BASI NATO. IL GRANDE RISCHIO
di Clara Reina
In Italia da 70 anni concediamo direttamente alle Forze Armate USA
oltre 2300 edifici in una cinquantina di siti. A questi si aggiungono le basi
Nato sotto comando USA e quelle italiane a disposizione di Nato/USA. Questa
rete di basi militari, almeno 120 in tutto, è agli ordini del Comando Europeo
USA con a capo un comandante che è anche comandante supremo Nato in Europa.
L’area USEUCOM è uno dei sei comandi combattenti unificati in cui gli USA hanno
suddiviso l’intero pianeta, facendone così un immenso campo di potenziale
battaglia. Comprende tutta l’Europa più Russia, Turchia, Israele e Georgia. (Le
altre cinque aree sono America settentrionale, America meridionale, Africa,
Asia centrale, Pacifico). Di queste 120 basi alcune sono particolarmente
importanti e costituiscono un obiettivo militare primario in caso di guerra:
sarebbero le prime a essere bombardate, trascinando con sé la distruzione del
territorio circostante. Ecco perché la loro presenza lungi dall’essere una
protezione è un grosso pericolo. La protezione starebbe nella neutralità, e
solo in quella; e pure parziale, se le nazioni intorno a noi non fossero a loro
volta neutrali (noi abbiamo Svizzera e Austria come vicini di casa neutrali)
visto che i bombardamenti non sarebbero convenzionali ma nucleari. Le due
basi-bersaglio più evidenti sono Ghedi (BS) e Aviano (PN), puntate a nord est
verso la Russia, che ospitano bombe nucleari di fabbricazione statunitense
(B61). Ghedi è tecnicamente italiana, a disposizione USA/Nato, con
caccia italiani: i vecchi Tornado sono in sostituzione con i famigerati F-35,
che l’Italia ha acquistato dalla Lockheed Martin in numero di 90 al costo di
circa 15 miliardi, e alla cui produzione partecipa con la Leonardo a Cameri
(NO). Ghedi ospita da 15 a 20 ordigni nucleari in sostituzione, proprio in
questo periodo, con il modello di nuova generazione (B61-12) ad altissima
tecnologia e impiego di intelligenza artificiale. Spendiamoci una parola:
mentre le vecchie B61, che pure già equivalgono a quattro delle ancora più
vecchie sganciate su Hiroshima, sono a caduta gravitazionale ed esplodono al
suolo o poco sopra, le nuove B61-12 hanno quattro opzioni di potenza e possono
essere dirette su un obiettivo preciso anche sottosuolo, distruggendo quindi
centrali di comando del nemico, che immediatamente reagirebbe innescando quello
che è definito l’olocausto nucleare. Questo tipo di ordigni è funzionale alla
teoria del “first strike” rilanciata da Biden nel marzo 2022 subito dopo i
vertici G7 e Nato a Bruxelles, e legata alla vecchia teoria della deterrenza
(ne riparleremo a proposito dei trattati). Sono chiaramente ordigni offensivi
che non hanno nulla di difensivo, in pieno contrasto dunque con i fondamenti
dello statuto della Alleanza Atlantica, nata come difensiva. Se Ghedi ne ospita una ventina, il doppio sono e saranno presenti
a Aviano, ove risiedono caccia e militari statunitensi. A Vicenza ha sede la Brigata aerotrasportata USA per azioni in
Europa orientale e Medio Oriente. Camp Darby tra Pisa e Livorno è il più grande
arsenale USA del mondo al di fuori della madre patria. Ogni giorno arrivano nel
porto di Livorno carichi dei più moderni armamenti e dall’aeroporto militare di
Pisa altrettanti ne partono. Secondo la testimonianza di Imposimato, Camp Darby
avrebbe anche fatto parte dell’operazione Gladio promossa dalla CIA. A Gaeta è
attraccata la nave ammiraglia della sesta flotta. A Napoli il Comando di forza
congiunta alleata svolge attività di spionaggio in Medio Oriente e Africa. In
Sicilia Sigonella è la maggiore base navale e aerea USA/Nato nel mediterraneo,
strategica durante le guerre del Golfo, da lì partono i droni spia diretti in
Ucraina. A Niscemi vi è l’unica stazione a terra in Europa (quattro nel mondo)
dei Muos, il sistema satellitare che coordina le comunicazioni del Pentagono
con i mezzi militari di terra, acqua, aria in ogni punto del globo. In Sardegna
sono situati i maggiori poligoni per l’addestramento e siti per esercitazione,
fonte di inquinamento ambientale e parziale deturpazione di quel magnifico
paesaggio. Questi sono i siti che costituirebbero i primi bersagli da
distruggere in caso di attacco. Immaginiamo l’estensione della distruzione
intorno ad essi. Immaginiamo cosa succederebbe attorno alle due basi nucleari, anche
in caso di semplice incidente, e nessuno ne parla, nessuno parla dell’arrivo
delle B61-12, si parla solo dell’invio di armi e missili in Ucraina, per tutto
l’anno in corso, come se si trattasse di una missione umanitaria.
