica."
Attribuisce in modo sbrigativo le cause dell'erosione ai soli paesi
"competitori": "le violazioni da parte della Federazione Russa e
l'attuazione selettiva dei suoi obblighi e impegni in materia di controllo
degli armamenti hanno contribuito al deterioramento del più ampio panorama
della sicurezza. (...) Iran e Corea del Nord continuano a sviluppare i loro
programmi nucleari e missilistici. Siria, Corea del Nord e Federazione Russa,
insieme ad attori non statali, hanno fatto ricorso all'uso di armi chimiche. La
RPC sta espandendo rapidamente il suo arsenale nucleare e sta sviluppando
vettori sempre più sofisticati, senza aumentare la trasparenza o impegnarsi in
buona fede nel controllo degli armamenti o nella riduzione dei rischi."
Per conoscere l'attitudine degli alleati rispetto al controllo degli armamenti
occorre attendere il paragrafo 32; intanto il CS descrive i veri strumenti per
garantire la stabilità strategica globale: rafforzamento delle capacità
deterrenti, non solo nucleari ma anche convenzionali, e preparazione operativa
alla difesa armata. Il paragrafo 32 recita: "la stabilità strategica,
ottenuta attraverso un'efficace deterrenza e difesa, controllo degli armamenti
e disarmo (...) resta essenziale per la nostra sicurezza. Il controllo degli
armamenti, il disarmo e la non proliferazione contribuiscono fortemente agli
obiettivi dell'Alleanza. L'impegno degli alleati per il controllo degli
armamenti, il disarmo e la 3 non proliferazione mira a ridurre i rischi e
migliorare la sicurezza, la trasparenza, la verifica, e la conformità."
Tuttavia l'impegno effettivo non è per una forma tradizionale di controllo
degli armamenti, ma "perseguiremo tutti gli elementi di riduzione del
rischio strategico, incluso promuovere la costruzione della fiducia e la
prevedibilità attraverso il dialogo, aumentando comprensione e definizione di
efficaci strumenti efficaci di prevenzione e gestione delle crisi, a (...)
integrare la posizione di deterrenza e difesa dell'Alleanza." Non vi è
quindi alcuna prospettiva di ricerca di negoziati per le varie urgenti forme di
limitazione delle armi nucleari e di controllo della corsa a sistemi
tecnologici destabilizzanti, neppure sui punti che negli scambi di proposte fra
Russia e NATO dello scorso inverno erano emersi di comune interesse, come la
limitazione di sistemi missilistici di portata intermedia, la definizione di
norme per evitare il confronto armato nello spazio e il controllo delle armi
cibernetiche. La NATO si dichiara solo "disponibile a mantenere aperti i
canali di comunicazione con Mosca per gestire e mitigare i rischi, prevenire
escalation e aumentare la trasparenza. (…) I nostri rapporti possono cambiare
qualora la Federazione Russa fermi il suo comportamento aggressivo e rientri
nel pieno rispetto del diritto internazionale." Anche i rapporti con la
Cina non propongono significativi obiettivi negoziali: "rimaniamo aperti a
un impegno costruttivo con la RPC, anche per costruire trasparenza reciproca,
al fine di salvaguardare gli interessi di sicurezza dell'Alleanza, (...) per
affrontare le sfide sistemiche poste dalla RPC alla sicurezza euro-atlantica e
garantire una duratura capacità della NATO di garantire la difesa e la
sicurezza degli alleati." Il quadro che il CS della NATO propone per la
sicurezza europea nel prossimo decennio, basata su "una deterrenza e una
difesa efficaci", si contrappone al processo che ha portato in Europa al
superamento della guerra fredda, fondato sul principio della “sicurezza
comune”, elaborato nel periodo 1980-82 dalla Independent Commission on Disarmament
and Security Issues guidata dal presidente svedese Olof Palme, ossia su una
politica internazionale finalizzata a soluzioni che rafforzino allo stesso
tempo la sicurezza di tutte le parti. Al posto di una sicurezza comune per i
tutti paesi della zona euro-atlantica (della NATO, della Federazione russa e
neutrali), sicurezza che richiede necessariamente un approccio negoziale volto
a una sostanziale politica di controllo degli armamenti, si va verso un
confronto di potenza, la contrapposizione di due forme di sicurezza
unilaterali, entrambe basate su una duplice configurazione dissuasiva, con
significative capacità nucleari e forti strutture convenzionali pronte per
operazioni belliche effettive; oltre alla dimensione militare, la sicurezza
russa richiede la creazione/mantenimento di una fascia protettiva di paesi
"neutrali", mentre la NATO vuole salvaguardare e potenziare una
superiorità tecnologica in tutti i campi. Ci aspetta quindi una progressiva e
profonda militarizzazione dell'Europa, a livelli analoghi, se non superiori, e
più pervasivi della vita quotidiana rispetto alla stessa guerra fredda,
nell'abbandono della diplomazia del disarmo, sia nucleare che convenzionale. La
seconda Belle Époque è finita. *Università
di Padova