Le esemplificazioni che apporterò
serviranno a dimostrare come avvengono
i processi formativi per coniare le parole in greco, latino, italiano e dialetti.
Quanto ho, finora, scritto non ha convinto i filologici di professione, che, in
nome di un ipse dixit consolidato, continuano a rimestare quanto prodotto ed
asserito nel passato. Fiducioso che repetita iuvant, cercherò di sintetizzare
quelli che sono i miei convincimenti. La pastorizia
diede l’avvio ad un grandioso processo di civiltà, stimolando le capacità
logiche dell’uomo. Presumibilmente, il pastore, per comunicare a distanza (soprattutto
nelle situazioni di pericolo) e per rappresentare la sua attività, escogitò pochi
simboli fonici (l’alfabeto), che articolò in modo elementare per moltissimo
tempo, assegnando ad ognuno dei precisi significati. È del tutto evidente che
il simbolo significa, per cui ogni lettera dell’alfabeto ha un preciso
significato, che, nel tempo, è divenuto per tanti motivi. Inoltre,
l’assemblaggio di lettere forma dei simboli complessi, che acquistano e/o
suggeriscono un significato/dei significati. Si può
pensare che pastori indoeuropei abbiano congegnato un vero e proprio sistema
comunicativo, che il nomadismo della transumanza fece approdare nel bacino del
Mediterraneo, in particolare in quel crogiuolo di civiltà, che comprende i
popoli mesopotamici, Fenici ed Egizi, dal quale si diffuse in tutti i territori
indicati con il nome di Occidente. Le esemplificazioni
sono attinenti alla lingua greca, a quella latina e, fra le lingue neolatine,
all’italiano e a qualche parola dialettale. Logicamente, in questo novero di
popoli, ad un certo punto, la civiltà greca fece prevalere gli strumenti
comunicativi, fornendo non solo l’alfabeto e innumerevoli radici di parole, ma
anche il modo di dedurre da una parola altri significati, mediante calchi
rigidi, che furono le desinenze, i prefissi e i suffissi e, comunque, circonlocuzioni
aggiunte alle radici.
Quando si
trattò di indicare degli oggetti reali, i greci si avvalsero, spesso, di alcuni
espedienti, definendoli attraverso metafore del grembo, nel senso che
assegnarono i significati, attraverso la lettura di dinamiche dei processi
formativi dell’essere. I greci, inoltre, ricavarono, inizialmente, i
significati di molti verbi, quelli in μι, αμαι, ομαι, talvolta, da alcune radici, avvalendosi di una
tecnica molto particolare: non interpretando il processo di formazione
dell’essere, ma ciò che accade per loro che osservano la manifestazione di
determinati processi. La stessa cosa
fecero i latini con i verbi deponenti. Inoltre, da
parola si genera altra parola; nel mio dialetto la serchia, che è il
segno, al piede o al collo, dell’animale che viene ristretto, discende da σειρά: corda, fune, catena. Verosimilmente, anche serrare,
(quindi: rinserrare, serraculum/serraglio, asserragliare),
nel senso di legare strettamente per chiudere, discende da σειρά. Da (chircos) κίρκ-ος: anello/falco, i latini dedussero: circo
(Circo Massimo), κίρκum: intorno, da cui, dopo, circuire, circolo,
(forma) circolare, circuito. Gli italici elaborarono: cerchio
(in dialetto: circhii). Nel dialetto, inoltre, da questo nome greco
dedussero: cricca, come legame circolare di associati a delinquere, da
cui il verbo: accriccare. Anche circa, nel senso di all’incirca,
discende da circum: intorno. Se nomen omen, Circe è colei lega
strettamente a sé, circuendo, in modo passionale e indissolubile.
I greci, dopo
aver coniato οὖςὠτός (quello che mi consente di auscultare: è ciò che nasce dall’ho il
legare): orecchio, dedussero, mediante ακ (dal
generare), ἀκ-ού(ς)-ω: ho la
percezione uditiva, odo, quindi, ricavarono l’aggettivo ἀκουστός: udibile,
ciò che viene udito, da cui: acustico. I latini da σῆμα, cui i greci
avevano dato il significato di: segno (della gravida), dedussero σημ-en seminis, in quanto pensarono che, se c’è quel segno,
c’è stato prima il seme, sem-el: una sola volta (il grembo
si scioglie una sola volta); gli italici,
invece, ricavarono tanti altri lemmi, tra gli altri: sembrare e in-siem-e.
