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lunedì 10 aprile 2023

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


 

La cricca.

Le esemplificazioni che apporterò serviranno a dimostrare come avvengono i processi formativi per coniare le parole in greco, latino, italiano e dialetti. Quanto ho, finora, scritto non ha convinto i filologici di professione, che, in nome di un ipse dixit consolidato, continuano a rimestare quanto prodotto ed asserito nel passato. Fiducioso che repetita iuvant, cercherò di sintetizzare quelli che sono i miei convincimenti.
La pastorizia diede l’avvio ad un grandioso processo di civiltà, stimolando le capacità logiche dell’uomo. Presumibilmente, il pastore, per comunicare a distanza (soprattutto nelle situazioni di pericolo) e per rappresentare la sua attività, escogitò pochi simboli fonici (l’alfabeto), che articolò in modo elementare per moltissimo tempo, assegnando ad ognuno dei precisi significati. È del tutto evidente che il simbolo significa, per cui ogni lettera dell’alfabeto ha un preciso significato, che, nel tempo, è divenuto per tanti motivi. Inoltre, l’assemblaggio di lettere forma dei simboli complessi, che acquistano e/o suggeriscono un significato/dei significati.
Si può pensare che pastori indoeuropei abbiano congegnato un vero e proprio sistema comunicativo, che il nomadismo della transumanza fece approdare nel bacino del Mediterraneo, in particolare in quel crogiuolo di civiltà, che comprende i popoli mesopotamici, Fenici ed Egizi, dal quale si diffuse in tutti i territori indicati con il nome di Occidente.
Le esemplificazioni sono attinenti alla lingua greca, a quella latina e, fra le lingue neolatine, all’italiano e a qualche parola dialettale. Logicamente, in questo novero di popoli, ad un certo punto, la civiltà greca fece prevalere gli strumenti comunicativi, fornendo non solo l’alfabeto e innumerevoli radici di parole, ma anche il modo di dedurre da una parola altri significati, mediante calchi rigidi, che furono le desinenze, i prefissi e i suffissi e, comunque, circonlocuzioni aggiunte alle radici.



Quando si trattò di indicare degli oggetti reali, i greci si avvalsero, spesso, di alcuni espedienti, definendoli attraverso metafore del grembo, nel senso che assegnarono i significati, attraverso la lettura di dinamiche dei processi formativi dell’essere. I greci, inoltre, ricavarono, inizialmente, i significati di molti verbi, quelli in μι, αμαι, ομαι, talvolta, da alcune radici, avvalendosi di una tecnica molto particolare: non interpretando il processo di formazione dell’essere, ma ciò che accade per loro che osservano la manifestazione di determinati processi.  La stessa cosa fecero i latini con i verbi deponenti.
Inoltre, da parola si genera altra parola; nel mio dialetto la serchia, che è il segno, al piede o al collo, dell’animale che viene ristretto, discende da σειρά: corda, fune, catena. Verosimilmente, anche serrare, (quindi: rinserrare, serraculum/serraglio, asserragliare), nel senso di legare strettamente per chiudere, discende da σειρά.
Da (chircos) κίρκ-ος: anello/falco, i latini dedussero: circo (Circo Massimo), κίρκum: intorno, da cui, dopo, circuire, circolo, (forma) circolare, circuito. Gli italici elaborarono: cerchio (in dialetto: circhii). Nel dialetto, inoltre, da questo nome greco dedussero: cricca, come legame circolare di associati a delinquere, da cui il verbo: accriccare. Anche circa, nel senso di all’incirca, discende da circum: intorno. Se nomen omen, Circe è colei lega strettamente a sé, circuendo, in modo passionale e indissolubile.




