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sabato 9 settembre 2023

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


 
I prefissi


Ciò che viene preposto ad una radice o ad una parola è un modificativo logico o un deduttivo logico, così come tutto quanto viene posposto. I latini, strutturando substo, pensarono a: sto sotto, traducendo in base ai significati acquisiti dai due termini, ma generarono anche: sto latente (sono allo stato latente), in quanto la traduzione letterale di sub (va dall’ho il mancare: è ciò che si genera) e di στα (dal tendere il legare) determinò un nuovo contesto del processo di formazione dell’essere: nel flusso gravidico che si lega alla madre, la creatura c’è, ma non si vede: sono allo stato latente. Formulando subfero (suffero), dissero: porto sotto (sostengo/sopporto), ma anche: soffro, in quanto tradussero alla lettera tutta la perifrasi subfer: va dall’ho il mancare (è ciò che si genera) dallo scorrere il nascere (decorsa la gestazione), che contestualizza il travaglio. Pertanto, la pregnanza di significato a soffro (subfero) viene data dall’immagine della partoriente. Infatti, spesso, la parola è un deittico.
Bisogna dire che i prefissi sono tantissimi e non solamente quelli che hanno valore prepositivo o avverbiale. I greci coniarono la radice γελ, che si può tradurre: dal generare lo sciogliere, che, sicuramente, indicò il flusso gravidico e che servì per rendere qualcosa di ricorrente nel suo modo di essere: rido: γελάω. Per il pastore rendere ridere, secondo la sua logica e i mezzi a disposizione, non era facile, per cui il sentir dire che la nascita era il risultato del flusso gravidico era per lui motivo di una sonora risata. A suffragare quanto detto, si ricorda che questo verbo ha anche il significato di: deridere. Poi, di γελάω, divenuto un deittico, si dimenticò il percorso formativo ed indicò, definitivamente, l’espressione ilare del viso.
Questa radice servì ai latini per coniare gelus, mediante questa perifrasi: dal generare lo sciogliere, inteso come acqua/flusso gravidico, si genera (us: è ciò che manca) il gelo. Con gelus, il pastore latino asserisce che è dei liquidi gelare. I greci, inoltre, da γελ, mediante il prefisso αγ/αν (dal generare/da dentro) coniarono: γ-γελ-ος: nunzio, messaggero, angelo, dedotto così: quel grembo pronunciato è portatore di notizia, poi, aggiunsero un altro prefisso: ευ (dall’ho divenne anche: buono/buona) formulando l’aggettivo a due uscite ε-άγ-γελος: annunciatore di buona notizia. Da questo nucleo di concetti si formò, in italiano, vangelo, come messaggio vero e buono di Cristo, che determinò l’ardore di evangelizzare.


