Caro Angelo, nella parte finale del tuo articolo “Volizione e impotenza” apparso
domenica 25 giugno sull’inserto culturale de “Il Quotidiano del Sud” sembra che
sia io a scrivere o che tu abbia scritto di me. La rabbia e l’inquietudine di
non poter agire, di dover fare i conti ed essere, all’improvviso, diventati un
corpo che costringe la testa in una prigione, che prende tristemente coscienza
dei limiti, sapere di dover convivere con quel corpo che all’improvviso non
senti più tuo e che avverti come un nemico, che domina anche la tua volontà e
ti fa sentire improvvisamente dipendente... E la testa nonostante tutto sa che ferma ed impotente
non può restare, perché significherebbe la tua morte civile, e allora cerchi
una via di fuga da quel corpo, cerchi ogni modo di adattare le sue esigenze
alle tue voglie, che quel corpo sta reprimendo. A volte accetti quei limiti,
provando rispetto per quel corpo con cui hai convissuto per anni, ma a volte
no, anzi il più delle volte, no, perché sai che sarebbe un non vivere e che il
tuo corpo dovrebbe seguire la tua mente, fino alla fine. Poi vedi che è solo il
tuo stesso corpo che ti mette dei limiti che mai avresti pensato di avere, ma
la mente non riesce a vederli quei limiti, perché tu vuoi volare libera. Mariagrazia Raffaelli