Sergio
Arneodo nell’antologia nazionale Quasi un lieto giardino, a cura di
Marco Lodoli. Volume
dopo volume, il Credito Cooperativo Italiano editore della collana “Italia
della nostra gente”, intende mettere in valore e promuovere il patrimonio
culturale italiano attraverso le sue diverse identità materiali ed immateriali.
A firma del famoso fotografo Pepi Merisio e dello scrittore giornalista Marco
Lodoli (Premio Mondello, Premio Grinzane,) il volume n. 29, appena uscito in
libreria, intende presentare l’Italia attraverso le civiltà dei luoghi
letterari. Grande formato, cartonato con sovracoperta, in 240 pagine si
scoprono le regioni italiane da sud a nord. Per ogni territorio stupende
immagini di paesaggi, uomini e ambiente a commento delle creazioni letterarie
di scrittori e poeti che abitano quella terra. Gli autori non hanno disdegnato
di unire i grandi nomi della letteratura (Alessandro Manzoni, Umberto Saba,
Dante Alighieri, Pascoli, Guareschi, Ignazio Silone, Grazia Deledda…) con
scrittori meno altisonanti, ma di grande valore letterario (Giuseppe Parini,
Ada Negri, Antonia Pozzi, Paolo
Volponi, Mario Luzi, Carlo Porta…).
Arneodo
L’unico poeta contemporaneo scelto per il territorio
piemontese risulta Sergio Arneodo. Due componimenti in lingua provenzale e relativa
traduzione italiana. Dello scrittore-drammaturgo di Coumboscuro sono state
riportate le poesie Tres Crous: Tre croci (a cui è stata abbinata la
suggestiva immagine del cimitero del Santuario di Castelmagno) e Signal:
Segnale (a cui sono state abbinate due immagini di figure in costume, durante
la processione di San Lorenzo di Chianale). Dopo gli importanti riconoscimenti
giunti dall’estero, per la prima volta Sergio Arneodo viene affiancato a più
noti poeti italiani. La motivazione va colta nelle parole del curatore
dell’opera, Marco Lodoli: “Lo spaesamento, ecco lo stato dominante di noi
uomini occidentali. Il Novecento è stato il secolo degli indifferenti. Poco più
di nulla è ancora ancorato alla terra ed alla vita con radici profonde. Ed il
paesaggio non si riduce certo ad un insieme di linee e di colori. Ogni luogo ci
corrisponde, intreccia i fili tremanti con le nostre esistenze con le
riflessioni più profonde e più sfuggenti. Come i poeti di questa raccolta, noi
tutti abbiamo bisogno di luoghi precisi, descritti con pazienza, compresi con
ogni cellula del corpo, luoghi che sono casse di risonanza per la musica
dell’Essere. Sergio Arneodo esprime con grande lirismo questi orizzonti del
cuore”.
Alcune poesie di Arneodo Signàl Me pauso, moun enfant, soubre l’issàrt de la mountanho li lenh pouderoùs qu’al caus avihes coupà: n’en fau ma crous dreissà ici-amoun, ente la seho despart lou monde en dùi: i à l’oumbroe i à lou quiar i à ubàc e adréch, li champ de l’ome e i vrous sarvage. Pauso aquì, n’en fau ma crous dreissà ici-amoun, sinhal entre doues part. Me pauso, moun enfant, sus la bruhèro li
lenh boussù: quouro la calabruno, me charjou de ma crous, vau dins la nièro nuéch, sus lou fil peiroùs de la barriero, perqué jamai souto souléi, nì luno ié sibi pus adréch, ni ubàc sus terro. Segnale Figlio
mio, posa per me sopra l’alto pianoro della
montagna i due tronchi robusti che
avevi tagliato al piede: ne faccio la mia croce issata
quassù, dove la displuviale separa il
mondo in due parti: c’è l’ombra e c’è la luce, c’è
il versante a notte e a giorno, i
campi degli uomini e gli ontani selvatici. Posali
qui, ne faccio la mia croce drizzata
quassù, segno santo fra le due parti. Figlio
mio, posami sull’erica i
tronchi nodosi: quando il giorno imbrunisce mi
carico della croce, vado nella nera notte,
lungo il filo pietroso della cresta, perché
mai più, sotto sole o luna, ci
sia versante a giorno o a notte sulla terra.
La copertina del libro
Terro d’abandoun Aquéi brout, séc e frachìs,amoun, countro lou cièl, que l’aire fort
penchéno, soun lou signal picant, tressà de péno de
nosto duro terro d’abandoun. Chapuéi
i branc, senço jamài perdoun de sého en quiòt lou journ creissént
nous méno per lou grand ourisount, toujour nous
tréno de peiro en garb, prihant en
janouioùn. Ma
a tu, Marìo, aquéi brut frachìs de
la mountagno, soun la vous doulénto de nosto coumbo, soun vous de
luenchoùr, dounà
per la vengudo claro, esclénto de toun Enfant, pourtaire de lindour, de
toun enfant, pastre de Paradis. Terra
di abbandono Quei
germogli, nudi e spogli, lassù, contro
il cielo, che il vento impetuoso piega, sono
il segno pungente, intrecciato di pena della
nostra dura terra d’abbandono. Su
per i rami, all’infinito, di
dosso in conca, il giorno nascente ci guida per
il grande orizzonte, sempre ci spinge di
rupe in valle, a pregare in ginocchio. Ma
per te, Maria, quei germogli spogli della
montagna sono la voce dolorante della
nostra valle, sono voce di lontananza, portata
dalla venuta splendente, limpida del
tuo Bambino, portatore di luce, del
tuo Bambino, pastore di Paradiso. [Deinial
– Natale 2011]