Scrive
Federico Zuolo (“Domani” 1° febbraio: “L’egemonia culturale si è via via
fusa con la questione morale in una sorta di autoconvincimento collettivo di
destra e di sinistra che formato l'identità percepita dalla sinistra negli
ultimi quarant’anni...l’egemonia ha via via perso le persone, le opere,
le idee di cui avrebbe dovuto nutrirsi...”). Il
dibattito che si sta sviluppando attorno al tema dell’egemonia dovrebbe
ripartire da questa constatazione che racchiude l’analisi riguardante il “restringersi”
della capacità di un pensiero che si voleva (e sviluppava) egemonico rispetto
alla realtà del mutare del rapporto tra produzione del pensiero e produzione
materiale. Non può essere affrontata con superficialità l’analisi del
modificarsi del rapporto tra struttura e sovrastruttura che sta alla base della
difficoltà di esprimere un pensiero che oltrepassi l'immediato della politica. Ne
fa fede la semplificazione con cui si cercano di ricostruire esempi di Pantheon
basati sulle figurine del passato, come sta cercando di fare la destra italiana
sofferente del complesso del “messo da parte” e vogliosa di “revanche”. Nel
quadro di una ridefinizione “storica” della centralità delle fratture deve
essere individuata la faglia sulla quale ricostruire prima il concetto, poi l’analisi,
indi l’elaborazione di una nuova capacità egemonica. Si
staglia una questione che è e sarà centrale: 1)
l’accettazione senza discutere dei principi guida dell’evoluzione tecnologica
verso i quali deve essere ricostruito l’impianto gramsciano del bene
immateriale che può far apparire indiscutibili le nostre idee e i nostri
valori; 2)
sul piano più direttamente politico si tratta di elaborare una capacità di
governo elaborando meccanismi di controllo e di termini di comando sul processo
di relazione scienza/sviluppo tecnologico comprendendo appieno come, senza l’introduzione
di una capacità democratica di programmazione, governo e controllo, ci si
troverà presto all’interno di un quadro di gestione autoritaria del sapere e di
conseguenza del potere in una fase in cui gli “over the top” assommano un
capacità di influenza di massa superiore a quella che possono esercitare, nei
vari stati o a dimensione sovranazionale, gli attori dei diversi sistemi
politici impegnati a raccogliere consenso soltanto per esercitare un immaginario
direi quasi “estetico” dell’agire politico.