Il testo che
segue è la rielaborazione della relazione introduttiva all’incontro svoltosi a
Casale Monferrato il 30 settembre 2021. Era quello il primo appuntamento di un
ciclo di incontri dal titolo “Cantiere migrazione: un altro punto di vista”,
organizzato dal Tavolo Migrazione della stessa città. Si riprende quella
relazione, aggiornando al luglio 2023 alcuni dati e soprattutto argomentando
ancor più la centralità della questione migranti oggi in Italia e in Europa.
Non solo come questione della solidarietà per chi è animato da sentimenti e da
idee di sinistra. In gioco è piuttosto il destino della nostra democrazia,
della giustizia sociale e della qualità della nostra civiltà. È ormai evidente
il pericolo della presa della propaganda e della retorica della destra e
dell’estrema destra in Italia e in Europa. Anche e soprattutto, per ciò che
interessa noi, presso le classi subalterne, investite come sono dalla
onnipresente “guerra tra poveri”. La questione migranti nel nostro tempo è
problema strutturale. In particolare, le formazioni politiche della sinistra e
le organizzazioni sindacali sono interpellate, sono messe alla prova, in un
contesto molto difficile. Ne va della credibilità di detti organismi come rappresentanza
nell’agone politico, da una parte, e nella società e nel mondo del lavoro,
dall’altra. Ripetiamo, qualora ce ne fosse bisogno, molto retroterra delle
destre nel Nord Globale poggia sull’uso politico e ideologico della questione
migranti. 1.
Sistema-mondo È la nozione
decisiva. L’unità di analisi minima entro cui inquadrare i fenomeni
storico-sociali, ma anche i fenomeni naturali, ambientali, climatici. La categoria di
“sistema-mondo”, elaborata dallo storico francese Fernand Braudel, è stata ripresa
dal sociologo americano Immanuel Wallerstein e dalla scuola che da lui origina,
chiamata “scuola del sistema-mondo”. Il sistema-mondo e l’economia-mondo
capitalistica sovraordinano, strutturano, plasmano, influenzano l’economia
nazionale e lo stato-nazione. Non viceversa. Le ineguaglianze, le fratture, le
scissioni ecc. entro uno stato-nazione hanno il corrispettivo decisivo nelle
ineguaglianze, nelle fratture e nelle scissioni su scala mondiale.
Centro-periferia, sviluppo-sottosviluppo, dominanti-dominati ecc. rappresentano
le coppie dialettiche senza le quali non riusciamo a capire come funziona il
mondo. Noi terzomondisti, giovani e giovanissimi dei primi anni settanta del
Novecento, usavamo allora una nozione importante, centrale ancora oggi e infatti
ripresa da alcuni settori dei giovani di Friday For Future. È la nozione di
“malsviluppo”, caratterizzante il capitalismo dalle origini a oggi. Percepivamo
allora, anche confusamente, come il sistema capitalistico fosse
irrimediabilmente asimmetrico, polarizzante, ineguale. I libri di Samir Amin di
quegli anni, L’accumulazione su scala mondiale e Lo sviluppo ineguale, nelle
edizioni italiane rispettivamente nel 1971 e nel 1977, ci hanno fornito il
quadro teorico interpretativo fondamentale. “Malsviluppo”
non solo nella dimensione economica e sociale. Già allora avevamo chiaro che la
questione ambientale era importante, che la questione di genere, la questione
dei diritti umani, dei diritti civili ecc. erano importanti. Nel capitalismo
“tutto si tiene”. E cercavamo di sfuggire alla gerarchia delle contraddizioni.
La contraddizione capitale-lavoro salariato veniva considerata decisiva,
sicuramente, ma non così egemonica rispetto alla contraddizione uomo-natura e
produzione-ambiente, rispetto alla contraddizione uomo-donna, rispetto alle
contraddizioni riguardanti i diritti umani e civili. Qui si nomina
appena, ma meriterebbe una trattazione a sé, la nozione decisiva di
colonialismo (e poi di neocolonialismo e di imperialismo) per comprendere le
dinamiche contemporanee in generale. E in particolare rispetto alla “mente
colonialistica” europea e occidentale, plasmata nei secoli del colonialismo, e
che molto ha a che fare con il comportamento nei confronti dei migranti. Entro questo
contesto, per il tema del nostro incontro, si anticipa qui la nozione di
“differenziazione etnica della forza-lavoro”, caratterizzante il capitalismo
dalle origini a oggi, dallo schiavismo al cosiddetto “proletariato esterno”
(Marx), formato da migranti.
