Ho
letto con attenzione le pagine dell’ultimo lavoro di Vincenzo Rizzuto (Racconti
e riflessioni alla luna, Pubblisfera Edizioni 2022) e le ho trovate
interessanti e ricche di osservazioni, di considerazioni e di spunti che
invitano il lettore a riflettere. Il libro, mi piace definirlo uno specchio
dell’anima e della mente dell’autore. Vincenzo
Rizzuto è una bella penna, una penna che sa svolgere, con immagini vive e
chiare e in una prosa agevole, i propri sentimenti, i propri stati d'animo e
gli elementi delle proprie analisi e
sollecitando il lettore a riflettere. È un libro che racchiude racconti, versi
e riflessioni, note di critica letteraria e testi di analisi politico- sociale.
Sono pagine interessanti e coinvolgenti, pagine in cui emerge l'anima dell'educatore, l'anima dell'intellettuale impegnato per la costruzione d'un
mondo migliore. Come si può cogliere dalla lettera sul 25 aprile, una missiva
destinata ai nipoti, ma indirizzata a tutti gli uomini, perché apprezzino i valori
della libertà e della democrazia e non si stanchino di impegnarsi per difenderli
e per sostenerli. “La festa del 25 aprile 1945, carissimi nipoti, ricorda
la Liberazione da quelle dittature, che se non fossero state sconfitte anche
dalla Resistenza del popolo, avrebbero compromesso il vostro futuro, un futuro
a cui tutti i nonni come me hanno tenuto e tengono più che ad ogni altra cosa” (p.
196). Ed è un futuro di pace, di libertà e di amore fra i popoli quello cui
egli guarda con attenzione e con speranza. Questo libro, in fondo, è anche un
ritorno ad un passato di impegno fatto di lotte, di attese deluse, e,
scrivendone, egli sembra riviverne ancora lo spirito e le vicende. Emblematiche,
in merito, le parole che egli fa pronunciare ad un vecchio docente
universitario, presso la bottega di mastro Nicola: “Politicamente, pur
considerandomi un uomo libero da ideologie accecanti, sono stato orientato
sempre a sinistra, quella sinistra che condanna lo sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, che rifiuta la guerra come strumento di sopraffazione e di dominio
del più forte. Sì, a quella sinistra che rispetta la dignità dell'uomo come soggetto
libero tra liberi, uguale tra uguali. In nome di questa visione del mondo, pure
da ateo quale mi considero, credo che uno dei primi movimenti che ha portato avanti
questi ideali sia stato senz'altro il Cristianesimo delle origini” (p. 64). E
in queste note pare riapparire il senso del mondo lontano e della vita stessa
degli Apostoli, ma sembra affacciarsi anche l'essenza d'un pensiero filosofico
profondamente meditato. Penso, ad esempio, a Ludwig Feuerbach che, ritenendo l'uomo
un corpo cosciente, sottolinea che solo il Cristianesimo l'ha visto nella
sua “integrità e concretezza”. Ma il libro è anche un ritorno alla terra d'origine,
al suo mondo, alle vicende e alle lotte che le hanno accompagnate; è un ritorno
alle proprie radici, al ricordo delle persone care che rivivono in queste
pagine. Vibra ancora intatto il suo profondo senso di uomo di scuola impegnato a
educare, a formare coscienze libere e forti, capaci di affrontare il difficile
cammino verso una società democratica. Lo studioso di filosofia aperto a
cogliere, in essa, le condizioni di fondo per realizzare un giusto rapporto fra
“sapere tecnico- scientifico” e “chiarezza”; fra scienza e valori. Sono l'uomo
di scuola ed il filosofo che sollecitano a lottare, nel nome del sapere, contro
il male che opprime il mondo, contro i tiranni della terra, contro “i signori
della guerra” e i seminatori di discordia e di morte. “Sono pure io Ucraina, -
fa dire ad un personaggio femminile di uno dei suoi racconti - e mia madre era
russa, figlia di mio nonno che morì a Stalingrado nella grande battaglia contro
i tedeschi nazisti; (…). Un mio figlio, mentre noi parliamo, sta combattendo a
Kiev contro i cosiddetti fratelli russi (…). Siano maledetti i signori della
guerra, che ci mandano al macello mentre essi se ne stanno al caldo e al sicuro
nelle loro lussuose dacie con tutti i loro parenti” (p. 107). È l'invettiva
dell'intellettuale pacifista che, pur sentendosi tradito nelle proprie lotte e
nel proprio impegno, vuole spendersi ancora e sempre a favore della giustizia
sociale e della pace. Il ritorno al paese e alla propria terra, per Vincenzo
Rizzuto, è anche questo, è anche il triste confronto con gli ideali di ieri e
di oggi, traditi e negati da un mondo che ha dimenticato i propri martiri per
la libertà e per la pace e che vive nell'oblio delle proprie antiche ragioni di
umanità, di giustizia e di solidarietà. “Fatemi urlare – egli canta – come
un lupo / il mio dolore al vento. / Sono stanco di tutto, / maledetti
signori della guerra! / Anche di notte popolate / i miei sogni diincubi maligni, / miserabili Caini, / che da millenni / insanguinate
la terrasenza posa. / (…) / Sono stanco di tutto, / pure
dei 'compagni non compagni', / (…) / Voglio ululare, / ululare al
vento / come un lupo mannaro / delle mie montagne” (L'urlo,
p. 117). Ma
il ritorno alla propria terra è anche memoria di luoghi e di persone, di
botteghe e di “mastri d'ascia e di pennello”, botteghe che, negli anni della
sua gioventù, erano anche dei piccoli salotti letterari e delle calde scuole di
pensiero e di formazione. Nel suo “mastro Nicola”, in fondo, si profilano anche
l'antica figura paterna, cui egli ritorna con tanto affetto, e quelle di tanti
altri suoi maestri, così come nell’immagine di quella bottega “cenacolo”,
lontana ma ancora viva, ritornano tante altre botteghe “cenacolo” del suo
passato. È, questo il libro di Vincenzo Rizzuto, un libro di sentimento e di
pensiero; “racconti” di “riflessioni”, di stati d'animo, di idee, di impegno, di
lotte e di ideali. “Racconti e riflessioni alla luna” perché si svolgono fra la
dimensione dello spirito e la realtà della terra cui sono rivolti, ma forse
anche perché egli sente sempre più lontana la dimensione di quelli che, più
degli altri, dovrebbero fare tesoro del suo messaggio. Eugenio
Maria Gallo