PENSIERO UNICO, PENSIERO CRITICO
di Franco Astengo
È possibile che l'analisi delle complessità delle contraddizioni in
atto sia ridotta ad un "pensiero unico" e obbligato? Nei
giorni scorsi la coincidenza con il doloroso passaggio della morte di Gianni
Vattimo ha riportato alla luce il dibattito attorno al "pensiero
debole": quel "pensiero debole" caratterizzato
dall'abbandono delle pretese di fondazione della metafisica tradizionale e di
ogni concezione filosofica o ideologica che intenda presentarsi come assoluta.
Su quella base si mossero le accuse di “passatismo” e di
“residualità” che hanno colpito, nel corso di questi ultimi anni, i sostenitori
di una “qualità dell’agire politico” nel quadro di un pensiero “forte” di
stampo occidentale.
In realtà l'attenzione andrebbe portato attorno all'ormai cancellato
"pensiero critico". Se si intende affrontare davvero la
"complessità dell'esistente" il primo atto da compiere sarà quello di
rompere la gabbia della subalternità del pensiero verso la tecnica ormai
giudicata "neutrale". In secondo
luogo si tratterà di tornare all’articolazione che la storia ha sempre offerto
al pensiero umano. Del resto è stato del tutto
insufficiente occuparci di alcuni temi politici che pure sono emersi
all’interno di questa crisi dell’essere.
Ritorna un punto nevralgico a partire dal giudizio da esprimere
sul valore complessivo del “pubblico” rispetto al “privato”.
Ci sarà da riflettere sull’acquisizione di una nuova nozione di
“senso del limite”.
L’idea del “senso del limite” ci arriva direttamente
dallo stare vivendo “questa” tragedia epocale, ma non basterà neppure aprire
questo livello di riflessione per giungere a un piano di elaborazione sulla
quale poggiare una prospettiva di “pensiero lungo”. Servirà una ripresa di costruzione dell’ideale.
Un ideale che rompa l’idea dell’ineluttabile soggezione
all’esistente.
Si rovescia l’impostazione hegeliana: sarà necessario essere
migliori del proprio tempo. Sarà banale affermarlo ma
l'ottimismo della volontà dovrà tornare a prevalere sul pessimismo
dell'intelligenza. Il rapporto tra cultura e
politica accusa ormai da molti anni un ritardo particolarmente vistoso rispetto
alle necessità. Un rapporto quello tra cultura
e politica ormai uscito dalla richiesta di "organicità totalizzante"
(che pure sembra stare nelle corde di chi intende aggiudicarsi una molto
presunta "egemonia") ma che invece è stato ridotto all’assemblaggio
di un insieme di tecnicismi. Ciò è avvenuto in
diversi campi da quello accademico, per arrivare a quello istituzionale,
economico e soprattutto della comunicazione laddove la politica appare ormai
confusa con l’economicismo e il giurisdizionalismo astratto.
Si tratta invece di ripartire per una ricognizione di fondo,
prescindendo dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”. Nel compiere
l’operazione intellettuale di ritorno alla dialettica il primo traguardo da
indicare dovrà essere quello di ricostruire una sorta di percorso nella storia
del pensiero politico, cercando di riassumerne le fasi più importanti,
individuare i passaggi al fine di orientare l’idea di un possibile confronto.
L’esigenza di ricercare questo equilibrio tra “storia del pensiero
politico” e realtà “dell’agire politico”, deve nascere dal ritorno alla
convinzione che il pensiero politico sia un “pensiero concreto”.
Un pensiero politico coinvolto attivamente nel mondo, sia come
critica dell’esistente, cioè come de-costruzione, sia come costruzione, cioè
come progetto di edificare un ordine migliore, ovvero rispondente a criteri di
legittimità diversi da quelli dell’ordine presente.
Servirà legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che il
pensiero politico non si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le
medesime categorie.
Insomma, è necessario mettere in rilievo che la
concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce
alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le
interpreta, le mette in forma. Ricostruire l’idea di progresso dentro a un
quadro di consapevolezza del "limite" umano e delle risorse: questa
la sola sintesi possibile per indicare la necessità e l’urgenza di aprire un
discorso molto difficile in questo momento di apparente invisibilità
dell’orizzonte.