 
Il concetto di gioco (iocus), nel senso vero e proprio, è legato per latini ed italici al figlioletto, in greco υός: e, per i greci, al πας παιδός (figlio piccolo). Con gioco (in greco da πας fu dedotto παίγνιον: gioco, trastullo) si volle intendere l’attività precipua della creatura dopo la nascita. Poi, verosimilmente, da παίγνιον fu dedotto: compagno, mentre compagno, come convivente, fu dedotto da: πάγνυμι/πήγνυμι: conficco.
Nell’antichità c’erano altri giochi, desunti dall’attività fisica, come lotta corpo a corpo (è ciò che si genera da dentro il legare), che portò i greci a formulare γνες e i latini a elaborare ludi. In realtà la radice lud (dove la u dovrebbe rimandare al dittongo εο) contiene la seguente perifrasi: lo sciogliere dall’ho il legare, che, nel processo formativo dell’essere, rimanda a più significati, per cui aggiungendo us: è ciò che manca, ciò che si genera, i latini dedussero: svago, passatempo, ricreazione, divertimento, scuola, in quanto il legare, nella cultura greco-latina, indicò: il fare/il lavorare, l’accapigliarsi, l’odio, l’approccio amoroso che porta alla procreazione. Verosimilmente, il concetto di svago/gioco fu desunto dalla sospensione della fatica. Da lud i latini derivarono anche scuola, non perché fosse uno svago o un divertimento, ma perché l’infanzia, per alcuni ceti sociali, immune dalla fatica, consentiva di frequentare la scuola. Si può anche pensare che il legare del grembo, come realizzazione di qualcosa, indichi anche un mostrare come si fa la creatura a chi osserva, al discipulus, in dialetto: discipu’u. Da ricordare che discipulus è un deverbale di disco: imparo, per cui la perifrasi ipulus significa qui: è colui che (discit).
I latini, come prima i greci, usarono l’ε e l’η, frutto della crasi tra ε e α (dal generare), come deduttivi logici. Dalla radice lud, che aveva generato lud-us: il gioco, venne formato il verbo e-lud-o: schivo/evito, in quanto lo sciogliere, come flusso spermatico senza freni, è preferibile allo stare ristretto. Il pastore ragiona così: evito di restare ristretto, perché godo della libertà del fluire.
I latini utilizzarono il simbolo delta dei greci, che acquisì due significati: legare e mancare, presenti in ad (genera il mancare/il legare) e de/di (da e dal generare il mancare/il legare).



Con il prefisso ad, qui: genera il mancare, dal mancare, furono dedotti: scherzare e alludere, come sottinteso dell’approccio d’amore. Quindi: in-ludere: beffare, dileggiare, ingannare. Se il legare rappresenta la fatica, pensare che, con il parto, abbiano termine le amare vicissitudini della vita, è una pia illusione.  Poi, de-ludo: schernisco, canzono, burlo, inganno, che è ciò che si genera (dal mancare) da ludere (gioco, scherzo, mi diverto), ad indicare che il rovescio della leggerezza dello scherzo è la beffa/delusione, anche come mancata nascita della creatura. Poi, fu coniato con-ludo: gioco insieme, me l’intendo, perché il gioco è, almeno, a due e nel gioco c’è l’intesa immediata. Inoltre, fu dedotto: proludo, che, da una parte, rimanda all’allenamento dell’atleta, dall’all’altra ai giochi d’amore, come preambolo. Poi, dal participio perfetto prolusus fu dedotta: prolusione.  Infine, fu dedotto: prae-ludere, che è il fare prove prima come preludio di quello che farò.
Il concetto di laboro fu così congegnato dai latini: dall’andare lo sciogliere (durante i nove mesi), si genera. Nella concezione del pastore il fare, il lavorare è successivo al flusso gravidico, quando si realizza la creazione legando; poi, dedussero: collaboro, quindi: elaboro: mi applico con cura/con diligenza, mentre noi abbiamo aggiunto il concetto di lavoro come sviluppo realizzativo di un’idea che ho in mente, da cui il nostro concetto di ri-e-laborare.
Anche i greci dallo stesso contesto elaborarono: ργον: lavoro (eseguito), opera, affermando: è ciò che si trova dentro (ον), mentre decorrono i nove mesi (dall0 scorrere il generare). Da ργον, i greci, premettendo: εν (da dentro), ricavarono energia: chi fa un lavoro ha bisogno di forza. I greci, inoltre, formularono anche: συν-εργία: cooperazione, che è ciò che si desume da un lavoro fatto da più persone. Successivamente, si modificò il concetto di cooperazione in: unione di forze.
La parola chimera (sogno vano, desiderio irrealizzabile) degli italici è una parola dedotta da: (imeros) μερος: desiderio, brama. La parola λρος: vaniloquio, che indica chi dice una sciocchezza attinente al processo formativo: il flusso gravidico determina la nascita, fece generare ai latini il verbo: de-λρ
-o, deliras: farnetico. Quindi, elaborarono chi vaneggia/chi delira: delirus, mentre gli italici formularono: delirio.