2. Il lavoro a. La categoria
“lavoro” è il fenomeno originario del processo di ominazione. Possiede una
dimensione “filosofica”, oltre alla sua ovvia dimensione materiale, economica.
Ma il lavoro è un’astrazione. E come ogni astrazione unifica fenomeni concreti
diversissimi. Pertanto le scissioni e le differenziazioni sono tantissime al
suo interno. Lavoro manuale e lavoro intellettuale, lavoro direttivo e lavoro
esecutivo, lavoro dipendente privato e lavoro dipendente pubblico, lavoro nel
mercato del “lavoro formale” e lavoro nel mercato del “lavoro informale”
(lavoro precario, lavoro nero, lavoro senza diritti e senza protezioni ecc.). Il
neoliberismo, ripetiamolo, già negli anni ottanta con la signora Thatcher e con
Ronald Reagan, ma soprattutto negli anni dopo il 1989 (caduta del Muro di
Berlino) e il 1991 (fine dell’Urss e quindi del socialismo reale) ha comportato
un potente processo di svalorizzazione e di umiliazione del lavoro. Con il
concomitante processo di “solitudine” del lavoro, a causa del venir meno del
sostegno per lavoratrici e per lavoratori di settori sociali importanti come
intellettuali, insegnanti, professionisti ecc. Il venir meno di quegli strati
sociali in seguito denominati “ceto medio riflessivo” che tanto hanno
apportato, tra fine anni sessanta e anni settanta (“il lungo 68 italiano”),
alle lotte, alle mobilitazioni, alle conquiste complessive delle classi
subalterne in Italia. Entro questo quadro del classico laisser faire,
laisser aller, con il neoliberismo la flessibilizzazione, la
precarizzazione, la segmentazione estrema delle forme del lavoro e delle figure
lavorative. Alla vecchia formula del divide et impera si aggiunge la nuova
formula del “segmenta e domina”. Centinaia e centinaia di tipi di contratto, di
figure, fino alle partite Iva fasulle, hanno investito e continuano a investire
il mondo del lavoro italiano e coinvolgendo soprattutto i migranti. b. A proposito
di mercato del lavoro formale e mercato del lavoro informale. Oggi nel mondo 6
lavoratrici e lavoratori su 10 sono impiegati nel settore informale.
Naturalmente come media, con ovvie differenze tra paese e paese. In India, solo
come esempio su scala mondiale, il 70% della manodopera rientra in questo
settore. c. Si diceva
“differenziazione etnica della forza-lavoro”. Wallerstein lo considera tratto
distintivo del “capitalismo storico”, dalle origini. E questa dinamica riguarda
più da vicino il nostro incontro. Marx ed Engels
analizzarono bene la questione irlandese e trattarono, entro il complessivo
movimento operaio inglese, in particolare delle cause e degli effetti della
scissione, fino all’odio reciproco, tra operaio irlandese e operaio inglese.
Tra gli effetti anche una delle ragioni del mancato sbocco rivoluzionario in
Inghilterra, benché vi esistessero nell’Ottocento le condizioni oggettive per
un rivolgimento. È il modello classico della dinamica della non-unità dei
subalterni. Una situazione tanto nefasta e tanto significativa, sempre avendo
come riferimento il tema al centro di questa relazione. d. Altra
classica nozione, trattata da Marx nel Libro I de Il Capitale, è il
cosiddetto “esercito industriale di riserva”. Disoccupati, sottoccupati,
precari, disperati, come la gran parte dei migranti, che premono sul mercato
del lavoro e che in tal modo consente ai capitalisti e alle imprese di tenere
bassi i salari e precarie le condizioni di lavoro.