Quest’avverbio, con valore prepositivo, fu il risultato della seguente
considerazione: dentro il segno della gravida si evince che madre e figlio
stanno costantemente insieme. Infatti, nel mio dialetto insieme
si rende con accuttun’, ad indicare che gestante e feto formano un tutt’uno.
Anche la preposizione cum: insieme è il risultato della seguente
perifrasi: dall’ho il rimanere (consegue al rimanere nel grembo), mentre
la congiunzione temporale cum (alla greca: χουμ con il significato di: quando) indica: durante la permanenza
nel grembo. Come ho già
detto in altre occasioni, i latini dal lemma αὐδή (dall’ho
il mancare, che si genera dal legare, ad indicare la voce che si
diffonde per una gravidanza): voce, non solo generarono: aud-io, ma,
anche aud-culto/ausculto: origlio, voglio cogliere la più
piccola percezione uditiva. Il pastore latino dicendo: mi metto in ascolto,
contestualizzò alcune sue azioni, in prossimità del parto, affermando: dall’ho
il mancare (è ciò che faccio) quando sta per sciogliersi il grembo
doloroso. Auscultare è affinare l’orecchio per cogliere ogni battito, ogni
bisogno della creatura, che è muta!
Inoltre, dalla
perifrasi αυδ, sempre con il significato: dall’ho il mancare,
i latini ricavarono il verbo semideponente: aud-eo/ausus sum: oso.
Il ragionamento fu di questo tipo: è ciò che consegue in una situazione
difficile, disperata. Ribadisco un’altra considerazione: i latini erano
profondi conoscitori della cultura dei greci e del loro modo di formare
le parole! Soffermandomi,
ancora, sulla radice aud, i latini generarono g-aud-eo: sono
lieto, sono contento, godo, gioisco, frutto della
seguente perifrasi: è ciò che consegue dal generare l’ho il mancare, che
può rappresentare la nascita di un figlio e/o il soddisfacimento di un bisogno
che dà piacere. Quindi, in italiano, godo di/per, godimento,
mentre, in latino, fu coniato il deverbale: gaudium: gioia intima/profonda,
ma anche: diletto/piacere dei sensi. Successivamente,
si rappresentò un altro contesto: kl-aud-o/clausum: chiudo,
serro, turo, ad indicare ciò che avviene nel grembo, quando la
creatura è in formazione: la bolla è tutta chiusa. Quindi, si formarono
con i prefissi e con delle modifiche foniche alla radice: precludo, includo,
escludo, accludo, occlusione, nel senso di chiusura per
ostruire a qualche malintenzionato, clausura ecc. Nell’esaminare
la parola scaramanzia, bisogna dire, per prima cosa, che il significato
è quello convenuto, nel senso che è quello comune a tutti: un atto per
scongiurare un esito infausto o per propiziare un evento favorevole. Rituali
molto diffusi per millenni nella cultura agropastorale! Questa parola
è sicuramente della cultura italica, che fu formulata da un profondo
conoscitore della lingua e della cultura greca. Rimanda a μαντεία: divinazione, predizione, vaticinio, oracolo,
metafora del grembo, anche come data di chi/ciò che nascerà. Poi, a μαντείαfu anteposto
“scara”, che ritengo afferisca al sostantivo καιρός, che, tra i tanti significati, ha anche: tempo opportuno/propizio,
da cui i greci dedussero l’aggettivo: ἔκ-καιρος: fuori
tempo. Pertanto, il significato originario da dare a scaramanzia è: non
è ancora il tempo previsto dall’oracolo/dalla divinazione, quindi è bene
non parlarne, non darlo per acquisito! Greci e
latini colsero il dolore nel travaglio (da dolore si generarono le
doglie e anche: cordoglio) e coniarono lemmi molto simili: ὠδίνω e dol-eo (alla greca: δωλ-εω). I greci
avevano detto: si riscontra dentro il parto (è ciò che si genera dentro il
mancare, inteso come nascita), mentre i latini dissero: è ciò che consegue (eo)
dallo sciogliere (del grembo) il generare. In questi casi la parola, che
diventa deissi, acquisisce non solo pregnanza di significato, ma tutte le
gradazioni di particolari sensazioni.
