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mercoledì 26 luglio 2023

SULLE TRACCE DELLA POESIA
di Laura Cantelmo

 
La poesia è tutto ciò che resterà/dopo la mattanza delle parole”. Dichiarazione di amore e di fede nella poesia, questo nuovo libro di Donato di Poce (Sulle tracce della poesia, I Quaderni del Bardo, 2023), poeta, saggista e critico d’arte, è il precipitato della sua cultura di artista alla perenne ricerca di un senso della vita e della funzione dell’arte e al contempo è una vera e propria definizione di poetica, un saggio che lui stesso a ragione definisce “metapoetico”, che trova nell’ironia e nell’autoironia una fonte di distacco e di leggerezza. “La scrittura cos’è?/Non lo sapremo mai/Intanto scrivi tra verità ed errore/La vita è solo un fiume d’inchiostro/Che ci porta via”. Questione eterna che l’autore si pone dopo innumerevoli prove poetiche e di saggistica, avendo fatto tesoro di infinite appassionate letture di critica e di poesia.
Tracciando il percorso della sua scrittura, in questo suo Zibaldone Di Poce raccoglie le gemme di quel passato. Fondamentale l’indagine sulla presenza della poesia che si cela, tra inciampi e gioie, nella vita stessa e negli oscuri meandri della natura umana. Il solido legame all’illustre cultura da cui proveniamo - quegli antichi “alberi Rinascimentali”, robuste radici della nostra tradizione - consente un rinnovamento della lingua poetica grazie alla “mattanza della parola” (la cui radice è, ricordiamo, la stessa di parabola, portatrice di storie) utilizzandone la potenzialità semantica nel modo più efficace. Utile a tale scopo la citazione di Flaiano contenuta nell’esergo: “La parola ferisce, la parola placa…”. Le tracce di quel cammino si fondano sullo studio di alcuni importanti autori del pensiero francese del Novecento - le “tre B”: Blanchot, Barthes, Bachelard- nella semiologia e nella filosofia post esistenzialista e nei raccordi con la psicologia che li ispiravano. Vivendo l’esperienza del verso come ricerca di verità e come rivolta all’esistente, Di Poce è stato fortemente tentato dal radicale rifiuto della scrittura del giovane Rimbaud - “Scrivere dopo Rimbaud”. Ma ha poi capovolto quel rifiuto eleggendo la poesia a nuovo modo di pensare e ad unica forma di scrittura in grado di svolgere, sia per chi scrive che per chi è semplice lettore, una funzione terapeutica e persino salvifica rispetto al superamento del nostro senso di colpa di esistere. Di conseguenza la risposta a Rimbaud è stata: “Non volevo più parlare Ma non potevo più tacere”. La poesia, infatti, non è solo liturgia, delirio della parola. Sarà proprio la parola, come frammento luminoso estratto dall’eccessiva verbosità di certa poesia, dopo la “mattanza”, a risvegliare la coscienza e il senso critico in contrasto alla perdita di valori e di visione del tempo che viviamo. In quanto baluardo al caos, essa è pensiero proiettato verso il futuro, in opposizione al silenzio dell’umano e della ragione: “Scrivere è errore e verità/Lasciando sulla pagina/Briciole di umanità”.
La forma poetica privilegiata per esprimere tutto ciò è l’espressione lapidaria suggerita da alcuni dei suoi maîtres, quella dell’aforisma o dell’epigramma, il cui tono, sfumando dall’ironia al sarcasmo, ben si addice all’intento morale e pedagogico che l’autore attribuisce allo scrivere versi. Proprio quelle entità frantumate ed essenziali - affini ai trucioli di Sbarbaro e ai frammenti di Barthes - valorizzate da una gradevole leggerezza, esaltano il discorso poetico, nel quale la parola diventa dolorosa rivelazione, denuncia del male e insieme rimedio. Ad alimentare la vis polemica di Di Poce che inevitabilmente attraversa questa raccolta è la fede nei valori umani - “briciole di umanità- che percorre quasi ogni pagina, ora contro i critici: “I critici sono dei veri Re-censori […] censurano persino i tuoi silenzi”, ora contro i falsi poeti - i “plagiatori” che vanno rubando la parola altrui - oppure contro i furbi affetti da narcisismo: “Pensava “Io” ma scriveva sempre “Noi”. Non viene risparmiata dagli strali neppure l’editoria, esosa istituzione ritenuta responsabile della produzione seriale delle opere letterarie e artistiche in generale come puro oggetto di consumo: il punto dolente a cui Walter Benjamin attribuiva la decadenza del concetto di arte nella società di massa.  
Lo sguardo disincantato di Di Poce sullo stato attuale della società e sul dominio delle logiche di mercato che la contraddistinguono ci restituisce, con questa raccolta, una lucida e arguta critica su alcune pecche della poesia contemporanea e sui meccanismi della letteratura e della cultura in generale di cui siamo grati a questo poliedrico autore.