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venerdì 1 settembre 2023

ANGELO FILIPPETTI  
di Federico Migliorati


Angelo Filippetti

 
Un sindaco socialista nella Milano di inizio Novecento.

Tramontate, con la caduta del Muro di Berlino, le ideologie seppur con alcune “braci” ancora accese, può essere opportuno guardare alle vicende politiche del Novecento con un occhio disincantato muovendo soprattutto dalle fonti storiche al fine di un inquadramento complessivo e imparziale. La Biblion Edizioni grazie alla penna del ricercatore universitario e redattore Jacopo Perazzoli ha dato alle stampe qualche tempo fa un interessante volume dal titolo Angelo Filippetti, l’ultimo sindaco di Milano prima del fascismo (282 pagine, 20 euro, con prefazione di Ezio Mauro, postfazione di Andrea Jacchia e una nota di Andrea Torre) che riporta in luce una delle figure ancora poco conosciute, ma più significative del primo quarto di secolo del capoluogo meneghino, nata ad Arona nel 1866 e scomparsa nel capoluogo milanese nel 1936. Il “sindaco dimenticato” è stato tra l’altro il protagonista di una bella mostra organizzata presso la Casa della Memoria di Milano alla fine dello scorso anno dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e dalla Fondazione Anna Kuliscioff in collaborazione con il Comune meneghino. Prete mancato e socialista convinto, medico stimato e apprezzato per il suo impegno civile e sociale nel solco di quel “positivismo sanitario” (che prevedeva la presenza del professionista non più solo in laboratorio ma soprattutto in clinica, a diretto contatto con i malati e le loro patologie), uomo di aperte vedute, lungimirante e instancabile e dalle molteplici passioni, Filippetti ha saputo unire la sua professione alla politica, prima tra i banchi di consigliere comunale nella sua Arona e in seguito a Milano: a Palazzo Marino dopo un paio di esperienze da assessore venne eletto sindaco nel novembre del 1920, in uno dei periodi più caldi dell’era prefascista, in quel tragico periodo segnato da violenze squadristiche e con la conquista da parte di fascisti e nazionalisti di molti comuni del Nord Italia. 


La casa di via Broletto
dove visse Filippetti

Durò meno di due anni la sua permanenza sullo scranno più alto della sede di Piazza della Scala tuttavia le riforme a cui ha messo mano non sono secondarie. Perazzoli rielabora con puntualità e per la prima volta in maniera completa la biografia del medico-amministratore grazie a un preciso e approfondito lavoro d’archivio con un’ampia disamina anche sull’ambito più generale della politica milanese di quegli anni, caratterizzati tra l’altro dalla presenza in scena di alcuni nomi destinati a dettare legge in ambito nazionale, basti pensare a Filippo Turati e Anna Kuliscioff. A dominare sono spesso le visioni di parte anche all’interno del Partito Socialista (una sorta di stigma della sinistra da sempre), il principale movimento preso in esame: da una parte i massimalisti, corrente a cui Filippetti si avvicinò via via fino a diventare un membro di peso seppur lontano da certe irruenze e con l’obiettivo costante di mantenere l’unità del partito, dall’altra i riformisti, più cauti e portati alla riflessione: la guerra di Libia e soprattutto l’ingresso nel primo conflitto mondiale scatenarono la contesa con il futuro sindaco schierato per un netto pacifismo e contro ogni risoluzione delle ostilità tramite le armi. A suo merito, fin dall’esordio in politica, si ricordano le proposte contro l’alcolismo o, com’era conosciuta allora, la “droga da osteria”, per una maggiore salubrità nei panifici, per il riposo domenicale dei lavoratori, contro l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e ancora per la creazione di un’azienda comunale dedita alla costruzione di case popolari e in favore delle scuole dell’infanzia aperte ai più poveri. Temi sociali, fortemente condivisi nell’esperienza socialista, che gli consentirono di scalare in pochi anni le tappe di una carriera che, per quanto segmentata e discontinua, lo avevano reso popolare e apprezzato. Per lui il Comune non doveva rappresentare solo un organismo amministrativo bensì una struttura capace di porsi quale antagonista dello Stato e di farsi carico di giungere alla dittatura del proletariato: dunque un ente a tutto campo impegnato nella lotta di classe. Un’esperienza breve, tuttavia, quella di Filippetti da primo cittadino: oltre a certe scelte forse inopportune gli giocarono contro sia la recrudescenza del fascismo emergente, allora spalleggiato dal prefetto meneghino Lusignoli (uomo di Giolitti) e dal più importante quotidiano italiano, il Corsera, che non esitò a scatenargli contro violente campagne di stampa, sia le divisioni interne ai socialisti (per non tacere dei comunisti, il cui partito nacque proprio nel bel mezzo dell’esperienza da primo cittadino di Filippetti stesso): egli fu così costretto a subìre le scelte impostegli dai vertici governativi come la nomina di un commissario prefettizio che di fatto impressero la parola “fine” e in maniera traumatica a un’amministrazione comunale democraticamente eletta, l’ultima prima dell’instaurazione del regime su scala nazionale. 

La copertina del libro

In appendice al volume Torre “scopre” un curioso Filippetti fotografo amatoriale che seppe fissare in oltre 35 anni alcuni dei momenti più significativi del tempo sia con riferimento alla propria famiglia sia in particolare sulla trasformazione di Milano nel primo scorcio di secolo con vedute, tra l’altro, di diverse città europee, frutto dei numerosi viaggi effettuati. “L’idea che mi sono fatto - scrive il bisnipote Jacchia nella postfazione - è che Filippetti fosse una persona, per sua convinzione, fuori dalla norma, un intransigente rivoluzionario. Un dandy temperato da punte d’austerità”. Soprattutto un politico e un medico che, pur con errori e latitanze, ha certamente marcato la cifra di un impegno indefesso verso il progresso e lo sviluppo sociale nella Milano del Primo Novecento.