Un inedito ritratto di Piero Chiara. Scrittore,
giornalista culturale e di cronaca, saggista, narratore prolifico, irriverente
e anticonformista, critico letterario militante seppur lontano dalle accademie,
traduttore finissimo, riscrittore di classici e persino commentatore
radiotelevisivo, il luinese Piero Chiara (1913-1986) ha lasciato una traccia
indelebile nella letteratura del Secondo Novecento ed è ancora oggi autore
studiato, approfondito, oggetto di ricerche e di compulsive ricerche. Tra le
recenti pubblicazioni da cui esce un ritratto sincero e per certi versi
originale sul suo percorso professionale c’è Con Piero Chiara. Studi, collaudi,
pretesti (235 pagine, 20 euro) che l’attenta casa editrice meneghina Biblion
edizioni ha congedato in libreria a firma di Alberto Brambilla, fine studioso, componente
del Comitato Scientifico per l’Edizione Nazionale delle opere di Carducci nonché
direttore della rivista internazionale “Scritture e linguaggi dello sport”. Il
testo è frutto di una molteplicità di approfondimenti portati avanti nel corso
del tempo e in alcune sue parti è già apparso qua e là nel corso del recente
passato in riviste varie: si presenta come uno sfaccettato insieme di
spigolature, brevi saggi, aneddoti, rimandi a critiche del tempo legati alla
vasta produzione dell’autore coetaneo e conterraneo di Vittorio Sereni del
quale sono messi in luce i tratti precipui del suo proteiforme impegno
intellettuale, “influenzato” in particolare da Manzoni e Boccaccio (del quale
operò una sorta di decostruzione del Decameron), ma con un rapporto dialettico
sempre intrattenuto anche con D’Annunzio (di cui curò una, alquanto contestata,
intensa biografia) e Pirandello. È bene parlare di “intellettuale” anziché di ‘semplice’
scrittore poiché Chiara ha rappresentato un protagonista a tutto tondo, capace
di inserirsi nel dibattito culturale del proprio tempo fin dagli anni Cinquanta
quando darà forma e compiutezza ai suoi primi scritti, si pensi a Dolore nel
tempo (1959, Rebellato), e in grado di guadagnarsi un’autonoma posizione, anche
economica, in tale ruolo. Un autore completo che non ha mai disdegnato di
cercare e trovare nuove strade lungo cui incanalare la propria vena
precipuamente narrativa, tanto da far scrivere alla saggista Cinzia Masòtina
che “la sua sperimentazione e frequentazione di linguaggi e media diversi fu
quasi unica nel nostro Novecento artistico: solo di Pier Paolo Pasolini si può
dire altrettanto”. Con il casarsese, in verità, Chiara manterrà sempre un certo
distacco, tanto ideologico quanto umano, come è bene esemplificato in uno dei
capitoli del libro: da maschilista e fustigatore di certi ‘costumi’, il luinese
non potrà tacere il suo duro giudizio verso l’altro. “Antitaliano”, lo
definisce con un certo acume Brambilla: e antitaliano in effetti fu davvero,
per quel suo stile lontano da movimenti, scuole o gruppi di sorta, senza
velleità di appartenenza ad avanguardie, ma con l’obiettivo di erodere i miti
fondanti del secolo e in qualche forma anche la morale “sradicando” al contempo
le caratteristiche dell’identità nazionale. In Chiara non esistono sensi di
colpa, c’è un costante relativismo al fondo delle sue opere: i suoi personaggi,
pescati dal mondo del grottesco e dell’ironico, sono sovente spregiudicati,
incapaci di compiere buone azioni, attenti prevalentemente a soddisfare e
titillare il proprio ego, individualisti fino nel midollo, vagamente anarchici,
prevalentemente ribelli innocui. In tal senso il secondo capitolo del volume (Maschere
italiane. Peruna lettura antropologica della narrativa di Chiara)
si configura come un fitto, interessantissimo viaggio nel retroterra dei suoi
personaggi. Ma sarebbe ingiusto limitarsi a decrittare le figure di donne e
uomini dei suoi racconti e romanzi senza considerare a pie’ pari il contesto e
gli obiettivi che Chiara si è posto con la sua vasta attività culturale.
Massone e liberale, per lui era fondamentale mettere in risalto i vizi
dell’italiano medio, cercando di coglierne i tratti essenziali.
Se il Novecento letterario non può prescindere
dallo sport, si pensi solo allo stesso Sereni che ad esso, segnatamente alla
manifestazione delle Mille Miglia, dedicò alcuni dei versi più celebri, con
Chiara ci si affaccia sui territori della disciplina a due ruote: è il ciclismo,
complice anche l’amicizia e un comune iniziale destino di allontanamento dalla
propria piccola patria condiviso col campionissimo Binda che egli ritroverà per
caso durante una manifestazione a Udine dov’era stato mandato per la sua
attività nell’ambito dell’Amministrazione giudiziaria, a configurarsi come
terreno per la sua scrittura. “Rabdomante” della poesia, lo definisce con
lucido realismo Brambilla: ed egli in effetti così poteva presentarsi, fin dai
tempi della rivista “Quarta generazione” curata dallo stesso Chiara con Erba
nel primo dopoguerra, dove riusciva in poche righe a delineare i contenuti
reconditi di alcuni versi e lo stile di un poeta. Chiudiamo questo breve
excursus insieme al testo di Brambilla accennando alla narrativa odeporica,
altro ambito che pure frequentò, precipuamente negli anni Cinquanta e Sessanta
quand’era ancora uno scrittore di provincia apparentemente lontano dai successi
dei futuri best-seller mondadoriani: la Spagna, Parigi assumono nel tour chiariano
solo la funzione di luoghi, di atmosfere, per comprendere il mondo e, in
particolare, lo sfondo su cui manovrare i personaggi da lui inventati. Ancora
una volta, dunque, c’è l’essere umano, con le sue molte ombre e poche luci, ad
essere al centro della scena di questo attento, vivace e istrionico
intellettuale moderno.