I greci, dopo aver coniato ος τός (quello che mi consente di auscultare: è ciò che nasce dall’ho il legare): orecchio, dedussero, mediante ακ (dal generare), κ-ού(ς)-ω: ho la percezione uditiva, odo, quindi, ricavarono l’aggettivo κουστός: udibile, ciò che viene udito, da cui: acustico.
I latini da σμα, cui i greci avevano dato il significato di: segno (della gravida), dedussero σημ-en seminis, in quanto pensarono che, se c’è quel segno, c’è stato prima il seme, sem-el: una sola volta (il grembo si scioglie una sola volta);  gli italici, invece, ricavarono tanti altri lemmi, tra gli altri: sembrare e in-siem-e. Quest’avverbio, con valore prepositivo, fu il risultato della seguente considerazione: dentro il segno della gravida si evince che madre e figlio stanno costantemente insieme. Infatti, nel mio dialetto insieme si rende con accuttun’, ad indicare che gestante e feto formano un tutt’uno. Anche la preposizione cum: insieme è il risultato della seguente perifrasi: dall’ho il rimanere (consegue al rimanere nel grembo), mentre la congiunzione temporale cum (alla greca: χουμ con il significato di: quando) indica: durante la permanenza nel grembo.
Come ho già detto in altre occasioni, i latini dal lemma αδή (dall’ho il mancare, che si genera dal legare, ad indicare la voce che si diffonde per una gravidanza): voce, non solo generarono: aud-io, ma, anche aud-culto/ausculto: origlio, voglio cogliere la più piccola percezione uditiva. Il pastore latino dicendo: mi metto in ascolto, contestualizzò alcune sue azioni, in prossimità del parto, affermando: dall’ho il mancare (è ciò che faccio) quando sta per sciogliersi il grembo doloroso. Auscultare è affinare l’orecchio per cogliere ogni battito, ogni bisogno della creatura, che è muta!



Inoltre, dalla perifrasi αυδ, sempre con il significato: dall’ho il mancare, i latini ricavarono il verbo semideponente: aud-eo/ausus sum: oso. Il ragionamento fu di questo tipo: è ciò che consegue in una situazione difficile, disperata. Ribadisco un’altra considerazione: i latini erano profondi conoscitori della cultura dei greci e del loro modo di formare le parole!
Soffermandomi, ancora, sulla radice aud, i latini generarono g-aud-eo: sono lieto, sono contento, godo, gioisco, frutto della seguente perifrasi: è ciò che consegue dal generare l’ho il mancare, che può rappresentare la nascita di un figlio e/o il soddisfacimento di un bisogno che dà piacere. Quindi, in italiano, godo di/per, godimento, mentre, in latino, fu coniato il deverbale: gaudium: gioia intima/profonda, ma anche: diletto/piacere dei sensi.
Successivamente, si rappresentò un altro contesto: kl-aud-o/clausum: chiudo, serro, turo, ad indicare ciò che avviene nel grembo, quando la creatura è in formazione: la bolla è tutta chiusa. Quindi, si formarono con i prefissi e con delle modifiche foniche alla radice: precludo, includo, escludo, accludo, occlusione, nel senso di chiusura per ostruire a qualche malintenzionato, clausura ecc.
Nell’esaminare la parola scaramanzia, bisogna dire, per prima cosa, che il significato è quello convenuto, nel senso che è quello comune a tutti: un atto per scongiurare un esito infausto o per propiziare un evento favorevole. Rituali molto diffusi per millenni nella cultura agropastorale!
Questa parola è sicuramente della cultura italica, che fu formulata da un profondo conoscitore della lingua e della cultura greca. Rimanda a μαντεία: divinazione, predizione, vaticinio, oracolo, metafora del grembo, anche come data di chi/ciò che nascerà. Poi, a μαντεία fu anteposto “scara”, che ritengo afferisca al sostantivo καιρός, che, tra i tanti significati, ha anche: tempo opportuno/propizio, da cui i greci dedussero l’aggettivo: κ-καιρος: fuori tempo. Pertanto, il significato originario da dare a scaramanzia è: non è ancora il tempo previsto dall’oracolo/dalla divinazione, quindi è bene non parlarne, non darlo per acquisito!
Greci e latini colsero il dolore nel travaglio (da dolore si generarono le doglie e anche: cordoglio) e coniarono lemmi molto simili: δίνω e dol-eo (alla greca: δωλ-εω). I greci avevano detto: si riscontra dentro il parto (è ciò che si genera dentro il mancare, inteso come nascita), mentre i latini dissero: è ciò che consegue (eo) dallo sciogliere (del grembo) il generare. In questi casi la parola, che diventa deissi, acquisisce non solo pregnanza di significato, ma tutte le gradazioni di particolari sensazioni.



