Gli
esseri umani abitano la terra da troppi millenni e degli anni della
preistoria non possono conoscersi le trasformazioni delle loro forme di
società. Dalla storia di Ate, figlia di Zeus, che per essere punita di un
imprecisato inganno, fu scaraventata fuori dall’Olimpo, qualche studioso ha
dedotto che con quel mito si volesse indicare, in sintesi, il momento del
passaggio da una società matriarcale a quella patriarcale. Si tratta,
ovviamente, di una mera supposizione.Sappiamo bene, invece, che un
cambio radicale del tipo di società si è avuto, per la parte Occidentale del
pianeta, quando gli usi e i costumi dei nostri antenati greci e romani (fondati
sul razionalismo, sull’empirismo, sulla necessità di acquisire certezze
attraverso la sperimentazione) cedettero il passo a una mentalità fondata
quasi esclusivamente sull’accettazione acritica di assolutismi incrociati sia
religiosi (monoteismo mediorientale) sia ideologici (Platone e la sua Schola
fino all’idealismo tedesco di fine Ottocento) imperniati su pretese “verità”
assiomatiche e indimostrabili.L’irrazionalismo divenne un dato culturale innestato,
probabilmente, su un elemento del tutto naturale, se è vero che certe
fandonie religiose allignavano più in certi luoghi (Medio Oriente dalla
Palestina all’India, Vecchio e Nuovo Continente) che altrove e che le
ideologie tedesche di Hegel non sempre hanno trovato terreno fertile in Asia
(le sole eccezioni sono state il Giappone per il fascismo e la Corea del
Nord per il comunismo. Quest’ultimo in Cina è stato recepito, utilizzato
strumentalmente ma poi radicalmente rifiutato).D’altronde, l’Occidente
ha coltivato troppo a lungo il “mito” della sua passionalità (o vivacità
emozionale) per disfarsi facilmente dell’irrazionalismo, visto come segno
inequivocabile del suo estro fantasioso. Negli ultimi tempi, però,
sembrano essere in crescita i laudatores temporis anti che
rimpiangono un’età precedente ai danni psicologici e intellettivi prodotti
dall’immigrazione nei nostri confini dei “barbari” (non solo nel senso greco di
“stranieri”) popoli mediorientali; ma è fin troppo chiara la impossibilità per i volenterosi (rari), di
portare l’Occidente sul piano intellettuale a un recupero della
razionalità presocratica e sofistica.
Per chi ha assunto l’abitudine di
rinunciare a pensare per “credere” è più naturale confliggere con i suoi simili
e battersi per stabilire quali fandonie siano più indigeribili (se quelle
ebraiche, cristiane o islamiche ovvero se quelle fasciste e comuniste) che non
buttarle tutte nel cestino dei rifiuti. Un’era dominata, per duemila anni,
dai monoteismi mediorientali e impregnata di idee magiche, miracolistiche
e sensibile alle percezioni extrasensoriali, diffida dei veggenti che
nel mondo greco-romano erano considerati dotati di un’intelligenza superiore,
capace di far prevedere taluni eventi come effetto logico di altri. Fuori
del mondo della “credenza” acritica, l’Occidente non concede troppi spazi
ai suoi figli dediti a ragionare. Non solo il suo sistema mass-mediatico
ma anche la sua stessa “prevalente” cultura cosiddetta “ufficiale” si muove su
questi binari di scarsa aderenza alla logica.Per esempio, nessuno sembra
volersi avvedere a) della abnormità della delusione prodotta
nel “quisque de populo” dagli effetti catastrofici della Seconda guerra
mondiale chiusasi con un trattato di pace che non ha evitato di generare una serie
quasi ininterrotta di conflitti bellici avviati da una delle potenze alleate
vincitrici, gli Stati Uniti d’America); b) del servilismo acritico,
indecoroso e crescente degli italiani (comune a tutta la classe politica
espressa dal Paese, dalla sinistra alla destra, passando per il centro) verso i
diktat statunitensi mascherati da decisioni della NATO e dell’UE; c)
dello sciovinismo inguaribile e supponente dei francesi; d) del
pervicace, ostinato e brutale odio degli inglesi per i russi; e)
della pervicacia dei tedeschi nel restare avvinti all’infantilismo permanente e
“ingannatore” di visioni sia religiose sia ideologiche del tutto astratte
e fantasiose.
Le
scelte politiche dell’Occidente, delegate in quasi tutti i suoi Stati a spioni
e generali di sottopancia, lo stanno isolando dal resto dell’umanità (e sono i
due terzi) additandolo, con sempre maggiore verosimiglianza, come il
centro del malaffare (soprattutto per il traffico della droga, protetto, a
quanto si dice, dai servizi cosiddetti d’intelligence per autofinanziarsi e per
consentirsi di sottomettere meglio al proprio volere i rappresentanti della
politica), della confusionarietà mentale dei giovani in preda allo “sballo”
permanente, prodotto da sostanze stupefacenti d’ogni tipo, dal sostanziale
inebetimento degli anziani inconsapevoli della loro (pure abbondantemente
dimostrabile) incapacità di fermare l’irrazionalismo dominante
nella vita quotidiana del Vecchio e del Nuovo Continente. La
conoscenza, ormai sufficientemente diffusa della società occidentale rafforza
la veridicità dell’aforisma di Albert Einstein secondo cui non si
può cambiare una realtà socio-politica se non si muta radicalmente il
pensiero che l’ha creata.Il grande “fisico” non aggiunge nulla per
aiutarci a capire se con un radicale mutamento di mentalità e della realtà
occidentale il declino in atto possa essere fermato.Il suo silenzio può
significare per chi voglia interpretarlo o che il grande Albert non
ritenesse ancora urgente il momento del mutamento o che considerasse uno sforzo
ciclopico e irrealizzabile il cambiamento di mentalità allo stato delle
cose. Personalmente, se ho preso l’abitudine di citare spesso l’aforisma
di Einstein è perché ritengo che ruit hora, non
escludo che il mutamento sia tutt’altro che agevole.In conclusione: l’aforisma di
Einstein, con il passare del tempo, diventa sempre più veritiero, ma al tempo
stesso cresce anche la consapevolezza che sia sempre più difficile da
realizzare.