Inoltre, laus
laudis esprime questo concetto: la merita chi ha risolto un problema alla
perfezione e in modo geniale, attraverso questa perifrasi: dopo il flusso gravidico
avviene il legame tra madre e figlio, che consente la formazione della
creatura. Chi ha fatto questo, merita la lode! Poi, il pastore pensò che,
nel linguaggio non verbale, l’applauso era un modo per lodare, per cui formulò p-laud-o.
Quindi, il pastore considerò: quell’istrione che merita l’applauso viene
spesso cacciato via, viene fischiato, vienedisapprovato per
cuielaborò il verbo explodo, dando i significati or ora
riportati. Infatti, Cicerone disse: “histrionem exsibiliare et explodere”. Gli
italici, invece, leggendo alla lettera plaud: fa dall’ho lo
sciogliere il legare, pensarono ad un corpo elastico (il grembo appunto)
che, insufflato al massimo, esplode, altri dedussero l’implosione da
un eccesso di costipazione. I greci dalla
perifrasi: dal generare il rimanere della creatura avviene (nel grembo) il
legame, coniarono κωμή cui
assegnarono il significato di: villaggio; altri, dal significato
letterale di questa perifrasi, intravidero la laus dei latini, per cui
ragionarono: dentro il concetto di κώμη si evince l’encomio:
ἐγ-κώμιον. Altri avevano assegnato alla parola κῶμ-ος, dove ος significa: ciòche manca, il significato di: processione bacchica, festa
orgiastica, per cui gli italici derivarono: mani-comio, mentre nel
mio dialetto: fare cummediia, significa: fare baccano. Altri
ancora, da κῶμακῶματος, volendo indicare il sonno letargico di alcuni animali nelle tane,
utilizzarono l’immagine della creatura in grembo.
Quando i greci
coniarono χείρχειρός: mano,
dissero: è quella che mi serve per prendere la creatura che nasce, formulando
questa perifrasi: va dal passare lo scorrere (al momento del parto) è
quella che afferra, la stessa cosa dissero con μάρη: mano, parafrasando: dal rimanere lo scorrere è quella che
genera il mancare (qui, nel senso di: invola). I greci da μάρηdedussero μάρπτω: prendo, afferro, mentre gli italici, da μάρπτω, per indicare chi ha mano lesta, coniarono: marpione, ad indicare
uno scaltro, lesto nel prendere, nel sottrarre; inoltre, nel mio dialetto, per indicare
una tasca protetta, che ho sempre con me, formularono mariola e, in
italiano, il mariuolo, che è colui che viola la mariola. I latini, con manus,
dissero: da dentro il rimanere è quella che lega, che può indicare
l’arto in questione, anche senza riferimenti alla nascita. Piace
soffermarmi su χήρχηρός: riccio,
da cui i latini dedussero: cirrus, dai tanti significati: viticcio,
da cui si generò il cirro negletto di Cincinnato, e dalla perifrasi
letterale ricavò i cirri, come filamenti stracciati che si
addensano. Inoltre, nel mio dialetto: u cirr’ sturt’ indica la
disposizione divergente dei capelli, a partire dal vertice della testa, che,
per gli ecclesiastici, una volta, era la chierica o tonsura. Altre volte, per
formare i significati, bastarono i simboli del loro codice, senza alcuna
mediazione, come quando i latini coniarono: ruga: è ciò che si genera
dall’ho lo scorrere, come gutta cavat lapidem e anche lo scorrere degli
anni. Voglio, comunque, ricordare che ρυ, così come ρευ, è radice di ῥέω: scorro,
per cui i greci, coniando ῥυτίς, indicarono la ruga, mentre, formulando ῥεῦμα, vollero
significare: corrente, flusso, reumatismo, deducendo ἐ-ρύω, attribuirono
i seguenti significati: tiro, traggo, trascino, poi ricalcato
dai latini in e-ruo: traggo fuori, estraggo, svello,
scavo. Si può anche pensare che i latini, con scrittura greca, volessero
indicare ρου (è ciò che si genera dallo scorrere). Con queste
considerazioni si conclude questo scritto, per riprenderlo, con altre analisi
di parole, con le considerazioni denominate: “Minuto”.