“Donna, vita,
libertà” gridano donne e uomini sotto le sedi delle ambasciate e consolati
iraniani nel mondo. Lo gridano anche a Teheran e in molte delle città del
Kurdistan iraniano per Mahsa Amini la ragazza di 22 anni in visita a Teheran
uccisa dalla Polizia morale (una aberrazione etica che fatichiamo a scrivere) perché il velo (l’hijab della tradizione
islamica) non era indossato “in maniera appropriata”. Mahsa era stata fermata
il 14 settembre mentre passeggiava in compagnia dei genitori per le strade di
Teheran, malmenata, arrestata, portata alla stazione di polizia di Vozara per
essere “rieducata” alle 16 del pomeriggio era in coma a forza di botte, trauma
cranico dicono le Tac che qualcuno sta facendo girare. Il 17 settembre è
arrivata la notizia della morte, o meglio, del suo assassinio. Un assassinio
realizzato da chi pretende di essere ed esercitare “l’autorità morale” in quel
Paese. “Jin, Jihan, Azadi” donna, vita, libertà”
è il programma di rivoluzione e libertà sintetizzato così dalle militanti curde
in tutti i quattro cantoni in cui è stato diviso questo popolo offeso e
resistente. Un grido di libertà che le curde hanno regalato a tutte le donne
del mondo come un progetto per una nuova società. “Donna vita libertà” gridano le donne e
gli uomini contro Kamenei e Raisi, contro tutti i maschi che hanno paura delle
donne e della libertà dei popoli. Per le strade di Teheran bruciano l’hijab,
vanno a capo scoperto, si tagliano i capelli davanti alle telecamere e chiedono
l’abolizione della Polizia morale. Il potere degli ayatollah sostiene che Mahsa
è morta d’infarto o per un attacco epilettico e risponde alla piazza con
cannoni ad acqua, bastoni, lacrimogeni, proiettili di gomma, il blocco dei canali
Internet e uccide. I morti segnalati, per ora, sono cinque, i feriti almeno un
centinaio, gli arrestati molti di più. Se hanno pensato di poter abusare della
pazienza delle donne per sempre si dovranno ricredere. Il momento è
arrivato, “Donna vita Libertà”.