In giro
per città e paesi ci sono targhe sui muri di ogni genere. In pietra, in marmo,
in bronzo… Servono a ricordarci qualcosa o qualcuno di un tempo che ci ha
preceduto. L’illusione è credere che chi verrà dopo vi presti attenzione e si
faccia delle domande. Infatti è un’illusione, e i pochi illusi che vi prestano
attenzione sono sempre di meno. È raro che a masse di persone venga in mente di
recarsi in una via per vedere una semplice pietra con una scritta; questo può
accadere in concomitanza ravvicinata di un evento, magari tragico: l’uccisione
di Moro in via Caetani, la bomba in via dei Georgofili. Ma col tempo esse si
confondono con il paesaggio, diventano un accessorio come può essere un palo della
luce, un’insegna pubblicitaria e non si notano più. La massa riempie gli stadi
per calciatori e cantanti come faceva un tempo per i gladiatori. La massa
moderna, autoctona e straniera, composta anche da gente non più di primo pelo,
fa la fila e si ammassa davanti ad un albergo dove l’urlatore di una band
ha preso alloggio e munita di telefonino cerca di fotografarlo. Si esalta
ammirata per la limousine, e mendica un autografo come i postulanti
davanti alle ville dei signori mendicavano un avanzo di cibo.
Ho visto con i
miei occhi uno spettacolo di tal fatta in via Tommaso Grossi, a due passi dal
braccio sinistro della Galleria Vittorio Emanuele. Volevo controllare lo stato
della lapide che il Municipio aveva dedicato al soggiorno del poeta Giacomo
Leopardi a Milano. Come recita la scritta, la casa originaria dove il
recanatese dimorò dal 30 luglio al 26 settembre del 1825 non c’è più. Non
sappiamo se abbattuta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale o
demolita per il riassetto urbano. Tuttavia, la sensibilità c’è stata e una lapide
segnala l’area dove sorgeva la casa. “Di importante in questa via c’è quella”,
ed ho indicato il muro ad alcuni dei fan che stazionavano davanti
all’albergo. Fatica sprecata. Di Leopardi non sapevano che farsene. Sarà stato un
pugno di uomini a volere questa lapide, una esigua minoranza come accade per le
cose serie. Anch’io appartengo al sentire di una sparuta minoranza, e coltivo i
miei miti, indifferente a come va il mondo.