Inoltre, laus laudis esprime questo concetto: la merita chi ha risolto un problema alla perfezione e in modo geniale, attraverso questa perifrasi: dopo il flusso gravidico avviene il legame tra madre e figlio, che consente la formazione della creatura. Chi ha fatto questo, merita la lode! Poi, il pastore pensò che, nel linguaggio non verbale, l’applauso era un modo per lodare, per cui formulò p-laud-o. Quindi, il pastore considerò: quell’istrione che merita l’applauso viene spesso cacciato via, viene fischiato, viene disapprovato per cui elaborò il verbo explodo, dando i significati or ora riportati. Infatti, Cicerone disse: “histrionem exsibiliare et explodere”. Gli italici, invece, leggendo alla lettera plaud: fa dall’ho lo sciogliere il legare, pensarono ad un corpo elastico (il grembo appunto) che, insufflato al massimo, esplode, altri dedussero l’implosione da un eccesso di costipazione.
I greci dalla perifrasi: dal generare il rimanere della creatura avviene (nel grembo) il legame, coniarono κωμή cui assegnarono il significato di: villaggio; altri, dal significato letterale di questa perifrasi, intravidero la laus dei latini, per cui ragionarono: dentro il concetto di κώμη si evince l’encomio: γ-κώμιον. Altri avevano assegnato alla parola κμ-ος, dove ος significa: ciò che manca, il significato di: processione bacchica, festa orgiastica, per cui gli italici derivarono: mani-comio, mentre nel mio dialetto: fare cummediia, significa: fare baccano. Altri ancora, da κμα κματος, volendo indicare il sonno letargico di alcuni animali nelle tane, utilizzarono l’immagine della creatura in grembo.



Quando i greci coniarono χείρ χειρός: mano, dissero: è quella che mi serve per prendere la creatura che nasce, formulando questa perifrasi: va dal passare lo scorrere (al momento del parto) è quella che afferra, la stessa cosa dissero con μάρη: mano, parafrasando: dal rimanere lo scorrere è quella che genera il mancare (qui, nel senso di: invola). I greci da μάρη dedussero μάρπτω: prendo, afferro, mentre gli italici, da μάρπτω, per indicare chi ha mano lesta, coniarono: marpione, ad indicare uno scaltro, lesto nel prendere, nel sottrarre; inoltre, nel mio dialetto, per indicare una tasca protetta, che ho sempre con me, formularono mariola e, in italiano, il mariuolo, che è colui che viola la mariola. I latini, con manus, dissero: da dentro il rimanere è quella che lega, che può indicare l’arto in questione, anche senza riferimenti alla nascita.
Piace soffermarmi su χήρ χηρός: riccio, da cui i latini dedussero: cirrus, dai tanti significati: viticcio, da cui si generò il cirro negletto di Cincinnato, e dalla perifrasi letterale ricavò i cirri, come filamenti stracciati che si addensano. Inoltre, nel mio dialetto: u cirr’ sturt’ indica la disposizione divergente dei capelli, a partire dal vertice della testa, che, per gli ecclesiastici, una volta, era la chierica o tonsura.
Altre volte, per formare i significati, bastarono i simboli del loro codice, senza alcuna mediazione, come quando i latini coniarono: ruga: è ciò che si genera dall’ho lo scorrere, come gutta cavat lapidem e anche lo scorrere degli anni. Voglio, comunque, ricordare che ρυ, così come ρευ, è radice di έω: scorro, per cui i greci, coniando υτίς, indicarono la ruga, mentre, formulando εμα, vollero significare: corrente, flusso, reumatismo, deducendo -ρύω, attribuirono i seguenti significati: tiro, traggo, trascino, poi ricalcato dai latini in e-ruo: traggo fuori, estraggo, svello, scavo. Si può anche pensare che i latini, con scrittura greca, volessero indicare ρου (è ciò che si genera dallo scorrere).
Con queste considerazioni si conclude questo scritto, per riprenderlo, con altre analisi di parole, con le considerazioni denominate: “Minuto”.