Luiz
Inácio Lula da Silva presidente del Brasile: 2023-2026. San Paolo.
“In questo periodo noi non abbiamo affrontato un
avversario, non abbiamo affrontato un
candidato, noi abbiamo affrontato la
macchina dello Stato brasiliano messa a servizio del candidato della situazione
per tentare di evitare che noi vincessimo le elezioni. E grazie al popolo
brasiliano, che qui voglio ringraziare di cuore, il popolo che ha votato per meabbiamo vinto”.
Queste parole di Lula subito dopo la proclamazione dei risultati da parte del
Superiore Tribunale Elettorale/STE riassumono in modo preciso il carattere del
governo di estrema destra che negli ultimi quattro anni ha occupato le stanze
del potere: un governo avverso alle istituzioni che ininterrottamente ha
considerata lo Stato nelle sue articolazioni oggetto di dominio e servizio
dell’esecutivo e dei gruppi corporativi ad esso aggregati. E vorrei
sottolineare che è questo punto il quale, a mio modo di vedere,
contraddistingue i governi e le forze di estrema destra che avanzano
nell’occidente. Prima di entrare nel merito degli indirizzi che intende dare
alla propria pratica di governo, Lula ha aggiunto una breve frase
autobiografica che ben coglie il clima di incitazione all’odio come pratica
politica avviato da agosto 2016 con la
deposizione anticostituzionale di Dilma Rousseff: “Mi considero una persona che ha avuto un
processo di resurrezione nella politica brasiliana perché tentarono di
seppellirmi ancora vivo, e io sono qui per governare questo paese in una
situazione molto difficile. (…) Con l’aiuto del popolo troveremo una via di
uscita perché questo paese ritorni a vivere in modo democratico, armonicamente”. Il discorso propositivo ha poi
seguito la linea maestra della politica di Lula: inclusione sociale, pratica
attiva antirazzista, politica estera di integrazione regionale e
multilateralismo e distensione internazionale. Poco prima delle 20 ora locale
di domenica 30 ottobre Lula veniva proclamato vincitore del secondo turno
presidenziale con 50,9% dei voti rispetto a 49,1% dell’avversario; un margine
percentuale piccolo, ma comunque oltre due milioni di voti di differenza:
60.345.999 rispetto a 58.206.354. Impressiona l’alto numero di adesioni al
modello violento e antipopolare della destra. Il mese di propaganda elettorale
fra il primo e il secondo turno, dal 2 al 30 ottobre, è stato estremamente
teso, con parecchi tentativi di creare caos: attacchi armati alla polizia federale da parte di fedelissimi ultrà del presidente,
esecuzioni in luoghi pubblici di militanti del PT/Partito dei lavoratori, fino
all’azione oscura nel pomeriggio di domenica 30
della Polizia stradale in alcune regioni del Nord-est (il principale
bacino elettorale di Lula) di blocco per controlli di mezzi di trasporto pubblico
gratuito per elettori nonostante il divieto per tali operazioni da parte del
STE e di disobbedienza da parte della polizia agli ordini. Incommensurabile è
stato il diluvio di messaggi sui social con una attività ininterrotta di robot.
Molto importante è stata in questo contesto l’azione di contrasto da parte
gruppi di giovani e ragazze esperti di social per bloccare con successo parte di
questi attacchi con modalità che sarà bene studiare e ripetere.
In questo
difficile mese la mobilitazione diffusa e minuta di singole persone per
distribuire volantini, adesivi, scambio di opinioni in strada e nei punti di
concentrazione dei trasporti è stata massiccia, impressionante, autonoma, ma
orientata con indicazioni puntuali. Se moltissimi sono stati i cittadini e le
cittadine che hanno resa manifesta in vario modo la propria scelta di voto, non
si è visto nessun aderente alla destra rendersi identificabile in luoghi
pubblici. Impressionante: un mondo sotterraneo, nascosto, invisibile, ma
evidentemente potente e bel organizzato.
Così oggi possiamo respirare e
pensare a domani. Ieri sera a partire dalle 20 nel centro San Paolo una fiumana
di giovani e ragazze adulti ha riempito
le strade in direzione del luogo in cui Lula avrebbe parlato nell’ Avenida Paulista vicino al classico punto
di incontro del Museo di arte di San
Paolo. Ricordo in modo molto nitido che quattro anni fa, dopo la vittoria del
capitano riformato, la città era silente, neanche loro, i vincitori,
festeggiavano. E il mattino successivo nelle strade l’aria era di piombo, le
persone andavano a testa china e espressione preoccupata, quasi domandandosi:
“cosa abbiamo fatto?”. Il grande punto
di debolezza in questo ballottaggio è la vittoria del candidato miliziano
Tarcisio a governatore dello Stato di San Paolo, la principale tessera della
federazione sia per numero di abitanti che per peso economico e culturale. È
cosa grave e molto negativa. Il
futuro esecutivo dovrà confrontarsi con un parlamento molto conservatore: dei
513 seggi della Camera, 39% sono di nuova nomina, 260 siedono a destra (+7
seggi),125 a sinistra (+4 seggi), 128 al centro (-11). Dopo la elezione di 27
senatori, degli 81 senatori 35 siedono a
destra, 33 al centro, 13 a sinistra. Fra coloro che sono entrati in Parlamento,
non pochi in questo modo si possono sottrarre, grazie all’immunità della
carica, ai tribunali: l’ex ministro della Salute Eduardo Pazuello responsabile
di forse 100.000 morti di covid per il negazionismo e incompetenza, l’ex
ministra Damares Alves che ha calpestato tutti i diritti umani che è riuscita,
l’ex giudice Sergio Moro già condannato per non imparzialità nell’esercizio
delle sue funzioni, l’ex ministro Ricardo Salles devastatore dell’Amazzonia e
del Pantanal. E questo solo ricordare la punta dell’iceberg. L’interesse
e la preoccupazione internazionale per quanto accade in Brasile sono confermati
dalla rapidità (meno di un’ora) con cui gli Stati Uniti hanno riconosciuto i
risultati. E molti paesi hanno fatto seguito.
Ma interessa l’Italia capire un po’ quello che è successo e succede in
Brasile? Credo di sì. E mi richiamo a una conferenza internazionale organizzata
dal PT e dai partiti dell’ampia alleanza che lo affianca tenuta il 29 ottobre
2022 con le delegazioni straniere presenti per accompagnare le elezioni. Una
conferenza interessante per ascoltare le analisi di esponenti regionali e non solo.
In quella sede José Luis Zapatero, già presidente del governo della Spagna, dopo
avere sottolineato l’avanzata organizzata della estrema destra in Occidente
concludeva con queste parole: la vittoria di Lula sarà la prima grande
sconfitta della estrema destra mondiale, un momento di rottura. Mi permetto di
ritenere che oggi in Italia e in altri paesi d’ Europa ci saranno politici
assai tristi per avere perso un potente alleato come l’ex capitano espulso
dall’esercito e oggi anche estromesso dalla politica.