I tre trattati
Il lancio di Little Boy e Fat Boy aveva spaventato il mondo.
Durante i 40 anni di guerra fredda si accumulò sì una enorme quantità di
ordigni nucleari, una enorme quantità di test e l’estensione a nove paesi del
possesso della bomba, ma anche la preoccupazione di dove si stesse andando. Il
primo trattato fu quello di non proliferazione nucleare (TNP) firmato da tutti
ed entrato in vigore nel 1970, che semplicemente voleva bloccare l’ulteriore
espandersi: chi già l’arma nucleare l’aveva non avrebbe potuto fornirla o
trasferirla ad altri stati; chi non l’aveva non avrebbe potuto procurarsela.
Funzionò poco, tanto che nel 1986 l’arsenale atomico mondiale toccava i 70mila
ordigni in virtù del principio di deterrenza reciproca dovuta alla teoria della
“distruzione mutua assicurata”. All’interno della Nato non fu certo rispettato,
dal momento che in spregio ad esso gli USA collocarono bombe atomiche in cinque
paesi europei compresa l’Italia, e questi paesi pure violarono il patto accettando
di ospitarle. Noi dovremmo appellarci a questo patto tuttora in vigore per
evacuare Ghedi e Aviano. Nel 1987 vi fu il trattato degli euromissili fra
Gorbaciov e Reagan, che prevedeva la distruzione dei missili di gittata tra i
500 e i 5500 km., ma finì male nel 2019, ritirato dagli USA che accusarono la
Russia di averlo più volte violato. Anche l’Europa sostenne questa tesi,
preparandosi a schierare, con base a terra, missili nucleari a gittata
intermedia. La Russia avvertì che avrebbe fatto altrettanto, con missili
puntati sulle basi Nato europee. C’è un piccolo particolare: mentre un missile
USA schierato in Europa può colpire Mosca, un analogo missile schierato in
Russia può colpire le capitali europee, ma non Washington. Agli USA va bene
così. Nel 2017 su spinta ONU e di organizzazioni fra cui ICAN (campagna
internazionale per abolire le armi nucleari) furono aperti i negoziati per la
totale proibizione delle armi nucleari (TPNW). Aderirono 129 stati, ma di
piccolo calibro; non aderirono tutti quelli nucleari, e quelli parte di
alleanze militari che adottano la deterrenza, come la Nato. Quindi l’Italia non
aderì, dopo un breve dibattito parlamentare. Il trattato comunque entrò in
vigore nel 2021 in seguito alla ratifica dei primi 50 paesi (un quarto numerico
rispetto alla totalità delle nazioni, ma molto meno come popolazione,
estensione e ricchezza) decretando l’illegalità delle armi nucleari. La
campagna “Italia ripensaci” tuttora persegue obiettivi di sensibilizzazione e
si coordina con gli altri paesi con situazioni simili, cioè che ospitano
nucleare statunitense.