“La poesia è tutto ciò che resterà/dopo la mattanza delle parole”.
Dichiarazione di amore e di fede nella poesia, questo nuovo libro di Donato di
Poce (Sulle tracce della poesia, I Quaderni
del Bardo, 2023), poeta, saggista e critico d’arte, è il precipitato della sua
cultura di artista alla perenne ricerca di un senso della vita e della funzione
dell’arte e al contempo è una vera e propria definizione di poetica, un saggio
che lui stesso a ragione definisce “metapoetico”, che trova nell’ironia e nell’autoironia
una fonte di distacco e di leggerezza. “La scrittura cos’è?/Non lo sapremo
mai/Intanto scrivi tra verità ed errore/La vita è solo un fiume
d’inchiostro/Che ci porta via”. Questione eterna che l’autore si pone dopo
innumerevoli prove poetiche e di saggistica, avendo fatto tesoro di infinite
appassionate letture di critica e di poesia. Tracciando il percorso della sua scrittura, in questo suo Zibaldone Di Poce raccoglie le gemme di quel
passato. Fondamentale l’indagine sulla presenza della poesia che si cela, tra
inciampi e gioie, nella vita stessa e negli oscuri meandri della natura umana. Il
solido legame all’illustre cultura da cui proveniamo - quegli antichi “alberi
Rinascimentali”, robuste radici della nostra tradizione - consente un
rinnovamento della lingua poetica grazie alla “mattanza della parola” (la cui radice è, ricordiamo, la
stessa di parabola, portatrice di
storie) utilizzandone la potenzialità semantica nel modo più efficace. Utile a
tale scopo la citazione di Flaiano contenuta nell’esergo: “La parola ferisce,
la parola placa…”. Le tracce di quel cammino si fondano sullo studio di alcuni importanti
autori del pensiero francese del Novecento - le “tre B”: Blanchot, Barthes,
Bachelard- nella semiologia e nella filosofia post esistenzialista e nei
raccordi con la psicologia che li ispiravano. Vivendo l’esperienza del verso come
ricerca di verità e come rivolta all’esistente, Di Poce è stato fortemente tentato
dal radicale rifiuto della scrittura del giovane Rimbaud - “Scrivere dopo
Rimbaud”. Ma ha poi capovolto quel rifiuto eleggendo la poesia a nuovo modo di
pensare e ad unica forma di scrittura in grado di svolgere, sia per chi scrive
che per chi è semplice lettore, una funzione terapeutica e persino salvifica rispetto
al superamento del nostro senso di colpa di
esistere. Di conseguenza la risposta a Rimbaud è stata: “Nonvolevopiùparlare Ma non potevo più
tacere”. La poesia, infatti, non è solo liturgia,
delirio della parola. Sarà proprio la parola, come frammento luminoso estratto
dall’eccessiva verbosità di certa poesia, dopo la “mattanza”, a risvegliare la
coscienza e il senso critico in contrasto alla perdita di valori e di visione
del tempo che viviamo. In quanto baluardo al caos, essa è pensiero proiettato
verso il futuro, in opposizione al silenzio dell’umano e della ragione: “Scrivere
è errore e verità/Lasciando sulla pagina/Briciole di umanità”. La forma poetica privilegiata per esprimere tutto ciò è l’espressione
lapidaria suggerita da alcuni dei suoi maîtres,
quella dell’aforisma o dell’epigramma, il cui tono, sfumando dall’ironia al
sarcasmo, ben si addice all’intento morale e pedagogico che l’autore
attribuisce allo scrivere versi. Proprio quelle
entità frantumate ed essenziali - affini ai trucioli
di Sbarbaro e ai frammenti di Barthes
- valorizzate da una gradevole leggerezza, esaltano il discorso poetico, nel
quale la parola diventa dolorosa rivelazione, denuncia del male e insieme
rimedio. Ad alimentare la vis polemica di Di Poce che inevitabilmente
attraversa questa raccolta è la fede nei valori umani - “briciole di umanità” - che percorre quasi ogni pagina, ora
contro i critici:
“I critici sono dei veri Re-censori […] censurano persino i tuoi silenzi”, ora contro
i falsi poeti - i “plagiatori” che vanno rubando la parola altrui - oppure
contro i furbi affetti da narcisismo: “Pensava “Io” ma scriveva sempre “Noi”. Non
viene risparmiata dagli strali neppure l’editoria, esosa istituzione ritenuta responsabile
della produzione seriale delle opere letterarie e artistiche in generale come puro
oggetto di consumo: il punto dolente a cui Walter Benjamin attribuiva la
decadenza del concetto di arte nella società di massa. Lo sguardo disincantato di Di Poce sullo stato attuale della
società e sul dominio delle logiche di mercato che la contraddistinguono ci
restituisce, con questa raccolta, una lucida e arguta critica su alcune pecche
della poesia contemporanea e sui meccanismi della letteratura e della cultura
in generale di cui siamo grati a questo poliedrico autore.